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Una tigre costretta a essere una bambola
“Un cuore pensante” sospinge Susanna Tamaro nella dolorosa, affannata ricerca di una spiritualità che la società ostacola in ogni modo.
Nella prima parte (Tentativi di volo) la scrittrice cerca nella propria infanzia la matrice di questa estenuante disamina che talvolta è motivo d’orgoglio (“Una tigre costretta a essere una bambola!”), più spesso di sofferenza. La matrice sembra essere una personalità che si manifesta prestissimo, attraverso tendenze (“Il circo mi faceva piangere”) e preferenze (“Tra i sentimenti, il mio prediletto era la gentilezza”) che segmentano la bimba dagli altri (“Passare inosservata, l’aspirazione suprema”). Secondo me, questa è la parte più interessante del romanzo-diario: in essa la confessione retrospettiva (“La forzata genitalizzazione della realtà umana ci sta spingendo verso risacche di desolata tristezza”) individua già nei giochi (“Amavo le cose neutre: pattinare, pedalare, giocare a nascondino, raccogliere sassi”) l’aspirazione all’autenticità (“Diversità, il più delle volte, non è nell’identità sessuale, ma piuttosto nella dolcezza dell’anima”), il rifiuto delle imposizioni, l’esigenza di trovare risposte emotivamente e intellettualmente appaganti (“Veniamo da un’oscurità e ci dirigiamo verso un’altra oscurità”).
Nella seconda parte (La parte non misurabile), l’insoddisfazione e il dolore si razionalizzano nei quesiti vitali (“Chi aveva creato la vita aveva anche creato la morte? E per quale ragione?”) che sembrano non trovare risposta alcuna nella religione tradizionale (“La fede è l’esatto opposto dell’oppio”), troppo radicata nei meccanismi di una società che contrappone l’individuo al creato (“L’autismo elettronico ci rinchiude tutti in invisibili scafandri…”), l’apparenza all’essenza, l’artificialità alla realtà (“Bulimia di incontri virtuali che, in realtà, non sono altro che una carestia di incontri”).
Nella terza parte (Un faro nella notte) un incontro casuale (“Mi capitò di vedere il film di Zeffirelli su san Francesco… Quel ragazzo parlava con gli animali, come facevo sempre io quando mi trovavo sola nella pace dei boschi”) imprime una svolta decisiva (“Prendo solo la vita da voi, non altro”), favorita dal fatto che la ricerca assidua e pertinace ha l’effetto di produrre spirito critico (“L’arte… diventa convulsa esibizione di un narcisismo nichilista, innamorato dei suoi fantasmi de del degrado che possono generare”) grazie al quale è forse possibile riconoscersi (“Noi siamo partecipi della natura di Dio”) nella spiritualità che attraversa il mondo: “Quando questo spirito di maternità tornerà sulla terra, potremo finalmente sollevare lo sguardo verso il cielo e accorgerci che Dio non è un re, ma un nido”.
Una ricerca apprezzabile, un risultato sicuramente da comunicare e condividere, nonostante qualche eccesso dell’ego-riferimento (“Se così non fosse stato, il grande successo mediatico, la popolarità avrebbe travolto la mia vita, trasformandola nella pietosa rappresentazione di un personaggio”), che in una confessione – ad onor del vero - è forse inevitabile…
Bruno Elpis
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Con il tuo bel commento mi hai fatto scorgere una Tamaro che non conoscevo. Di lei ho letto solamente "Va' dove ti porta il cuore": un libro che definisco brutto, ed è tutto. Ora però molte delle frasi che hai riportato mi paiono assai profonde. Pensò che l'autrice meriti di essere ripresa in considerazione.
"La forzata genitalizzazione della realtà umana ci sta spingendo verso risacche di desolata tristezza”....Vabbè per me la Tamaro coniuga perfettamente ai baci perugina come l'umidità di questi giorni all'appiccicaticcio delle ascelle. :D
@ Emilio: però non addossarmi responsabilità nel caso non incontri il tuo gusto... :-)
@ Gracy: le ascelle? La mia genialità??? Ma tu ti prendi gioco di me!!! :-)
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Leggendoti ho provato grande affinità con i contenuti espressi.
Un libro da mettere in lista.
Grazie per la bella segnalazione.
Pia