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Esser morti è ritrovarsi circondati dal silenzio.
Non ce l'ha fatta Henning Mankell... alla fine le sabbie mobili l'hanno ingurgitato.
Non c'è stata quella mano salvifica scesa dal cielo a cui lui abbia potuto aggrapparsi prima di essere inghiottito dalla sabbia, prima di soccombere nelle tenebre.
E' morto Henning Mankell pochi giorni dopo la pubblicazione in Italia di questo suo ultimo libro, una sorta di testamento spirituale, iniziato quando le sabbie mobili - un cancro ai polmoni e alla nuca - non lo avevano ancora avvolto del tutto, quando ancora la speranza di divincolarsi da quella presa mortale non si era dissolta.
Una lotta iniziata diversi anni prima, sin dal 2014, anno in cui lo scrittore aveva annunciato al mondo quanto gli era stato diagnosticato.
"L'arte di sopravvivere" è il sottotitolo del libro, sopravvivere alla morte che si annuncia, si presenta inaspettatamente alla porta di casa e ne diventa un nuovo inquilino, un compagno asfissiante, angoscioso per la sua costante presenza, giorno, notte, in qualsiasi momento lei è sempre lì, che attende.
Mankell raccoglie nel suo libro i pensieri, le riflessioni che gli hanno invaso la mente in questo tragico periodo della sua vita.
Riflessioni di ogni tipo, sul presente e sul futuro, sull'ambiente, su Dio, sulla donna amata, sulla musica, sui libri, su tutto ciò che lo aiutasse a non pensare a quel compagno indesiderato, odiato per la prepotenza con cui si è imposto nella sua vita.
Riflessioni alternate a ricordi anche lontani della sua adolescenza, dei suoi numerosi viaggi in giro per il mondo, in Africa soprattutto, un continente così diverso dalla sua terra natìa, la Svezia, ma che ha imparato a conoscere ed amare come se fosse la sua terra; ed è sufficiente leggere i romanzi del ciclo 'africano' per rendersene conto, per ultimo 'L'occhio del leopardo'.
Seppure nella loro eterogeneità c'è un filo conduttore che accomuna questi pensieri: è la paura della morte, celata, solo poche volte ammessa, ma si avverte, è palpabile in ogni parola; anche in quelle pagine in cui l'autore racconta i primi mesi della sua malattia e la speranza che le terapie avessero successo, s'avverte comunque la sensazione che quella speranza sia vana, che l'uomo abbia già coscienza dell'inesorabilità del suo destino.
E percepisco tanta paura di morire anche nell'insistenza e nella ripetitività con cui in più punti del libro l'autore rimarca lo stesso concetto, ossia l'assurdità del progetto approvato dal governo svedese di scavare una 'tomba' di rame nel cuore di una montagna in cui depositare le scorie radioattive prodotte dalla nazione e che impiegheranno circa centomila anni per perdere il loro effetto nocivo.
Inizialmente ho immaginato che l'autore volesse in tal modo associare la sua malattia (così come la maggiore incidenza dei casi di cancro negli ultimi decenni) al problema delle scorie radioattive in Svezia, nazione che da tempo fa dell'energia nucleare una delle sue principali fonti di energia; ora, invece, credo che l'esigenza di riproporre quel concetto sia sempre determinato dalla necessità da parte dell'autore di distogliere il suo pensiero dalle sabbie mobili, di aggrapparsi a qualsiasi cosa gli consenta di sollevarsi, anche se di pochi millimetri, dal baratro.
Ed ecco così che il problema delle scorie radioattive sfocia, per esempio, nelle varie ipotesi su come comunicare all'uomo di un futuro tanto lontano ciò che nasconde quella montagna, in quale lingua esprimersi? esiste un simbolo o un'immagine o addirittura un suono che sia interpretabile anche tra centomila anni? o è forse meglio tacere, nascondere il segreto e sperare che nessuno apra quel 'sarcofago' prima che l'effetto radioattivo sia svanito del tutto? è forse meglio in questo caso sperare nell'oblio da parte delle generazioni future di ciò che l'uomo sta nascondendo ora nella montagna?
Sarà per questo, immagino, che ho avvertito un profondo senso di compassione leggendo queste pagine, compassione verso un uomo che cerca disperatamente di non soccombere, dignitosamente cerca di resistere al pensiero della morte imminente evitando di cadere nelle tenebre prima ancora che il momento sia giunto, è Davide che lotta contro Golia ma questa volta nessun dio sarà dalla parte del più debole.
E premesso ciò, capirete benissimo quanto non sia semplice esprimere un giudizio su quest'opera: perchè occorre entrare in sintonia con l'autore, occorre immedesimarsi con lui, sentire il suo stato d'animo per diventare partecipe dei suoi pensieri ed ascoltarli in silenzio, come farebbe un buon amico seduto accanto al suo letto in ospedale.
Mankell ha scritto numerosi romanzi che hanno venduto milioni di copie in tutto il mondo, in Svezia è secondo solo a Stieg Larsson e alla sua fortunata trilogia Millennium; forse quest'ultimo suo romanzo passerà inosservato per molti, soprattutto in Italia. Ma non per me.
In 'Sabbie Mobili' non c'è il commissario Kurt Wallander, con le sue indagini poliziesche; non c'è il fascino del continente africano.. c'è un uomo solo che gioca la sua ultima partita a scacchi con la morte, trascinando lentamente le sue pedine sulla scacchiera, meditando ogni mossa al fine di proteggere il suo re dallo scacco definitivo.
E forse sarà un caso che questo libro mi sia capitato tra le mani proprio ora, ora che anche mia madre è in ospedale in attesa di capire, di sapere.
Perchè una cosa è certa: le sabbie mobili attirano nel loro vortice di dolore anche chi vorrebbe aiutare, incoraggiare, offrire quella mano che non arriva dal cielo.. ma nulla si può contro quella forza che tira giù, nulla se non ascoltare in silenzio.
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Commenti
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Ordina
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ho letto della scomparsa qualche giorno fa, non sapevo tutto il retroscena sulla genesi del testo
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Ferruccio