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La consapevolezza
«Dove non c’è giudizio non ci può essere memoria e dove non c’è memoria non c’è neppure il presente»
Raffaele La Capria nasce a Napoli il 3 ottobre 1922, si laurea in Giurisprudenza nel 1947 ed è ricordato prevalentemente per aver vinto il Premio Strega nel 1961 con “Ferito a morte” opera in cui la narrazione ha inizio come in una sorta di dormiveglia e dove il protagonista, nel proseguo afferma di aver desiderato di “risalire il passato per ripartire dal punto in cui tutto si era guastato”. Seppur censurato dalla dittatura fascista La Capria cresce con gli scritti di Benedetto Croce, studioso che rappresenta lo spiraglio sul mondo in quella che era una Italia dove regnava un clima di chiusura. E paradossalmente, lo studio del suo pensiero è avvenuto proprio all’interno delle organizzazioni fasciste come il G.U.F., unici contesti in cui era possibile confrontare le proprie idee.
Nel 1945, La Capria, il cui soprannome era “Candido”, insieme a molti giovani tra cui Anna Maria Ortese, Luigi Compagnone, Francesco Rosi, Giuseppe Patroni Griffi e tanti altri, da vita a il “Sud”, giornale di cultura in cui cercarono di superare proprio quell’isolamento culturale dettato dall’ultimo ventennio. Non stupisce dunque che il “Sud” significasse “Europa”, non stupisce dunque che fu affermato in uno dei primi articoli che “la nostra nascita anagrafica si è perduta nel buio che ci ha preceduti… nasciamo da una morte con l’ansia di essere finalmente vivi…”.
Con il passare degli anni Raffaele sostituisce il tema della inafferrabilità del reale con quello di afferrare la realtà di una città altrettanto inafferrabile come Napoli, per renderla più accessibile, per liberarla dai luoghi comuni che la nascondono, per chiarirne la natura. A ciò segue anche una sostanziale analisi dell’evoluzione della società che passa per l’informazione e la cultura, per l’accesso ai dati e al fatto che non tutto, oggi, quello a cui abbiamo accesso, può definirsi culturale.
«Oggi abbiamo un’ampia conoscenza dei fatti, una vastissima informazione, ma tutto questo non si trasforma in cultura. L’unica cultura che abbiamo è quella del neocapitalismo, quella del mercato e del consumo, ed è quella che ci ha separato dal nostro passato e dalla nostra tradizione, senza offrirci né un presente accettabile, né un futuro possibile» p. 22
Nella seconda parte dell’opera La Capria si interroga sulla funzione dello scrittore che ha sempre alla base il ruolo di porsi come critico della società a cui appartiene non tanto in senso negativo quanto quale portavoce della conflittualità interna alla medesima che dovrebbe essere creativa e servire a migliorarla. Il tutto in una alternanza tra presente e passato e più precisamente tra quelli che furono gli anni del dopoguerra, gli anni della guerra con le lettere inviate durante il servizio militare dal narratore a Peppino Patroni Griffi, recuperate da Fausto Niccolini, amico di Aldo Terlizzi, compagno e erede di Peppino, e riconsegnate all’io narrante al compimento dei novantatré anni, e infine agli anni della Dolce Vita.
Con “Il fallimento della consapevolezza” Raffaele La Capria si conferma uno scrittore estemporaneo, ma fedele alla sua vocazione letteraria, che riesce a fondere con grande maestria saggistica e narrativa fotografando la quotidianità e offrendone una perfetta analisi.
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