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La cognizione del dolore
Potrebbe forse sembrare arbitrario fare riferimento al romanzo di Carlo Emilio Gadda per affrontare il tema de “Il tempo della vita” di Marcos Giralt Torrente, premio Strega Europeo 2014. È proprio, tuttavia, il controverso e doloroso rapporto genitore – figlio, al centro di queste due opere, così diverse per contenuto e forma a giustificarne l’accostamento. Se Gadda aveva fatto suo il concetto di Schopenhauer secondo il quale vi è una diretta relazione tra dolore e conoscenza, nell’opera di Giralt Torrente lo stesso concetto viene esplicitamente e ripetutamente dimostrato.
“Il tempo della vita” è una biografia non un romanzo, è il resoconto a volte dettagliato delle fasi più importanti della vita dell’autore. Nonostante il ripetuto ricorso alle date, che può sembrare a volte eccessivo, l’opera non diviene mai un cronologico e freddo resoconto di fatti. Risulta infatti evidente la necessità dell’autore di collocare in un tempo preciso l’evoluzione dei suoi rapporti col padre, senza avere tuttavia la pretesa di raccontare ogni singolo episodio della loro esistenza: “Tento di aprire una finestra: di mostrare una porzione della nostra vita, non la sua totalità.”
Dopo una breve infanzia felice con entrambi i genitori, l’abbandono del padre, pittore irrequieto in perenne ricerca di se stesso e di una espressione artistica universalmente accettata e riconosciuta, traccia una ferita profonda nell’animo dell’adolescente Giralt Torrente, che comincerà a nutrire nei confronti del padre sentimenti sempre contrastanti, ora di rancore ora di ammirazione, in un continuo assolvere e dimenticare per poi tutto rimescolare e ricominciare.
Attraverso l’analisi e la rievocazione delle sofferenze giovanili, l’autore giunge a quella consapevolezza dolorosa, che gli permette tuttavia di affrontare con coraggio e generosità la malattia incurabile del padre. E qui assistiamo davvero alla trasformazione del figlio in padre, alla sua commovente quasi disperata dedizione alla cura di quel genitore divenuto ormai fragile e indifeso. E qui si palesa altresì come l’arroganza, sia pure inconsapevole, degli anni giovanili, vienga superata, quasi cancellata, con il diminuire della forza fisica e con l’aumentare delle debolezze e delle insicurezze. Attraverso il dolore, attraverso la cognizione del dolore, il figlio Giralt Torrente assolve il padre, gli restituisce quella dignità che non gli aveva più riconosciuto nel suo rancore giovanile. È un percorso di sofferenza infinita che gli serve per riscattarsi come figlio e per riscattare il padre allo stesso tempo.
Questo processo egli lo affida consapevolmente alla scrittura, quella forma d’arte, che, proprio perché diversa da quella paterna, gli consente di esprimersi con tono personale e originale. È il modo per descrivere come si possa rimanere impantanati nei sentimenti e come con il passare degli anni si rimpianga il tempo sprecato e si diventi più vulnerabili di fronte all’ineluttabilità del destino.
Il riscatto della figura paterna fa sì che il figlio cerchi in ogni modo le affinità che lo leghino a lui, nel tentativo di radicarlo profondamente dentro di sé, per non perderlo definitivamente con la morte. Perché la morte è assenza, è oblio, è il nulla.
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Commenti
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è un autore giovane o un nome affermato in Spagna?
confesso di non conoscerlo
Bravissima Anna Maria...come sempre !
Poa
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Hai reso interessanti un libro e un autore che non conosco.