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Il potere salvifico della parola
Simona Vinci scrive Parla mia paura: un’esperienza autobiografica, che assume una valenza universale. L’ansia, il panico, la depressione spesso restano uniti, solo accettando di condividere l’esperienza si sopravvive. La Vinci si affida alle parole perché
“non mi hanno mai tradita”.
Si immerge nella paura e cerca un linguaggio per confessarla. Descrive la sensazione di soffocamento, di terrore che paralizza, una tempesta di stati di animo:
“la paura delle automobili, delle luci troppo forti, dei luoghi troppo affollati, di quelli troppo vuoti, di quelli troppo chiusi o troppo aperti, paura di stare con gli altri o di restare sola.”.
Il linguaggio è crudo e diretto nel raccontare un’esistenza tra attacchi di panico e depressione. Parla del declino, dei momenti più duri della malattia ma anche di quando ha deciso che la paura non doveva vincere. E’ un viaggio scarnificante nell’anima, la Vinci ritiene che la parola non sia il mezzo per raggiungere la soluzione, ma la soluzione stessa. Tra il memoir e il manuale di auto aiuto combatte “il luogo nero, il fantasma che striscia sul pavimento della soffitta.” Chi ha una fede trova spiegazione nella logica celeste, la Vinci crede solo nella scrittura. Questo libro dolente invita a far luce sui mostri invisibili della depressione. In un soliloquio parla alla sua coscienza, alle canzoni generazionali di Chris Cornell, a un amico che non c’è, di un dolore giovane e di una malinconia curata male con l’imbarazzo del silenzio, parla di un figlio non desiderato, poi compreso. Un libro con la musica e i colori, tinto dalle parole, dalla loro sonorità. Scavando dentro se stessa ci dona uno specchio in cui rifletterci: nella letteratura dalla voce nitida ed intensa, tutti possono trovare salvezza. Consapevole della lezione di Plutarco secondo cui la lingua è fortuna o destino, divinità o demone, ha usato parole che hanno aperto varchi e l’hanno salvata.