Dettagli Recensione
"La cucina che ci rende umani"
Nondimeno, il gusto, così come la natura ce l’ha concesso, è ancora quello fra i nostri sensi che, tutto ben considerato, ci procura il maggior numero di godimenti:
1. Perché il piacere di mangiare è il solo che, preso con moderazione, non è seguito da stanchezza;
2. Perché è d’ogni tempo, d’ogni età e d’ogni condizione;
3. Perché torna di necessità almeno una volta al giorno e in un giorno può essere ripetuto, senza danno, due o tre volte;
4. Perché può mescolarsi a tutti gli altri piaceri e anche consolarci della loro mancanza;
5. Perché le impressioni che esso riceve sono a un tempo più durevoli e più dipendenti dalla nostra volontà;
6. Infine perché mangiando proviamo un certo benessere indefinibile e particolare che ci deriva dall'istintiva conoscenza che mangiando compensiamo le nostre perdite e prolunghiamo la vita.
JEAN-ANTHELME BRILLAT-SAVARIN, Fisiologia del gusto o Meditazioni di gastronomia trascendente, Meditazione II, PP. 52-53.
Questa è solamente una delle tante riflessioni filosofiche da cui partono le autrici per arrivare alla creazione di questo saggio.
Maestro e fonte inesauribile d’ispirazione è il politico e gastronomo francese Jean Anthelme Brillat-Savarin, colui che verso la fine del Settecento firmò il trattato de La fisiologia del gusto, o Meditazioni di gastronomia trascendente, un’opera che mescola amabilmente nozioni scientifiche, riflessioni filosofiche, aneddoti storici e consigli, una pietra miliare su cui venne fondata la figura dell'intellettuale gastronomo. Lo scopo delle autrici è proprio quello di riprendere e attualizzare la filosofia del buon gusto francese per celebrare la gastronomia e i piaceri dei sensi che si incontrano nel preparare il cibo, nel servirlo e nel mangiarlo. Il cibo in sé fa da sfondo a tutto il libro, perché sono esaltate tutte le componenti che, generalmente, vengono poste in secondo piano. Il piacere di fare la spesa, l'allestimento meticoloso della tavola, la selezione degli invitati, l'arte dell'intrattenimento a tavola e,non meno importante, “l'antica abilità di trasformare gli ingredienti in cibo”. Passando dai loro ricordi d'infanzia alla modernità attualmente vissuta, le autrici descrivono tutto ciò che si è perso durante il passaggio temporale. Siamo arrivati ad un punto dove non è più necessario saper cucinare per mangiare, dove tutto è pronto per essere consumato subito e magari anche in solitudine perché cucinare è diventata una perdita di tempo. Tutto vige in funzione della fretta, della velocità e della frenesia delle nostre vite che ci tolgono la libertà e il potere di creare quello che ci piace, che dà godimento e appaga i sensi. Meditando sulle considerazioni fatte dalle scrittrici ci si può domandare quali saranno le tradizioni culinarie, gli odori e i sapori che i figli del futuro saranno in grado di tramandare? Sarà piacevole farsi raccontare come le mamme sfornavano i “sofficini” ,come preparavano i “Saikebon” in tre minuti o quanto erano buone le lasagne domenicali pronte in cinque. Ci stiamo smarrendo. É necessario tornare alle origini e recuperare le ritualità che hanno il potere di salvarci e farle divenire diritti inviolabili. Perché è “La cucina del buon gusto” che ci rende liberi, ci rende vivi, ci rende umani.