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Quel leggero e pesante tremito dell'uomo
«Dopo molti giorni in cui mi svegliavo di cattivo umore, con un peso nel petto, difficoltà a deglutire, senso di oppressione, una mattina mi sono svegliato chiedendomi: perché mi sveglio sempre di cattivo umore? E ancora: perché dovrei invece svegliarmi di buon umore? Ma soprattutto: cosa sono il buono e il cattivo umore? Dove sta la verità dell’umore? Fingo di più quando sono di buono o di cattivo umore? E fingo rispetto a cosa? Rispetto alla realtà del mio umore, o rispetto alla fisionomia oggettiva della realtà che mi circonda? E quindi come dovrei essere, una volta accertata la fisionomia oggettiva della realtà che mi circonda, di buono o di cattivo umore? E se riesco con ragionevole obiettività ad accertare la fisionomia della realtà che mi circonda, ossia se mi riscopro dotato della qualità psicologica necessaria a giudicarla con ragionevole obiettività, perché allora il mio umore sembra insensibile a questa realtà, perché reagisce come se non esistesse, ma anzi come se la realtà di riferimento fosse un’altra, come se quest’altra realtà fosse, diciamo, tendenzialmente più brutta della realtà oggettiva?»
È da questo breve incipit che ha inizio il memoriale di Andrea Pomella sulla malattia che la comunità scientifica definisce sommariamente “depressione maggiore”. Una malattia che non ha una fisionomia precisa potendo, due malati della medesima patologia, mostrare sintomi differenti, provare diverse esacerbazioni, sempre nuove corruzioni del sistema nervoso. E ancora, quando la terapia farmacologica è efficacie, quando al contrario è contro-produttiva? Perché è importante scrivere, riportare su carta il proprio percorso di autoanalisi?
Con “L’uomo che trema” l’autore non offre al panorama letterario soltanto un testo inedito sullo studio e analisi della depressione e sulle problematiche relative alla salute mentale, dona molto di più. La sua è una ricostruzione accurata degli stati d’animo, dei pensieri, delle evoluzioni attraverso un continuo salto temporale tra presente e passato dove vengono toccate tematiche quali la disoccupazione, l’insoddisfazione comunque persistente dettata da un lavoro parastatale quale impiegato e emozioni quali l’angoscia, la delusione, la rabbia, il rincrescimento per tutte le circostanze avverse, l’incapacità di gestire quell’assenza di un senso a quella vita che rapida scorre via e che fa da cornice ad una serie di vicende familiari rimaste irrisolte e che hanno reso frammentaria la sua esistenza. Il divorzio dei genitori, infatti, ha tolto certezze, ha frantumato una costante, è stato la molla scatenante di un disordine incessante, ha determinato l’assenza di un padre che forse sempre poco presente è stato. Ma guarirà alla fine Andrea? Si può dire che una persona depressa possa guarire del tutto? Riuscirà, ancora, lo scrittore a far fronte al disagio umano scrutandolo nelle più oscure profondità?
Il tutto avviene mediante una penna lucida, orgogliosa, espressiva ma anche umoristica che fa sentire il lettore parte integrante del percorso di analisi, che lo fa entrare in totale sintonia e empatia con la psiche del protagonista sino a renderlo completamente partecipe di questo complesso percorso interiore. Pomella non teme di mettersi a nudo e la dimostrazione è data dal fatto che costantemente nel testo sono riportati precedenti della sua vita familiare che con la loro presenza rendono lo scritto ancora più concreto e tangibile.
In conclusione, un elaborato di grande riflessione, completo, capace di toccare le corde più profonde e perfetto per comprendere i meccanismi di una delle malattie più diffuse e ancora oggi difficili da curare.