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SONO NATA IN SARDEGNA
Cosima quasi Grazia fu il titolo voluto da Antonio Baldini per la prima edizione di un’opera postuma, incompiuta e forse solo abbozzata, pubblicata dapprima in puntate nel 1936, l’anno stesso della morte, e poi edita in volume per i tipi Treves l’anno successivo. Cosima è il secondo nome del Premio Nobel, è dunque la sua vera identità, svelata in una sorta di memoriale scritto in terza persona e teso a recuperare il perché di un’esistenza, il suo andamento, la sua origine. Si tratta di un’autobiografia romanzata e purtroppo rivista e censurata dal figlio Sardus e dallo stesso Baldini. Sul finire di questo 2016, anno deleddiano per volontà della Regione Sardegna ( ricorre l’ottantesimo anniversario della morte e il novantesimo del Nobel), la casa editrice Edes ne ha proposta un’edizione critica epurata dagli eccessi correttivi.
Che cosa si andava a celare, a camuffare, a sminuire? Semplice! Tutto ciò che comunque trapela anche dalla lettura dell’edizione baldiniana. Ci si rende conto immediatamente che lo spazio e il tempo hanno potuto poco rispetto all’amore per la scrittura, a poco è valso nascere a Nuoro nel 1871, e di contro proprio quel destino spazio- temporale ha decretato il perché di tutta la scrittura deleddiana che è profondamente intrisa nella terra di appartenenza.
Se si riesce a superare la ruvidezza di un’opera postuma, queste pagine possono essere godute come un documento sulla condizione femminile nella Sardegna di fine Ottocento e primi del Novecento, seppur in prospettiva di gran lunga privilegiata, la nostra autrice appartenendo ad una famiglia mista già avviata al processo di imborghesimento e dunque ben lontana da altri e più terribili destini.
E allora non si sarà molto lontani dai sogni giovanili, dalle speranze che animano il cuore, dai tremori che accompagnano le prime simpatie, non si sarà neanche tanto lontani da quelle delusioni cocenti che svelano l’intima essenza della famiglia di provenienza, le sue debolezze, i suoi limiti. Si scoprirà come si forma un animo esposto a miti, leggende, usanze, credenze, valori culturali che nella loro potenza distruttiva minano per sempre il cuore di chi se ne nutre; si vedrà anche come una giovane possa leggere questo bagaglio culturale trasformando l’onta in identità attraverso il necessario e doloroso passaggio del distacco, dalla propria famiglia, dalla tradizione, dalla terra, infine, di certo pagando lo scotto di sentirsi diversa, non uniformata, di sicuro colpevolizzata per il fatto di voler far valere il semplice diritto di autoaffermazione. Vale il Nobel anche solo per questo. D’altronde cosa si poteva pretendere da un una signorina sarda, bruttina, avvezza solo al dialetto, scolarizzata fino alla quarta elementare, immersa in una cultura profondamente maschilista? Brava Grazia!
“Sono nata in Sardegna, la mia famiglia composta di gente savia ma anche di violenti e di artisti produttivi, aveva autorità e aveva anche biblioteca ma quando cominciai a scrivere a tredici anni fui contrariata dai miei...” (dal discorso al conferimento del Nobel nel 1926).
Ecco perché è importante ricordarla, scoprirla, rileggere le sue opere.
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Commenti
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ho letto diversi titoli dell'autrice e senza dubbio qualcosa è più riuscito qualcos'altro meno, ma trovo che abbia lasciato un'interessante eredità letteraria al nostro paese.
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