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Coltivare invece di consumare
Susanna Tamaro e Pierluigi Capello vissero un’amicizia molto intensa, interrotta bruscamente dalla malattia che privò il poeta della vita. Mantenendo fede al progetto di scrivere un libro insieme, Susanna coltiva la bellezza che fu tra loro attraverso questo volume.
Si tratta di un memoir molto intimo ed intenso, in cui l’autrice si rivela al pubblico a cuore aperto. Come fiocchi di neve, caduti su ciglia tiepide, si sciolgono le parole di una penna essenziale e cristallina.
Fitta è la condivisione di momenti molto privati fin dalla tenera età, in un crescendo di difficoltà sopraggiunte a causa dei problemi famigliari e delle complicazioni di ciò che poi – in età adulta- scoprirà essere il morbo di Asperger.
Nella precarietà dei suoi tempi, i perni che mai si ossidarono nell’esistenza di Susanna furono l’amore immenso per la natura e per gli animali. Ogni pagina è intrisa di affetto per i suoi cani, per il cavallo, gli uccelli i bruchi e poi le farfalle. L’ippocastano ed il salice sorridente dialogano con noi in una canzone acuta, seppur senza voce.
L’elaborato, a tratti più asciutto e a tratti più enfatico, rivela un animo semplice e bello. Una donna umile così aggrappata alle cose essenziali della vita che ti chiedi se veramente esista, come per quegli elfi islandesi che paiono fiabe, eppure chi dice di averli incontrati non mente. Sembra quasi un essere mitologico, colei che scrive nello studio in un capanno disadorno circondato dai boschi, coi cani che sonnecchiano ai suoi piedi e la vecchia stufa avida di legna.
Indimenticabile, ultima pagina che ho letto senza indossare cappello ma con quel simbolo di periodico ben calcato in testa, ritrovando la mia preghiera che presagivo qualcuno avesse scritto, senza ancora sapere chi.
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