Dettagli Recensione
Autobiografia catartica
Jonathan torna dall'università, è un giorno come tanti, è l'11 gennaio 2016. Non si sente bene, gli sta venendo la febbre. Non si tratta di una banale influenza, di una febbre che si dissolverà entro pochi giorni: la febbre di Jonathan non va più via.
Comincia così un percorso che attraversa tutto il libro, scisso su due piani temporali distinti: da una parte c'è il presente, la febbre che non passa, la spossatezza, l'incapacità di compiere le azioni della vita quotidiana che fino al giorno prima erano solo un'ordinaria routine, dall'altra c'è il passato, Jonathan bambino cresciuto a Rozzano, quartiere periferico di Milano, la sua infanzia segnata dal divorzio dei genitori, la presa di coscienza di avere un'identità sessuale diversa da quella della maggior parte delle altre persone.
“Febbre” è un'autobiografia ed insieme la testimonianza di un uomo sieropositivo. Jonathan ha l'HIV. Lo seguiamo nel racconto tra passato e presente. Un passato che ci narra di un'esistenza difficile (ma ci sono esistenze facili?), di un bambino che vive a Rozzano, un paese caratterizzato da grandi palazzoni di case popolari e dal disagio sociale dei suoi abitanti. Jonathan cresce tra il dolore per la fine prematura della sua famiglia e la consapevolezza di essere omosessuale. A lui infatti, maschio, piacciono i bambini. Fin dall'asilo si rende conto di questa realtà.
Intanto,tornando al presente, seguiamo Jonathan nei tormenti dati dall'incertezza del non conoscere da quale malattia si è stati colpiti, fino ad arrivare alla diagnosi della sieropositività. Lo vediamo naufragare in una disperazione negata, non accettata, che si trasforma in depressione, passività, incapacità di reagire, fino alla riappropriazione di una forza e di un coraggio che lo fanno emergere dal dolore.
Jonathan riesce a riprendere a vivere pienamente, ma si tratta di una vita nuova, diversa. Lui è una persona diversa, una persona che ha l'HIV ma che non vuole rimanere confinata nella vergogna e nella paura del giudizio sociale. Per questo Jonathan racconta, racconta tutto, senza veli, senza finzioni letterarie, senza artifici retorici: lui si mostra e ci mostra com'è stato, com'è, senza vergogna, senza pudore, senza paura. Un'autobiografia densa, cruda, catartica. Da leggere.
«Ho conosciuto lo sradicamento silenzioso, il vuoto della non appartenenza. Mi sono abituato all'idea che mi dovrei vergognare di quello che sono e ho capito che il patto velenoso si può spezzare raccontando tutto. Esporre il copione, il regolamento. Appropriarsi a proprio modo dello spazio dell'esclusione, introdurre una falla nel sistema e stare a vedere.»
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