Dettagli Recensione
Padre e Figlia
«Questa storia ha due inizi: almeno due, perché, come tutto quello che ha a che fare con la vita, è sempre difficile stabilire cosa cominci e quando, quale vertigine di casi fortuiti esista dietro ciò che sembra avvenire all’improvviso, o quale viso si è girato verso un altro in un momento del passato dando il via alla catena accidentale di eventi e di creature che ci ha portato a esistere.»
Un romanzo d’esordio molto particolare è “Città sommersa” di Marta Barone in dozzina al Premio Strega 2020. Simbolicamente, il titolo, può essere suddiviso in tre sezioni: una prima che è costituita da ricordi che si susseguono e come nelle più famose fiabe ricostruiscono mollica dopo mollica quella che è stata la memoria più remota della protagonista adesso in quel di una Milano che conosciamo per le sue vie, una parte seconda più giornalistica, ambientata per le strade di Torino e atta a ricostruire quelli che sono stati gli anni di piombo in Italia e che hanno visto partecipe il padre della voce narrante e una terza sezione che conduce a quello che è l’epilogo del testo e che tende a ricostruire il legame, che tende a far riavvicinare padre e figlia.
In perfetta conformità con quello che è il periodo storico che stiamo vivendo, l’autrice, si fa portavoce e ci fa destinatari di una storia narrata con la formula dell’autofiction, una autofiction che nel caso di specie ripercorre gli anni di vita del padre, Leonardo Barone, che nel corso della narrazione verrà semplicemente appellato con le iniziali L.B. e che battuta dopo battuta scopriamo essere stato operaio in fabbrica, poi medico e ancora esponente del partito.
«Non avevo bisogno di ricordare. Il passato era una distesa uniforme.»
Ad una esposizione dei fatti in apparenza molto lineare e anche ben scritta perché la Barone ha una penna molto bella e articolata, una penna precisa e minuziosa che non manca di sorprendere il lettore sin dall’incipit del libro, una penna che talvolta è anche troppo volutamente artificiosa e costruita, segue la persistente domanda del quale sia il punto di arrivo dell’esposto. Per tutto lo scorrere dell’esordio, infatti, il lettore se da un lato è incuriosito, dall’altro è frenato perché sinceramente non riesce a comprendere dove l’autrice voglia arrivare e, purtroppo, l’epilogo non aiuta a dare una risposta a questa domanda. A ciò, segue ancora, una mancata armonizzazione tra le tre sezioni. Perché se è vero che la Barone scrive bene, chi legge, non è però esente da difficoltà. Nella prima parte si impone di non lasciar perdere, di non abbandonarne le pagine, perché questo continuo susseguirsi di memorie per le vie della città lo sfianca, nella seconda ritrova un poco di interesse con quello che dovrebbe essere l’approfondimento storico-sociale ma mantiene la titubanza, nella terza non trova quel quid necessario a far scattare l’empatia. Si evince il rimpianto di non aver conosciuto con maggiore profondità alcuni aspetti della vita del padre, si evince il senso di perdita, ma manca qualcosa, un qualcosa che si poteva ottenere meglio equilibrando i fatti riportati, un qualcosa che è l’emozione oltre la forma.
Tra queste pagine ho rivisto molto “La straniera” di Claudia Durastanti e ho rivissuto anche emozioni simili a quelle che provai con la lettura al tempo. L’assonanza non è data tanto dai fatti narrati che hanno in comune il parlare, seppur in modo diverso, di famiglia, quanto dall’impostazione, dall’incompletezza, dalla volontà di destinare un memoir che sembra più fine a se stesso che a terzi tanto da rendere entrambi i volumi molto pesanti e in difetto del sentimento.
Una lettura che mi ha lasciato molte molte perplessità e che non mi sento di consigliare a tutti.
«[…] Per un attimo il suo viso mi sembrò distante e significativo, come se lo guardassi già in retrospettiva, come se per quell’attimo il presente, il passato e un presunto futuro si fossero sovrapposti, come se fosse già un ricordo, di quelli a cui non attribuiamo importanza nell’istante in cui si consumano a cui ripensiamo molto più tardi come una notizia di qualcosa che non riusciamo mai a capire davvero; per un attimo mia madre mi apparve nel tempo.»