Dettagli Recensione
37.3 - 37.4
«Quando si ha paura davvero, la paura anestetizza anche se stessa. Non si sente più niente.» p. 83
È l’11 gennaio 2016, trentun anni non ancora compiuti, Jonathan non si sente molto bene, forse gli sta venendo la febbre. La temperatura oscilla tra 37.4, 37.3. Non è altissima, tuttavia, persiste. Una settimana, poi due, poi tre. Non accenna a sfogare, non accenna a diminuire. La colonnina del mercurio sembra essersi incantata. Che fare? Prima di tutto trovare un medico di famiglia, il ragazzo non lo ha perché si è trasferito a Milano da Rozzano ma con questa sensazione di fiacca, questa temperatura costante, questo perpetrare di stanchezza che gli impedisce anche di lavorare, non può rimandare ancora. I primi esami, mononucleosi? Ancora esami, tra cui il test per l’HIV mai fatto. Il tempo è volato, siamo già a febbraio quando i risultati arrivano: è positivo.
«Come potrò vivere sapendo di avercelo in corpo? Come posso accettare di passare il resto della mia vita con questo parassita invisibile e ineliminabile?»
Altri esami e un altro mese di attesa prima di poter iniziare la cura. Anche il compagno Marius deve sottoporsi al test; è impossibile capire come davvero il virus è stato contratto. L’accettazione, la convivenza con questo nemico pronto ad esplodere da un momento all’altro, la necessità di ripartire. Il tutto tra un alternarsi tra “ieri” e “oggi”, tra un Jonathan bambino con le sue fragilità e le sue ricerche e un Jonathan adulto che vede crollare le sue certezze, tra un Jonathan che cade e si rialza.
“Febbre” è un romanzo autobiografico che racchiude al suo interno anche una testimonianza di quel che significa essere sieropositivi, di cosa significa ricominciare a vivere una vita che è completamente nuova e diversa da quella che era stata indossata fino a pochi mesi prima. “Febbre” ci racconta di come può cambiare l’esistenza così, da un giorno all’altro.
Un racconto che coinvolge, che smuove, che suscita perplessità, che invita ad approfondire il tema.