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Tesi, antitesi e sintesi (parte prima)
La tesi: L’immoralista (1902)
Manifesto delle inquietudini e degli estremismi intellettuali che alimenteranno la letteratura mondiale del Novecento, L’immoralista di André Gide ha per protagonista Michel, filologo che sposa Marceline, un raro esempio di devozione coniugale riversato su un marito che ha in sé il germe della distruzione.
Il viaggio di nozze ha per destinazione l’Africa: lì Michel contrae la tubercolosi e soltanto le cure amorevoli della moglie lo trattengono in vita. Ma l’esperienza della malattia e la prospettiva della morte inducono nell’intellettuale una nuova concezione della vita: la filosofia elaborata è terribile, perché sospinge Michel a valorizzare aspetti della personalità repressi, senza porsi vincoli morali. Completamente blandito dal male, il filologo distrugge la sua identità etica per rifondare l’esistenza su altri presupposti ("Da quel momento fu lui che io volli scoprire: l'essere autentico, il "vecchio uomo" in noi, quello che il Vangelo aveva rifiutato; quello che tutto intorno a me, libri, maestri, genitori e io stesso, ci eravamo sempre sforzati di sopprimere... Da quel momento provai disprezzo per l'altro essere, secondario, costruito, che l'istruzione aveva formato al di sopra. Dovevo scuotermi di dosso quelle sovrapposizioni").
Intanto, a sua volta Marceline è afflitta dalla tubercolosi, ma il marito è in preda a un egoismo che lo rende insensibile alle sofferenze della moglie malata e la trascina in un'inopportuna, esiziale rotta verso l’Italia e l’Africa. Il viaggio è per Michel uno sprofondare nel baratro, per Marceline una condanna a morte.
Mi piace visualizzare l’opera di Gide con l’immagine della clessidra, un alambicco ove l’ampolla superiore si svuota a beneficio di quella inferiore, in un contrappasso esistenziale spietato che opera secondo la legge dell’inversione della morale: Michel guarisce per le cure della moglie e matura odio verso ogni forma di malattia, Marceline si ammala per altruismo e perisce per l’incuria del marito, che afferma: “Sapersi liberare non è niente; il difficile è sapere essere liberi”.
Un’opera tanto breve, quanto incisiva nel rappresentare gli estremismi e i sentimenti illeciti che affliggono la natura umana. Grazie all’arte di Gide la spietatezza dell’immoralismo rimane velata da uno stile superbo e allusivo: e questo contrasto – tra rappresentazione accennata e devastante potenzialità maligna insita nei contenuti - scatena l’inquietudine più di quanto possa fare una frase esplicita o diretta.
Bruno Elpis
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Ciao e grazie, Pia.
Non male direi.
Tornando a noi, ottima rece :-)
@ Pia: no, non c'è niente di esplicito. Soltanto allusioni, e la tematica è davvero ... non posso, sarebbe spoiler :)
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