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Amici Miei in trincea
La mano mozza è, come dice Cendrars, una cronaca delle avventure dell’autore durante la Grande Guerra. Cendrars infatti si arruolò nella Legione Straniera, fu mandato al fronte nelle trincee della Somme e nel settembre 1915 perse l’avambraccio destro. Il libro è stato scritto al termine di un’altra guerra, nel 1945-46, e la distanza di quasi trent’anni dai fatti narrati si sente. Infatti Cendrars si lascia forse prendere dalla nostalgia di quella che è stata la sua giovinezza, tende secondo me a mitizzare la sua vita militare e la racconta con un tono che sembra dire ad ogni pagina: Era una situazione di m…, ma quanto ci siamo divertiti. Il racconto delle persone, dei compagni di Cendrars e dei vari episodi si snoda come se fosse una chiacchierata tra reduci che si ritrovano davanti a un bicchiere e si ricordano i bei tempi andati.
Proprio per questo tono tra lo scanzonato e lo smargiasso il libro si legge molto volentieri: il periodare è frizzante, ed anche la costruzione per episodi che si intrecciano e si rimandano l’un l’altro contribuisce a farne una lettura estremamente gradevole. Ci si sorprende quindi a gustare anche gli episodi più cruenti, le morti dei compagni che Cendrars racconta come fatti inevitabili o dovuti alla loro stupidità, le sortite in prima linea organizzate per fare uno scherzo ai boches, l’eroismo incosciente che l’autore attribuisce a se stesso.
Allo spirito di corpo che anima la squadra di legionari si contrappone la stupidità di quasi tutti i superiori, che vengono ridicolizzati da Cendrars perché non capiscono, con il loro formalismo regolamentare, lo spirito goliardico con cui i nostri fanno la guerra. Manca nel libro una formale denuncia delle atrocità belliche, ma questa emerge dai fatti, dalla oggettiva distorsione della prospettiva e dell’individualità che la guerra comporta.
In definitiva un libro per certi versi spiazzante, una sorta di tragico Amici miei dove chi schiaffeggia i passeggeri alla stazione rischia seriamente di rimanere sotto il treno.