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La trasparenza del cuore
Sergio Bambaren con “L’eco del deserto” affronta un ambiente insolito per lui, che è amante dell’acqua e del mare e ha ambientato le sue storie tra delfini, lamantini e oceano.
Le citazioni iniziali sono di Steve Jobs (“Il vostro tempo è limitato, quindi non sprecatelo vivendo la vita di qualcun altro…”), mentre l’incipit cita località che hanno attirato la mia attenzione per motivi autobiografici.
A Origgio (“un comune nella provincia di Varese… ultima tappa di un meraviglioso… viaggio attraverso l’Italia”) nasce l’ispirazione a scrivere la storia. Lì l’autore si sente chiamare per nome e allora rievoca i fatti narrati nel libro.
In Marocco, ad “Agadir, una vera e propria mecca del surf” (per la verità, io ad Agadir ci sono stato in un agosto passato e ricordo che ogni mattina si alzava dalla spiaggia una tremenda nebbia che oscurava il giorno: una circostanza che non è esattamente la mecca per chi, come me, lavora a Milano), ove Sergio si reca per condividere “con altre persone ciò che più amavano: immergersi nell’acqua salata e cavalcare onde perfette”. Lì, lo scrittore fa uno strano sogno (“un cuore umano, pulsante, posato sulla sabbia del deserto. Emanava luce e cambiava colore”), che lo induce a intraprendere un viaggio da Marrakech verso il Sahara alla ricerca di Khalil, l’uomo saggio dal cuore trasparente che ha scelto di vivere nel bel mezzo del deserto.
Il viaggio verso l’oasi ove vive Khalil conosce momenti di immedesimazione nella natura selvaggia (“Notte: solo il bagliore del fuoco del bivacco… ma bastava… superare le dune più prossime perché il cielo si trasformasse in una grandiosa distesa di stelle”), l’angoscia del gelo notturno, la violenza della tempesta di sabbia (“Era come se l’intero deserto si fosse trasformato in una gigantesca nuvola di sabbia che viaggiava a velocità spaventosa”), ma l’ostinazione e il coraggio vengono premiati con la conoscenza del cuore pulsante del deserto (“La sola regola era seguire i propri ritmi e raggiungere l’equilibrio interiore”).
Lo stile di Bambaren, come sempre, è molto ingenuo e diretto (“Quando un uccello canta, non significa che sia felice”), il suo naturalismo è affascinante, al punto che mi son chiesto se la storia sia reale o piuttosto una fiaba per adulti. La risposta, del tutto pleonastica per chi apprezza/ricerca/condivide la semplicità , me l’ha data lo stesso autore: “Qualcuno potrebbe definire questa storia una favola, qualcun altro un’allucinazione. Per me, è la magia della vita.” E io gli credo. Sono un povero illuso?
Bruno Elpis
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Commenti
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Bruno, ma sei della zona di Varese?
@ Ale: abito in provincia di Como! A una decina di chilometri da Origgio... Tu sei di Varese, vero? :-)
anche io quest'anno sarei dovuta andare in Marocco, ma poi è saltato...
"La sola regola era seguire i propri ritmi e raggiungere l’equilibrio interiore”
NON VALE ANCHE PER LA MAGIA DELLA VITA?
Laura
Si, sono della provincia, zona lago di Comabbio :)
@ Laura: Sì, vale, eccome! Una sintesi perfetta, la tua! :-)
@ Ale: Como & Comabbio, siamo due laghé! :-)
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Non lo so se si tratti di favole o meno...so solo che bisogna avere una particolare sensibilità d'animo per entrare in sintonia con i suoi racconti...ci sono poi momenti di vita in cui siamo più predisposti ad accogliere tali narrazioni...in altri invece no...perlomeno così è per me.
Simpatica segnalazione...ciao Bruno!
Pia