Dettagli Recensione
Io (non) ho paura
Leggo e seguo Lorenzo Marone dai suoi inizi.
Mi piace, come persona e come scrittore, sono un suo fan, per tanti e svariati motivi, non ultimo, mi faccio sfacciatamente influenzare dai comuni natali napoletani. Lo ammetto, sono di parte.
Il suo testo d’esordio: “La tentazione di essere felici” mi ha letteralmente incantato, e del protagonista di quella bella storia, Cesare Annunziata, conservo un ricordo lieto, direi affettuoso, se così ci si può esprimere per un personaggio di fantasia letteraria.
Tra l’altro, io che non amo il libro elettronico, non ho esitato a scaricarmi il suo “La tentazione di essere Cesare Annunziata”, una raccolta di racconti con il leggendario personaggio.
Mi ha “preso” di meno il suo secondo romanzo, “La tristezza ha il sonno leggero”; poi di nuovo Marone mi ha spedito in orbita con “Magari domani resto”, facendomi innamorare come una pera cotta di Luce Di Notte, la protagonista di questo racconto sospeso tra malinconia dei ricordi e resilienza nell’affrontare l’esistenza.
Di lì a seguire ho apprezzato alla grande “Un ragazzo normale” e “Tutto sarà perfetto”, “Cara Napoli” e “Le feste non vengono mai sole”, ottimi titoli e gradevoli letture, che consiglio spassionatamente.
Pensavo quindi di conoscere bene lo scrittore napoletano…della serie le ultime parole famose.
Il suo ultimo, “Inventario di un cuore in allarme” mi ha completamente spiazzato, sia perché non ero informato della sua problematica ossessione, l’ipocondria da cui è afflitto, che è la protagonista assoluta non dico di questo racconto, ma del suo monologo su questo tema, sia perché è del tutto insolito rispetto a come ho imparato a conoscerlo, è decisamente un testo al di fuori delle sue tematiche abituali.
Lorenzo Marone è un formidabile affabulatore, ma più che storie con persone, racconta i sentimenti delle persone, e in questo eccelle.
Li indaga, li rivela, li palesa con estrema sensibilità e delicatezza, li offre infine al lettore emozionandosi lui per prima, tanto lui stesso vive le sue storie, s’immedesima in azioni e personaggi tanto reali quanto struggenti, emozionando a ruota il lettore.
Stavolta invece affronta non dico un argomento serio, perché i temi trascorsi che ha trattato, i sentimenti e le emozioni di cui ha scritto, sono cose serie, ma un argomento serioso.
Anche troppo, come può essere la malattia, vera o presunta che sia.
Capisco perfettamente l’intento meritorio e meritevole dello scrittore, che è quello di esorcizzare la paura, sua e quella dei lettori che ne sono afflitti, raccontandola e raccontandosi, ed è certamente un’intenzione lodevole e degna di menzione.
Sdrammatizzare è il passo, quello iniziale e più efficace, per ridurre un problema ai minimi termini, riconducendolo in un’area più vasta, prodiga di soluzioni, togliendolo da un vicolo stretto e buio, e senza uscita.
Tra l’altro, Marone è uno scrittore che sa scrivere, e scrive davvero bene, tanto di cappello, ha una scrittura potente, schietta, franca, incisiva, racconta le cose come stanno, e come devono essere espresse per giungere bene al lettore.
Il libro è un buon testo, si fa leggere, e però devo ammettere che non desta l’interesse che ci si sarebbe aspettato da tanto nome, proprio perché fuori dai canoni cui ci aveva piacevolmente abituati. Pertanto, ammetto che non coinvolge, non prende completamente, sembra più un parlarsi addosso che conversare e condividere, appunto un monologo.
Ed è difficile che un monologo monopolizzi l’attenzione del lettore per tutte le pagine di un libro.
Appurato questo, in estrema sintesi, questo libro è un elenco, neanche esaustivo, illustra le varie fobie e le strategie per liberarsene, comunemente diffuse tra chiunque sia affetto da ipocondria.
Messe in atto per liberarsi, o in qualche modo alleggerire il fardello di credere di essere afflitti da una qualsivoglia patologia.
Finendo per ammalarsi davvero, non della malattia di cui si crede di aver riconosciuto segni e sintomi, magari letti casualmente da qualche parte, ma di una malattia ben più grave.
Una paura, un’ossessione, una fobia, che questa si è vera, reale e non solo presunta, e ti rovina la vita, non solo la tua, ma anche quella di chi ti sta vicino.
Con vena e stile magari tragicomica, ma seriosa, il libro di questo tratta.
Letteralmente, fa un inventario delle cose che trasmutano in fobia, in paura allo stato brado.
La paura agita, turba, impressiona; e poiché le malattie possibili sono tante, altrettante numerose sono le fobie che ne conseguono, e i rimedi o presunti tali.
Perciò un rimedio omnicomprensivo è impossibile, serve distinguere la strategia d’attacco.
Falliti i confronti con amici, parenti e familiari stretti, che tendono a sminuire o a negare simili fobie, una soluzione è quella di rivolgersi alla chiesa cattolica, che ha nel proprio statuto anche la “mission” di consolare gli afflitti.
Solo che nessuno ha una fede incrollabile, e la pazienza che a questa si dovrebbe accompagnare, meno che mai un prete.
In verità l’ipocondriaco sa benissimo che le presunte malattie di cui si crede afflitto, altro non sono che un segnale di disagio che parte dalla sua testa, e utilizza il corpo e le sue presunte sintomatologie per ricordargli che, da qualche parte sepolta nella materia grigia, c’è un fatto, un evento, un episodio, un quid, non necessariamente un trauma, che da bambino in qualche modo lo ha turbato e per cui serve esorcizzarne il ricordo, onde sublimarlo e liberarsene.
Solo che lo ripetono tutti gli analisti, questo assioma, anche se con tecniche diverse, ma il fatto, l’evento, l’origine, proprio non ne vuole sapere di farsi ricordare per la catarsi liberatoria.
Che fa allora l’ipocondriaco, e per derivazione, il fobico? Evita. Scappa. Si sottrae.
Ha paura di volare? Non vola. E via così.
Gli ipocondriaci fanno propria la massima di Linus: “Non esiste problema così grande o complicato dal quale non si possa scappare”.
La grande fuga, insomma, gli appassionati di cinema sanno a cosa mi riferisco.
Devo dire che per essere un romanzo, è molto istruttivo, ho imparato che esistono tantissime fobie, alcune veramente strane.
La prima, l’ipocondria, il terrore di ammalarsi. Poi, la dermatofobia (paura delle lesioni della pelle), la cancerofobia (la paura delle malattie oncologiche), l’aracnofobia (la paura dei ragni), la iatrofobia (la paura dei medici, il che per un ipocondriaco è l’apoteosi!), l’eliofobia (paura per le scottature solari), entomofobia (paura degli insetti).
Ancora, l’aerofobia e l’acrofobia, rispettivamente la paura di volare, che non c’entra niente con Erica Jong, e la paura del vuoto; poi la coimetrofobia, la paura dei cimiteri, e la talassofobia, che è la paura del mare aperto, che per un napoletano è un guaio grosso, e altre e ancora altre, per finire in bellezza con la fobofobia, la paura delle paure, il timore cioè di sviluppare una fobia…ma no, ma tu guarda! Ma ven via, ma cosa vai a pensare.
E però…e però, abbiamo detto che Marone è un bravo scrittore, e dà il suo meglio quando ci parla di sentimenti. E qual è il sentimento principe?
Ma l’amore, naturalmente. L’Amore che tutto vince, amor omnia vincit.
Infatti, a Marone lo salva l’Amore.
Sono due sole le paure di cui, per fortuna sua, non deve fare i conti.
Ne è fortemente immunizzato, su di lui non attecchiscono manco a insistere fino alla notte dei tempi.
La prima è la xenofobia: Lorenzo Marone non teme lo straniero, il diverso, di altra etnia.
La seconda, la philophobia, la paura di amare. Marone ama, ed è riamato.
Privi di questa paura, ci salviamo tutti, perché l’amore è la panacea.
Lorenzo Marone lo sa, e lo dice, chiaro, in modo insolito, ma alla maniera sua.