Dettagli Recensione
Exit strategy
Quasi un sospiro di sollievo si tira quando il libro si conclude, perché fa male leggerlo; le pagine scorrono veloci, infarcite di uno stile così rude, ma al tempo stesso ricercato che non permettono la resa; la trama pur essendo il quarto capitolo di una trilogia o un sequel come piace definirlo al suo autore, è piuttosto semplice: si narrano le vicende di uno scrittore omosessuale, a cui l'autore ha prestato il suo nome creando un gioco di specchi che disorienta, già in odor di pensione e del suo trasferimento da Roma a Milano.
Cosa riesce, allora, ad emozionare in modo così profondo?
Se la lettura avviene fluida e costante, si riesce a vivere le situazioni e l'angoscia, il senso di vuoto, che attanaglia il protagonista perso in una realtà che non vuol vivere, ma che è costretto a guardare con occhi spalancati.
La personale catarsi del protagonista, galleggia a mezz'aria sulle vicende italiane, il contatto con la realtà si ha nelle vicende di Berlusconi degli ultimi tre anni, scorci di televisione spazzatura ricordano che è il nostro paese quello raccontato e insinua il senso di disperazione, di assenza di possibilità di ripresa, di felicità, di realizzazione.
Come fu per “Resistere non serve a niente”, ma con una punta di cattiveria in più, il lessico è quasi sconcio, forte, scuote gli animi, costringe a riflettere e ad interrogarsi attraverso il paravento dell'omosessualità, di un mondo così lontano dalla regola -così lo racconta- fatto di escort e di sesso estremo, per far trasparire la voglia di normalità, che è l'unica via di fuga, l'unico vero rifugio per una serenità forse più tiepida, ma vera.
Non è una sconfitta, non è il riposo del guerriero che dopo una vita fatta di estreme azioni e di tentativi di ricercare in un estetismo rifocillante, non è la rassegnazione di chi non ha più soldi per comprare i propri desideri, è la consapevolezza di essere giunti alla fine di un percorso e di non avere più voglia di cercare qualcosa che non esiste se non nell'evanescenza delle proprie immagini mentali.
La crudezza con cui si racconta il lento decadere della madre malata, affetta da una demenza senile ormai irrimediabile, distrugge, perché descrive con chiarezza le molte realtà che esistono, i pensieri non detti, ma fatti trasparire, la crudeltà di un egoismo così radicato, ma non ammesso, giustificato, mascherato; così metafora dopo metafora, la realtà intorno i mescola con la realtà immaginata, con i sogni non realizzati, e solo quando i sogni si realizzano, quando le sorprese si palesano ecco che quella realtà cruda, goccia goccia da concretezza alla vita sognata e tingendola di verità la rende vivibile.
Siti ci regala un libro schietto, fatto di note autobiografiche, forse, ma che lascia un segno così crudo e dolce da riconciliarci con il mondo, donandoci una speranza di felicità, non sofisticata, ma genuina.
Non è un testo da intrattenimento, ma un libro che va gustato e amato, assaporando ogni parola che nella sua schiettezza nasconde una ricercatezza lessicale che lascia interdetti.
Siti si conferma uno dei nostri migliori scrittori, per intensità e per stile.