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Una rivisitazione del mondo femminile
"Quando qualcosa non vi torna datemi torto, dibattetene, coltivate il dubbio", questo scrive Michela Murgia, nemica di certezze precostituite, di situazioni accomodanti, di comportamenti divenuti abituali per consuetudine. Riflettete, pensate, decidete con la vostra testa: si può essere in disaccordo con il suo pensiero, ma non può essere disconosciuta la sua voglia di guardare lontano, di sognare un futuro migliore.
"Dare la vita" è l'ultimo suo libro, terminato proprio alla fine del suo percorso terreno, un monito ed una speranza. Nella prima parte, la scrittrice introduce il concetto di famiglia "queer", un termine inglese dal significato vario e ambiguo: strano, bizzarro, curioso, eccentrico, ma anche sospetto, di dubbia moralità, omosessuale. Insomma, tutto quello che è in contrasto con la cosiddetta "normalità" accettata e praticata dai, sempre cosiddetti, benpensanti. La Murgia ha un concetto di "famiglia" diverso, una famiglia allargata, non necessariamente legata da vincoli di sangue, una famiglia che guarda soprattutto al benessere ed alla felicità delle persone, una famiglia che presuppone una libera scelta di stare insieme e di organizzare i propri affetti nel modo migliore, senza costrizioni o preconcetti: la "famiglia d'anima", con componenti legati da vincoli di affetto e di amicizia, senza altri intendimenti se non quello di "stare bene insieme", aiutandosi reciprocamente senza secondi fini. Un concetto indubbiamente rivoluzionario, non facilmente accettabile né praticabile: presuppone scelte libere, rifiuto delle omologazioni e soprattutto coraggio. Ci vuole infatti coraggio per rompere deliberatamente schemi consolidati da abitudini inveterate, credenze religiose, paure ataviche.
Michela Murgia si sofferma poi sul concetto di "maternità", differenziandolo da quello di "gravidanza": la maternità è un malinteso di cui lo Stato si serve per "scaricare sulle donne la responsabilità delle culle vuote". Un concetto umiliante per le donne, legato ad un altro concetto a volte aberrante: quello di famiglia, inteso come unione patriarcale, uomo e donna, ma anche inteso come "tengo famiglia", o, peggio ancora, come legame di stampo mafioso.
Nella seconda parte del libro, la Murgia affronta il tema della gravidanza surrogata, o gravidanza per altri (gpa), sottolineando la necessità di tenere sempre ben distinti i concetti di maternità e di gravidanza. La gravidanza surrogata comporta anche problemi economici: chi l'affronta lo fa a volte per necessità di soldi, confidando nelle disponibilità finanziarie di chi se ne serve. Ma capita anche che alla fine della gravidanza, la donna non si consideri più un "contenitore" ma voglia tenere per sé il prodotto del concepimento: un problema che può presentarsi e che evidenzia quanto possano essere variegate le variabili della gravidanza per altri.
Il saggio della Murgia non incontrerà certo il favore di tutti: sono opinioni non da tutti condivise, opinioni che cercano di guardare lontano, per tentare di cambiare una certa mentalità ed il concetto stesso della vita. Ci vuole indubbiamente molto coraggio, il coraggio forse di chi non ha nulla da perdere e vede un certo traguardo avvicinarsi: coraggio per una migliore convivenza, coraggio per una più lucida consapevolezza, coraggio per una maggior serenità nei rapporti umani, coraggio soprattutto per rompere certi rapporti con un passato che la scrittrice giudica autoritario, stantio, abitudinario.
Ricordo quello che scriveva in "Osservazioni e pensieri" G.C. Lichtenberg, un originale scrittore del Settecento : " in coscienza non so dire se la situazione sarà migliore quando cambierà, posso solo dire che deve cambiare se si vuole che diventi migliore".
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