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Febbre di riscatto
Jonathan Bazzi dimostra grande coraggio nello scrivere questo romanzo candidato al Premio Strega 2020. Una storia autobiografica che parla di malattia, sofferenza, dolore, capacità di reazione e di riscatto. Perché anche se l’HIV è entrato ormai da molti anni nella società umana seguendo un percorso analogo a quello che tutti stiamo vivendo in epoca di “Corona virus”, (inizialmente quindi come malattia sconosciuta e temuta e poi progressivamente grazie ai progressi della medicina e della ricerca fortemente contenuta e contrastata), la strada da fare per una perfetta integrazione delle persone colpite, sieropositive, è ancora tanta. Occorre lottare contro l’emarginazione e l’isolamento e nella scelta di Bazzi di scrivere questo romanzo (“Col virus voglio farci qualcosa…Scriverne, per esempio”) ci sta proprio questa presa di posizione: “Ho l’HIV, sono sieropositivo: cosa significa? Ti faccio paura? Ti faccio schifo? Non è importante, non mi interessa. Sono stato arruolato a mia insaputa nell’esercito degli impuri, degli appestati, dei portatori di un male speciale”.
Nell’arco di poco più di 300 pagine impariamo a conoscere Jonathan. Presente e passato si intersecano e alternano nella narrazione, un capitolo a testa alla volta. Dallo spuntare di quella febbriciattola incomprensibile inizialmente, sottovalutata anche dal medico e ricondotta ad una probabile mononucleosi; 37.3-37.4 gradi, che cominciano a diventare una fastidiosa compagnia quotidiana, che tolgono energia per lavorare ed avere una normale vita sociale, fino alla scoperta della sieropositività con tutte le conseguenze del caso. Quindi proliferazione di visite mediche ed esami, impatto negativo in termini di depressione, auto isolamento, convinzione di essere portatori di altre malattie ben più gravi rispetto all’HIV (“la mente è più pericolosa di tutto quello che la circonda., i problemi veri sono quelli che lei-artigiana, falegname, burattinaia- si costruisce da sola”).
Accanto al presente l’autore racconta sé stesso, la propria infanzia e adolescenza vissuta a Rozzano,nella periferia milanese, una sorta di Scampia fatta di casermoni popolari nella quale circolano droga e delinquenza e dove essere omosessuali ed anche balbuzienti è sinonimo di diversità e quindi di accanimento e scherno.
“Lo spirito di Rozzano sta tutto inscatolato nelle case delle famiglie che si accontentano e di quelle che invece non lo fanno, e vanno contro la legge”.
La famiglia, è l’altro grande snodo della vita di Bazzi: padre e madre che si separano presto, entrambi i genitori cercano di rifarsi una vita e di tutto questo ne risente il piccolo Jonathan sballottato tra nonni materni e paterni, alla ricerca di affetto e di una propria identità che fatica a trovare.
Un libro interessante e pieno di riflessioni coraggiose ma che allo stesso tempo, forse, presenta qualche limite a mio avviso. L’alternanza presente/passato assolutamente regolare, dopo un po’ perde di smalto ed anzi il passato, con la sua portata di dolore e contenuto, tende a fagocitare il presente. Magari una narrazione più “asimmetrica” in cui passato e presente si fossero mischiati con meno prevedibilità, e non necessariamente con la sequenzialità infanzia-adolescenza-età adulta - un po’ come avviene nel romanzo “Patria” di Aramburu per chi lo avesse letto- sarebbe risultata più coinvolgente per il lettore. Infine anche la tecnica di scrittura risulta molto diretta, senza particolari arricchimenti stilistici e per un romanzo candidato al Premio Strega l’ho trovato un po’ riduttivo.