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Cronaca damiliare
Accompagnato dal ricordo di un’appassionata lettura adolescenziale sono tornato a questo breve scritto pratoliniano per vedere se le trenta abbondanti primavere in più sulle spalle ne potessero aver modificato la percezione da parte mia. La risposta è no: i tre decenni trascorsi avevano lasciato nella memoria solo le grandi linee della vicenda e così il libro si è potuto rivelare come se non l’avessi mai letto, sprigionando dalla sua prosa semplice e intensa un profondo coinvolgimento emotivo. Come scritto nell’introduzione, più che un romanzo si tratta di un confronto dello scrittore con la figura del fratello, la cui morte precoce spinse Pratolini a buttare giù di getto queste pagine: un fratello da cui era stato separato dalla nascita a seguito della morte della madre e nei confronti del quale l’antipatia infantile e l’indifferenza della gioventù si trasformano solo con lentezza – troppa lentezza, secondo l’autoaccusa - in un vero affetto. Appena nato, il piccolo Dante - rinominato Ferruccio: Dante ritenuto un nome plebeo a Firenze? - viene accolto in una famiglia benestante crescendo protetto da una sorta di bolla mentre l’autore viene allevato dalla nonna e rimane così vicino alle proprie radici popolari: inevitabile che lo scontro con la durezza della vita sia più doloroso per il primo, anche se il secondo, man mano che la conoscenza si approfondisce, fa il possibile per aiutarlo. Rivolgendosi direttamente a Ferruccio, Pratolini ricostruisce le tappe salienti del loro rapporto (le altre, ammette, sono svanite dalla memoria) dividendole in tre capitoli: l’infanzia, l’età giovanile e quella matura. La prima ricostruisce in modo mirabile la Firenze di inizio Novecento senza dimenticare di sottolineare le stridenti differenze di classe, la seconda racconta la vitalità dell’adolescenza malgrado le ristrettezze economiche ed è illuminata dal rapporto dei due ragazzi con la nonna che culmina nella gita fuori porta mentre l’ultima narra la malattia (alquanto misteriosa) di Ferruccio ricostruendone nel frattempo in flashback gli inciampi nell’età adulta. La rievocazione di ogni passaggio è contrassegnata da un’emozione palpabile, ma tenuta a bada con maestria facendola scorrere sottotraccia in modo che il ciglio resti asciutto: un esercizio di grande abilità compiuto utilizzando una lingua essenziale dalla quale è stato eliminato ogni elemento superfluo anche nei passaggi più lirici e che pure incatena subito con il suo ritmo interiore comunicando in modo diretto ed efficace le sensazioni che potrebbero travolgere lo scrittore. Nessuno può dire quanto il coinvolgimento (sconvolgimento) emotivo abbia contribuito a tirare a lucido l’espressività diffusa in centotrenta pagine davvero ammirevoli (e non se ne vorrebbero di più, pena la stucchevolezza): di certo, con esse Pratolini, che le completò in poche notti poco più che trentenne, mette in mostra come meglio non si potrebbe la sua capacità di scrittore facendo di ‘Cronaca familiare’ un capolavoro della letteratura italiana.
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Ma mi capita anche di dirmi : o come ha fatto a piacermi questa roba ? dove avevo la testa'?
Cronaca familiare fu una lettura commovente e la scoperta dei rapporti tra fratelli : mondo ignoto per me figlia unica.
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