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Ipotesi di una sconfitta
 
Ipotesi di una sconfitta 2018-09-10 13:47:32 Mian88
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Mian88 Opinione inserita da Mian88    10 Settembre, 2018
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La sconfitta di una società.

«Detestavo i vestiti di Zorro, dei cowboy, dei pellerossa. Se proprio dovevo attenermi all’usanza, desideravo travestirmi da autista dell’ATM, o meglio, dopo i successi lavorativi di mio padre, a capo dell’Atm. In fondo volevo travestirmi da mio padre: se per demolirlo con la derisione carnevalesca o per assorbirlo fino a farmi assorbire da lui, questo lo ignoro tutt’oggi» p. 22

Sin dalla più tenera età Giorgio ha sempre avuto un rapporto particolare con il padre. Se da un lato ne era affascinato tanto da desiderare di assomigliargli e immedesimarvisi, dall’altro, con il tempo, è diventato l’oggetto delle domande e delle risposte sulla questione del lavoro e del suo disfacimento. Perché se in una prima fase novecentesca il lavoro non era altro che elevazione sociale, con il tempo si è trasformato in decadenza, è divenuto una condizione di sopravvivenza mera ed effimera che si è trasfigurata nell’abbandono dello studio universitario, in una realtà precaria fatta di impieghi saltuari, improvvisati e alla bene e meglio, in un percorso di scelte talvolta consapevoli, talaltre inconsapevoli. Perché l’autobiografia di Falco non è solo un resoconto sulle sue esperienze professionali come venditore di scope di saggina, o come operaio in una fabbrica di spillette, o come scommettitore sportivo, è una vera e propria panoramica su quella che è stata l’evoluzione del mondo del lavoro dal secondo dopo guerra ad oggi. Questo potrà non piacere, potrà risultare pesante, potrà sfiancare quel lettore che cerca spensieratezza, leggerezza e un qualcosa con cui distrarsi dalla realtà. Eppure, questo testo, è tanto duro, crudo e spietato quanto tenero, concreto e disarmante proprio perché fa “storcere il naso”, proprio perché chiunque può immedesimarvisi.

«Rinunciare era un atto di presunzione, di orgoglioso distacco, il compiacimento di me e delle mie vere o presunte qualità, che potevano dispensarmi dagli studi universitari. Rinunciavo perché non avevo scelta»

E più precisamente, questa analisi a contrario, che parte dai ricordi di un bambino che vede questo padre immigrato dal Sud Italia a Milano per lavorare nella linea tramviaria come autista, in quello che è un lavoro costituito dal sacrificio, totalizzante e di prestigio per il solo fatto di esistere e di essere ambito, si focalizza sul ricordo di un paese genuino dove vigono le speranze e dove il fatto di avere un impiego significa avere una identità, significa semplicemente essere. La riflessione poi si sposta e passiamo al sopraggiungere sempre maggiore del precariato sinonimo altresì del valore del singolo risucchiato dalle maglie del profitto. Il singolo finisce con l’annullarsi perché tutto quel che conta è la cornice, il risultato. Convincere il cliente è più importante. Raggiungere il target è fondamentale, impensabile è non arrivarvi. Pertanto, nel momento in cui Giorgio decide di sottrarsi alla visione del lavoro come mezzo d’assalto, è consapevole e certo che per lui, quel mondo, rimarrà una porta chiusa, blindata. Da qui l’impegno di coltivare la scrittura. Fallimenti e abbandoni che si sono susseguiti non possono che rappresentare una presa di coscienza a cui segue una disanima attuale ma affatto allegra. Anzi, le parole echeggiano nella mente come una denuncia, sono amare, taglienti.
Il risultato finale è quello di un libro caratterizzato da una particolare sensibilità mixata a profonda analisi critica e introspettiva che non si sottrae alla descrizione di un processo di impoverimento che non è solo economico ma anche morale. Un impoverimento che rappresenta una sconfitta. E questa sconfitta non riguarda il singolo, ma la collettività, perché porta alla frammentazione, all’impossibilità di una qualsivoglia evoluzione, perché porta ad aumentare la forbice tra chi fa parte di una fazione e chi dell’altra. Una forbice che diventa sempre più larga e incolmabile in una società dove i valori sono sopraffatti dalle futilità, in una società dove non vi è più interesse allo studio e alla documentazione, in una società dove pensare e riflettere finisce con l’essere troppo faticoso e impegnativo rispetto alla facilità di rifuggire alla pesantezza e alle difficoltà. La strada più semplice è la più facilmente percorribile, la strada della colpa altrui è preferibile a quella dell’introspezione, a quella del cercare le risposte alle domande.
Attuale, riflessivo, adatto a chi desidera interrogarsi e sapere di più sulla società che lo/la circonda, a chi cerca la risposta alla domanda “perché si è arrivati a questo punto?”.

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