Dettagli Recensione
Fuga da Al Karatz
Bassano del Grappa, il veneto italiano con le sue strade pulite e ordinate, le bancarelle colorate e la gente fitta e chiassosa per strada. Un dolce alla Nutella, il bar e una tazzina che scalda le mani , una piega dalla parrucchiera. I jeans aderenti, le magliette di cotone e un centimetro di pelle in vista . I capelli folti e lucidi che non temono vento e sguardi, il lucidalabbra. Tredici anni ed il primo fidanzatino, Andrea.
Dettagli, per ogni ragazza in Italia. Anche per Amani, nata in Siria e arrivata qui a tre anni, cresciuta come noi. Poi, come in uno scorcio di pazzia che rende l’incubo reale, la vita cambia.
Dell’Italia e della liberta’ restano lo scontrino stropicciato di un caffè e una piccola valigia con qualche vestito europeo , nascosti e protetti con la cura di una mappa per l’El Dorado.
Preziosi, hanno il valore di ricordarle che non era un sogno, non era immaginazione. Quei dieci anni erano veramente esistiti.
Trascinata in Siria con l’inganno dalla madre decisa a strapparla dall’assurda piega occidentale intrapresa, Amani El Nasif reprime ben presto l’entusiasmo di conoscere il suo paese natale, quel fascino antico di luoghi millenari letti sui libri. Si ritrova prigioniera nel piccolo villaggio di Al Karatz, promessa sposa ad un cugino. Una realtà ben lontana da quella della più moderna Aleppo, un modus vivendi regolato da leggi arcaiche dove la donna è vittima silente, tra violenze e vessazioni, sepolta da strati di stoffe scure.
Amani riuscì a fuggire ad un destino che pareva ormai compiuto, tornata a Bassano oggi è la (bellissima) mamma di una bambina che ha voluto chiamare, non a caso, Vittoria.
La sua storia è terribile e interessante, sottolinea quante difficoltà possano esserci nell’integrazione di culture radicalmente diverse ponendo l’attenzione sulla drammaticità della situazione femminile in molti luoghi siriani, per questo val senz’altro la pena di essere letta ed apprezzata.
Un capitolo a parte merita l’aspetto tecnico curato da Cristina Obber.
La scrittura, che nell’intento immagino volesse avvicinarsi il più possibile all’adolescente che era Amani quando avvennero i fatti, è piuttosto mediocre e dilettantesca. Il lessico semplice è consono, ma la presenza di sciocchi inglesismi, sms e termini scurrili sta alla letteratura come l’aceto sta alle fragole nel dessert di un goloso.
Ultimo e su cui proprio non riesco a glissare, se “cavò” lo avessimo correttamente custodito nel “caveau” di una banca, oggi il verbo cavare non si sentirebbe derubato del suo passato remoto ( pag. 122 “ a entrare nel cavò di una banca”).
Peccato, con un taglio più professionale si sarebbe potuto restituire al dramma di Amani l’impatto emotivo che avrebbe meritato , valorizzando la testimonianza di questa coraggiosa e testarda ragazza.
Buona lettura.
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