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L’amore, come la satira, ottunde
“Vacche amiche” è un’autobiografia che Aldo Busi scrive con la tecnica della vernice a spruzzo, disseminando episodi a singhiozzo in un terreno fertilizzato dallo spirito critico e dalla libertà stilistica.
Il titolo costituisce un ossimoro con la cover, affidata alla riproduzione di un’opera di Fabio Romano (Paesaggio 2008).
Durante il viaggio verso Davos, il racconto si snoda bizzoso, stizzito, a momenti nostalgico, con toni che oscillano tra il narcisismo creativo (“I neon che accecano ogni umano discernimento, il mio a parte”), la polemica sociale (“Il mio dolore era un dolore tutto sommato occidentale e ormai privilegiato, un dolore che non usciva da una guerra, da una fuga fortunosa da un paese martoriato…”), l’indifferibile solitudine (“Più si allungano le aspettative di vita, più si accorciano quelle di stare in compagnia”) che costringerebbe chiunque in un angolo: chiunque, non Aldo Busi.
Oltre alle memorie dell’infanzia e della gioventù, colpiscono le riflessioni sulla condizione dello scrittore contemporaneo (“La prima volta che andai in televisione… mi fu chiesto quanti erano secondo me in Italia i lettori che avrebbero potuto leggerlo – ndr: Vita standard di un venditore provvisorio di collant -… Risposi di getto, Diecimila… oggi… risponderei Seicentosessantasei, tanto per gradire e perché la televisione vuole le sue diavolerie di risposte un po’ d’effetto, ma anch’io come Manzoni penserei Venticinque, e non uno di più”) e sulla letteratura dei nostri giorni (“Morta è ogni cultura che non sia edibile all’istante, collettivamente partecipata e che non raggiunga il suo apice in un karaoke da social network o da saga del cartaceo con incontro d’autore transeunte…”). Con qualche buona parola sui romanzi d’intrattenimento (in particolare, Aldo Busi si scaglia – senza mai nominarla - contro Donna Leon, americana che vive a Venezia e che lì ha ambientato le gesta del commissario Brunetti: ben 17 romanzi, pubblicati in 23 lingue ma non in italiano, per precisa scelta dell’autrice).
La parte centrale è strutturata sull’analisi del rapporto con tre donne, quella finale vira verso una proposta vitale che vede, forse, una via d’uscita nel ritorno alle origini contadine ed essenziali.
Lo stile è dovizioso, esagitato, talvolta delirante, provocatorio, stimolante, con qualche immancabile aforisma: “L’amore, come la satira, ottunde. Il sesso, come la letteratura, affila”.
Bruno Elpis
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Sì Mia, leggilo, poi ci dici... :-)
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