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Il nostro piccolo Marcel
“ (…) quando la Recherche mi capitò per le mani avevo già alle spalle diverse letture entusiasmanti. Avevo passato al setaccio - come avviene nell’età delle grandi scoperte artistiche - i russi, i vittoriani, i realisti francesi. (…) L’esperienza che mi stava regalando la Recherche era di tutt’altra natura. Come se la sua lenta, fatale, velenosa assimilazione titillasse un senso che non sapevo neppure di avere”.
“Proust senza tempo”: un titolo che afferma negando, un vero ossimoro. Lo scrittore che ha dedicato al Tempo e alla memoria del tempo tutte le sue energie per costruirgli una cattedrale, è in realtà, come Piperno ci dimostra in questo libro, un autore che travalica i limiti di quel tempo, diventando eterno modello dei grandi scrittori.
L’opera non si presenta come un saggio accademico, anche se la seconda metà, annunciata da una “Avvertenza”, raccoglie saggi scritti in occasioni diverse che Piperno definisce “esercizi di ammirazione”: è così che vorrebbe che noi, comuni lettori o studiosi patentati, li considerassimo.
Una struttura così pensata, lungi dal creare disarmonie, ha lo scopo di raccontare “la storia di una lunga fedeltà”, una dichiarazione d’amore, un amore che, superata la primitiva fase di pura esaltazione e di giovanili entusiasmi, è diventato più consapevole e maturo, ma non per questo meno intenso.
“Diciamo che con il trascorrere degli anni è cambiata la natura dello stupore che mi provoca”.
È la storia di chi comincia a leggere Proust a diciassette anni, grazie al dono di un compagno di studi, e finisce poi per insegnarlo all’Università.
Alessandro Piperno, scrittore affermato, vincitore con il suo romanzo di esordio “Con le peggiori intenzioni” del Premio Campiello nel 2005, è infatti professore di letteratura francese all’Università Torvergata e cura la collana I Meridiani Mondadori.
L’opera non poteva non cominciare con una breve riflessione sull’importanza che riveste il Tempo nelle nostre vite e nella letteratura e introdurci così l’autore che forse più di tutti ha fatto di esso il nucleo centrale della sua opera.
“(…)a cinquant’anni suonati, la maggior parte dei quali trascorsi a leggere romanzi, e a scriverne, una cosa ti pare di averla imparata: il Tempo per la narrativa è come l’ossigeno per l’essere vivente, questione di vita o di morte”.
“Proust senza tempo” è un libro piacevolissimo, ogni lettore del grande autore francese dovrebbe leggerlo, senza timore di imbattersi in complicate esegesi accademiche oppure in opinioni divisive come è capitato ad un libro di Piperno pubblicato nel 2000 per i tipi di Franco Angeli, “Proust l’antiebreo” (da cui ha preso le mosse il Brugnolo, ma non solo). E’ una sorta di debito che l’autore sente di avere da oltre trent’anni nei confronti di Proust “un debito inestinguibile”.
Piperno reintegra Proust nella sua totalità a dispetto di chi, come ad esempio Nabokov e Barthes, sosteneva di tenere ben separata l’opera dal mito del suo autore:
“Perchè rinunciare all’incantesimo che il mito di Proust continua ad esercitare? (…) chiamatemi ingenuo, accusatemi pure di melensaggine, ma scordatevi che alla mia età mi privi del piacere romantico di sovrapporre il destino di Proust a quello del suo alter ego. Sordo come sono a qualsiasi confessione religiosa, ho bisogno di credere che la vita si specchi benignamente nell’arte”.
Ma come si fa a contraddire uno studioso così sincero e appassionato? Come si fa a non commuoversi talvolta di fronte a certe confessioni di chi veramente ha vissuto e creduto - fede assolutamente ben riposta - nell’autore che ha raccolto e condensato il senso dell’intera tradizione letteraria francese da Hugo a Balzac ?
E devo dire inoltre che anche riguardo al presunto antisemitismo di Proust su cui Piperno torna più volte, sia nella prima parte del libro che in uno dei saggi, trovo assolutamente degne di rilevanza le argomentazioni dello scrittore romano e questo non soltanto per la sua autorevolezza e la sua competenza in merito a Proust, ma anche per la sensibilità che egli mostra per questa questione che gli sta veramente a cuore, vivendo lui stesso sulla propria pelle questa situazione anomala di chi vive “coi piedi in più staffe”: Piperno ha origini ebraiche.
A distanza di più di vent’anni dal libro controverso “Proust l’antiebreo”, egli ammette di avere adesso una posizione più morbida, ma tuttavia si dichiara convinto di un particolare “imbarazzo”, una sorta di inadeguatezza, inettitudine in chi è mezzosangue.
“E’ tipico degli ibridi, dei bastardi, percepire e portare sulle spalle il peso di questa contesa ancora irrisolta”.
Avrei tantissimi passi ancora da citare, il mio testo è pieno zeppo di sottolineature colorate, post it imbrattati e adesivi segnapagine che fanno del libro un curioso oggetto con la frangia, ma non si può.
Una parola sui saggi: sono scritti pregiati, che oltre ad essere veramente interessanti, sono -qualità rara nei testi accademici - scorrevolissimi e accessibili, adatti anche al lettore non specializzato.
In essi Proust viene affiancato ad altri mostri sacri come lui: Montaigne, Nabokov, Virginia Woolf, Philip Roth, Dante, Balzac . Piperno coglie con arguzia nel binomio vita-arte i tratti in comune che Proust ha con questi autori e le loro opere, indipendentemente dal periodo storico in cui sono vissuti.
Perché l’opera di Proust è senza tempo.
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