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L’Italia su due ruote
“Tutti primi sul traguardo del mio cuore” è una retrospettiva romanzata del Giro d’Italia 2013, scritta da Fabio Genovesi che – nello staff del Corriere – parte per un’avventura a tappe in compagnia dell’amico-autista Enzo.
L’autore ricorda il suo amore giovanile per la bicicletta: si era ripromesso di coronare un sogno, quello appunto di partecipare, un giorno, al Giro d’Italia, da protagonista: “All’epoca non l’avrei mai detto che al Giro poteva servire uno scrittore”! La scrittura diventa dunque il modo attivo e personale di vivere un’avventura che appassiona l’Italia intera. Così, con tanta ironia e con una punta di nostalgia, Genovesi ci conduce attraverso località, tradizioni, manie e sogni che aleggiano sulla nostra penisola, scandendo l’itinerario con le tappe del giro ciclistico e proponendo una divertente cronaca della gara (“Maglia rosa, maglia azzurra del miglior scalatore, rossa per la classifica a punti e bianca per il miglior giovane saranno protette dalle Ombrelline…”).
Oltre all’escursione geografica, il romanzo è anche l’occasione per narrare aneddoti e curiosità sui campioni del ciclismo: del passato e di oggi. A partire da colui che vincerà il Giro 2013: Nibali, “il giovane siciliano soprannominato lo Squalo dello Stretto, che sente l’odore del sangue ed entra in frenesia. Il sangue è quello di Wiggins…”
In questa rassegna naturalmente non possono mancare Gino Bartali (corre l’anno 1948: “Si racconta che De Gasperi e Andreotti telefonarono a Gino, che arrancava al Tour, chiedendogli una grande impresa perché gli italiani si esaltassero per la bicicletta e scordassero i bollori rivoluzionari”) e Fausto Coppi, Darwin Atapuma detto “El Puma” (“timidissimo… doveva fare il campesino…”), il Girardengo degli anni venti, il velocista colombiano Edwin Avila, i tre rivali Zandegù, Merchx e Gimondi. E naturalmente non può mancare il Pirata: “Da ragazzino ero innamorato di Pantani, come tutti. E quello che esaltava del Pirata non erano i suoi primi posti, erano le imprese, era il fatto che lui ci provava, sempre”.
Da non sportivo quale sono, durante la lettura mi sono sorpreso ad apprezzare il retrogusto di un romanzo che racconta lo sport non soltanto come tale, nelle sue gioie e nei suoi dolori, ma anche come disciplina di vita e come allegoria. E’ il caso del “paradosso della solitudine del ciclista”: “Quando le tappe sono adatte alla volata, i tuoi compagni non hanno il passo per starti accanto e lanciarti nello sprint, quando invece ci sono le montagne, loro se ne vanno lassù a tutta velocità mentre tu annaspi da solo in fondo al gruppo, sperando di sopravvivere in qualche modo”. Non è forse, questa, una metafora della solitudine umana?
Bruno Elpis
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Bel commento !
Poi ci si è messo in mezzo il doping e vabbe.....
Però lo metto in wl,mi hai ricordato qualcosa che mi piaceva tanto :)
Grazie Bruno per la segnalazione.
Pia
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