Dettagli Recensione
La lucidità di raccontare i propri ultimi giorni
Brodkey è un controverso scrittore Americano di origini ebreo-russe che scopre a 70 anni circa di avere contratto l'AIDS durante un periodo omosessuale. Decide di scrivere questo romanzo esponendo al pubblico, a noi, le sue sensazioni, paure, sentimenti e approccio con le persone care verso la malattia. L'ho letto cercando nelle sue parole forse una verità più grande, quella di chi non ha più niente da perdere e guarda la fine con occhi lucidi, ho scoperto che non è così, la voglia di vivere è talmente preponderante anche in un malato terminale che non riesce a far superare quel punto di consapevolezza di " chi è oltre". La vita vuole "vivere" e se ne fotte se tu vuoi metterti in pace, è una guerra personale senza tregua quella tra il nostro impulso alla vita e la malattia che avanza passo passo e alla fine vince ma con quanta resistenza contro!!! L'autore scrive molto bene ma non è riuscito, a parte le prime pagine, a coinvolgermi del tutto, crea inconsciamente una barriera di sopravvivenza tra lui e la malattia e tu non riesci a percepirne appieno la potenza. Ha paura, una paura che gli riempie le giornate e questo è quello che ognuno di noi probabilmente farebbe, ma ha di contro, di essere un uomo estremamente compiaciuto di se, un ego smisurato, immagino che senza un Ego di quel livello difficilmente avrebbe scritto questo libro, è comunque uno scrittore, la catarsi per lui passa dalla parola, non ha altri mezzi. Le ultime pagine sono le più lucide e vere, forse non è riuscito a "infiorettare" di Brodkey l'ultima parte perché era già tardi. Non lo consiglio, se volete leggerlo, leggetelo a me ha fatto percepire chiaramente che la guerra è dentro di noi e la vita non molla e ci prova sempre a vincere, nonostante tutto..
Piccolo stralcio tratto dagli ultimi capitoli (quelli che ho più apprezzato) " la morte è proprio una barba. Ma neanche la vita è molto interessante. Devo dire che mi aspettavo che la morte brillasse di significato, ma non è così. È semplicemente li. Non mi sento particolarmente solo o condannato, o trattato ingiustamente, ma in realtà penso molto al suicidio perché è così noioso essere ammalati, un po' come essere intrappolati in un romanzo di Updike.
Ho ancora migliaia di opinioni- ma ne ho perse milioni- e, come sempre, non so niente.