Dettagli Recensione
la madre seduta sul marciapiede di una stradina
Racconto autobiografico, corredato da foto e da stralci di autentica corrispondenza di fine anni ’50 fra Elena e Vittorio (genitori dell’Autore), dove Alajmo ci rende partecipi del dramma che anni addietro ha colpito la sua famiglia: l’Autore ripercorre la storia e lo svilupparsi degli intrecci familiari, dove il nodo è costituito da un tragico evento accaduto nel ’78 e che non può non avergli segnato la vita. La prosa è scorrevole (il libro si può leggere in un solo giorno, massimo due), molti gli spunti di riflessione che l’Autore semina nel corso della narrazione, ad esempio i suoi pensieri sulla non consapevolezza dell’uomo dell’attimo esatto in cui egli è felice, la non consapevolezza dell’importanza dei piccoli gesti (le “Gioie Irrecuperabili”), la difficoltà di accomiatarsi dalle persone care, l’ineludibilità del fato, per cui non si può mai sapere quando sarà l’ultima volta che vediamo una persona …
Alajmo tratteggia nel corso del libro se stesso bambino, poi ragazzo, adolescente, quindi padre di Arturo, avuto dalla compagna francese.
Delicato il richiamo alla memoria di parenti (nonni i zii) di entrambi i rami familiari, protagonisti dei Natali di “Roberto bambino” trascorsi a casa della nonna; alcuni ricordi sono sfumati, ma intrisi di memoria olfattiva.
Alajmo ci racconta il ricordo a volte ovattato, a volte vivido, dei segnali di malessere che dava la madre Elena ancor prima del ’78; lui bambino innocente che spera, ad ogni dimissione della madre dalla casa di cura, di non vedere più i farmaci da cui la madre era divenuta dipendente …. riecheggia la sua adolescenza/prima gioventù, irrimediabilmente segnata dall’episodio in cui ha incrociato la madre per l’ultima volta - inconsapevole in quel momento che non ci sarebbero poi state mai più altre occasioni di vederla. Alajmo lenisce la sofferenza dell’essere umano con una vena di ironia nei suoi confronti, trova linfa vitale nella paternità, idea rifiutata in gioventù (tanto devastante fu il trauma), ma poi concretizzatasi poco prima del suo 35esimo compleanno con la nascita del figlio Arturo; quindi va oltre, aprendo il pensiero al suo divenire nonno, quasi angosciato all’idea che, in caso contrario, nulla di sé verrà lasciato ai posteri. Nel finale, a mio parere, emerge serenità, grazie all’avvenuta rielaborazione dei vissuti e alla riconciliazione con un passato tormentato.