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Regina del PCT.
“Basta un attimo” sembra sussurrarci Cheryl. Per che cosa? Per perdere la retta via. Studentessa modello, affascinante nonché amata moglie, la giovane protagonista di questa avventura ci racconta con semplicità come, anche per le persone più forti, sia facile cadere, buttare tutto all'aria quando la vita si accanisce.
Per Cheryl la figura della madre ha ricoperto un ruolo più che essenziale. Bobbi costituiva l'universo attorno al quale l'esistenza dei figli si evolveva: la donna rappresentava il collante per la famiglia, la struttura portante per il nucleo, l'elemento che con la sua vitalità e spontaneità rendeva indimenticabili le giornate riuscendo, con il suo innato ottimismo, a ricavare anche dalle situazioni peggiori il lato positivo, del buono da cui trarre insegnamento.
Ecco perché quando ad appena 45 anni le fu diagnosticato un tumore ai polmoni per il quale i medici prevedevano un'aspettativa di vita di otto mesi al massimo (di fatto concretizzatasi in poco più di 40 giorni) per Cheryl, Karen, Leif e lo stesso Eddie quella sentenza non significava solo la morte della loro madre nonché compagna ma molto di più; la sua dipartita si traduceva in “la fine di tutto”.
Ognuno di loro era distrutto in modo diverso. Su chi fare affidamento, come tenere unita la famiglia ora che l'unica persona che veramente vi riusciva era venuta meno? Il padre biologico era un violento ed alcolizzato da cui in tenera età erano stati costretti a fuggire, Eddie, il nuovo compagno della madre, era al contrario un uomo affidabile e gentile caduto altresì nel distacco una volta defunta quella donna che gli aveva rapito il cuore, i fratelli erano troppo giovani per affrontare la morte e prendersi la responsabilità del nucleo familiare tanto che, inconsapevoli probabilmente delle conseguenze del loro agire, finirono con l'allontanarsi l'uno dall'altro. Ogni tentativo della protagonista di mantenere l'unione si rivelò vano.
Dal canto suo Cheryl aveva Paul il marito buono e gentile che tutto cercava di perdonarle ma più questo tentava di infonderle amore, sicurezza e di trasmetterle la sua vicinanza più ella si allontanava agognando nuovi “sballi” per non sentire il dolore. L'eroina si presentò senza troppe remore alla sua porta e, vuoi per le compagnie sbagliate, vuoi per la debolezza del momento, un “si” scavalcò quel “no grazie” che avrebbe senza dubbio pronunciato la vecchia Cheryl.
Pochi mesi di sesso, droga e alcol e addio laurea, addio matrimonio, addio alla vecchia vita. E quando raschi il fondo del barile non hai che due possibilità, quella di lasciarti andare ed arrenderti al casino che hai combinato oppure quella di cercare una nuova via, ritrovarti. Così è nata l'idea del PCT, quattromila chilometri di trekking tra deserto, montagne, neve, volpi, serpenti, foreste, torrenti impetuosi ed una unica sincera compagnia: se stessa.
E' un viaggio di fuga quello della Strayed ma anche di riscoperta, di rinascita, di formazione. Imparare a contare soltanto sulle proprie forze, mettersi alla prova giorno dopo giorno, non avere altro che “mostro” (lo zaino, capace di contenere il minimo indispensabile per la sopravvivenza marcando dunque l'indispensabile dal superfluo), la fatica fisica ed un obiettivo, sono i perni su cui la giovane imparerà a fare affidamento.
Caratterizzato da una scrittura intensa, semplice ma profonda, sentita ed intrigante, “Wild” è un testo che seppur talvolta farraginoso perché troppo prolisso di dettagli e descrizioni, si fa amare. Pagina dopo pagina il lettore è messo alla prova, è costretto a chiedersi “ed io? Cosa avrei fatto al suo posto?” o ancora è invitato a riflettere sui propri errori, sul significato di quel cammino in solitudine che ha portato al rinnovamento di un'anima troppo giovane messa in ginocchio dalle avversità della vita.
Un romanzo introspettivo, piacevole.
« mentre sedevo sulla panchina bianca quell'ultimo giorno del mio trekking tutte quelle cose mi erano ignote. Tutte, tranne il fatto che quello che avevo portato a termine era vero. Comprenderne il significato senza essere in grado di dire precisamente qual era, come tutti quei versi di “The Dream of a Common Language” che mi erano girati in testa giorno e notte. Credere che non era più necessario tentare di afferrarlo a mani nude. Sapere che vedere il pesce sotto il pelo dell'acqua era già abbastanza. Era tutto. Era la mia vita, misteriosa come tutte le vite. Così vicina, così presente, così intimamente mia nel suo slancio sacro e selvaggio. E com'era selvaggio lasciare che fosse ».