Dettagli Recensione
La Storia della famiglia Klausner
Amos Oz ci regala la storia della sua famiglia, dei nonnni materni e paterni, arrivati in Israele dall’Europa dell’Est nei primi anni del 900 e insieme le vicissitudini delle 2 guerre mondiali,della Shoa,della nascita dello Stato di Israele e del conflitto Palestinese. 120 anni di storia vissuta attraverso gli anni della sua infanzia, insieme ai ricordi, alle fantasticherie, ai suoi giochi.
Romanzo autobiografico: ricco, complesso, colto, articolato, di non facile lettura. Confesso che all’inizio ho stentato molto; il racconto risultava essere un po’ caotico per i continui sbalzi temporali, persino noioso dove si dilungava in elenchi di personaggi per me sconosciuti. Ma poi sono stata catturata da questo bambino esile, pallido, gran chiacchierone, un bimbo troppo solo in un mondo di adulti problematici. Finché mi sono arresa e ho compreso che sarei arrivata fino alla fine, conquistata dalla frase: “quand’ero piccolo, da grande volevo diventare un libro. Non uno scrittore, un libro: perché le persone le si può uccidere come le formiche. Anche uno scrittore, non è difficile ucciderlo. Mentre un libro, quand’anche lo si distrugga con metodo, è probabile che un esemplare comunque si salvi e preservi la sua vita di scaffale, una vita eterna, muta, su un ripiano dimenticato in qualche sperduta biblioteca.”
Ci sono pagine così intense, così belle che scorrono velocemente, descrizioni così vivide e particolareggiate che sembra di assistere ad una proiezione cinematografica. Che ricchezza di vocaboli!
Come non rimanere affascinati dalla descrizione della nonna Shlomit che appena arrivata in Israele da Vilna proferì la fatidica frase: “Il Levante è pieno di microbi” Che personaggio! Oppure il nonno Alexander che a più di novant’anni fa una spassosa e lucidissima dissertazione su quanto sia difficile morire dopo che si è fatta l’abitudine a vivere!
Come non leggere tutto d’un fiato il racconto della notte del 29 novembre 1947 in cui fu votata la decisione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per la creazione di uno stato indipendente ebraico!
Ma insieme a tutte queste descrizioni ci sono anche dei passaggi molto personali, intimi, commoventi.
Diventiamo così partecipi della sua scelta di diventare scrittore, o meglio della presa di coscienza di “essere” uno scrittore perché come lui stesso ci confida: “ E in fondo, questo strano impulso che avevo da bambino – il desiderio cioè di offrire una nuova opportunità a ciò che non esisteva più né mai più avrebbe avuto una opportunità – è ancora fra le cose che mi muovono la mano, ogni volta che mi accingo a scrivere una storia.”
E diventiamo anche partecipi di un grande evento che ha segnato il corso della sua vita, quella “tenebra” citata nel titolo che ci riporta agli episodi luttuosi della guerra, della Shoa, ma soprattutto all’immenso, atroce dolore per il suicidio della madre. Un dolore talmente forte da essere rimasto chiuso nel suo cuore per 50 anni : “ Di mia madre non ho parlato quasi mai, per tutta la mia vita fino a ora, che scrivo queste pagine. Né con mio padre, né con mia moglie né con i miei figli né con nessun altro. Dopo la morte di mio padre, nemmeno di lui ho quasi mai parlato. Come fossi stato un trovatello” e che lo ha spinto a soli 14 anni a decidere di lasciare la casa paterna ,andare a vivere in un kibbutz, e cambiare nome.
Un dolore che ha avuto bisogna di una lunghissima elaborazione, passando attraverso il rifiuto, la rabbia, il senso di colpa, ma che alla fine ha trovato consolazione nell’unico modo possibile, nella scrittura.
Indicazioni utili
La vita fa rima con la morte
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Complimenti!
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