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Le Streghe in Piemonte
Il libro in questione tratta di un tipo particolare di strega: la Masca, ovvero la strega o lo stregone della tradizione popolare piemontese, detta ghigna fàussa in quanto ‘falsa’, cioè portata a mistificare le cose e in primo luogo il proprio aspetto. Queste streghe (o stregoni, anche se la versione maschile è più rara) possiedono un libro speciale, il Libro del Comando, che le mette in diretto contatto con i poteri oscuri donati dal Diavolo. Grazie ad essi, sanno mutare il proprio aspetto in quello di animali (i tipici abitanti dei boschi italiani oppure animali da fattoria, in special modo maiali e capre) per fare dispetti e cattiverie agli abitanti dei villaggi. Sanno inoltre controllare il tempo, lanciare il malocchio e tutte quelle amene attività da strega che, se non faceva attenzione, finiva sul rogo oppure bastonata dai compaesani infuriati.
Le masche, di norma, si riconoscevano per il carattere asociale, l’aspetto trascurato, spesso associato ad un handicap evidente, come la zoppia, uno sfregio o la presenza di una gobba sulla schiena. Ciò che è diverso, stravagante, fuori dalla norma diventa quasi sempre segno di loschi affari con il Demonio.
Il libro si rivela molto interessante fin dalle prime righe, in quanto offre uno scorcio di vita nemmeno troppo lontana nel tempo eppure ormai remota a fronte dello sfrenato protendersi verso il futuro della società moderna. La lettura apre uno spaccato su un mondo ristretto, pieno di diffidenza e misteri, in cui il nucleo del paese si erge come porto sicuro al centro di un territorio dominato da boschi, strade pericolose e solitarie, colline e strapiombi. Le forze oscure sembrano annidarsi ovunque, pronte a ghermire chi diventa imprudente o attira troppo l’attenzione. Non siamo abituati a pensare in questo modo al moderno Piemonte, eppure basta inoltrarsi nelle colline del Canavese, ad esempio, per ritrovarsi sperduti in un mondo in cui la civiltà sembra un sogno lontano. Non stupisce, quindi, che la superstizione trovasse terreno fertile in luoghi in cui viaggi e comunicazioni con il mondo esterno non erano cosa di tutti i giorni.
L’autore, grazie al lavoro di anni passati ad ascoltare testimonianze degli anziani delle città piemontesi, ha raccolto un’ampia scelta di racconti: esperienze dirette di contatto con le masche e leggende dei villaggi tramandate durante le veglie, momenti in cui la comunità si riuniva e la conoscenza veniva passata ai più giovani. Questo lavoro si è dipanato attraverso più pubblicazioni; nel libro in questione, Bosca si propone di offrire al lettore un’analisi più dettagliata sull’origine della figura della masca, un lavoro antropologico più ampio.
Il saggio si divide in tre parti. Nella prima, l’autore tira le fila dei suoi lavori precedenti e descrive la figura della masca nei suoi tratti più caratteristici, analizzando i cambiamenti del territorio e della popolazione piemontese durante gli ultimi anni e la conseguente modernizzazione della figura della strega, oggi contaminata dalla new age e dalla stregoneria wicca, nonché dal satanismo privo di solida cultura esoterica in voga tra i giovani. Nella seconda parte, Bosca cerca, attraverso relazioni con culture diverse da quella piemontese, di trovare le radici storiche di questa figura folklorica. Una terza parte, infine, raccoglie testimonianze e storie di paese relative alle masche e alle loro malefatte.
Il saggio si legge bene, è scorrevole e adatto a qualsiasi lettore, dal meno avvezzo al tema al più svezzato sull’argomento. Non vi sono illustrazioni o note che possano distrarre: l’autore bada al contenuto, cercando di offrire quanto più gli è possibile senza tanti fronzoli. La scelta dell’argomento, di richiamo regionale e quindi di nicchia, è coraggioso e sottintende la passione di Bosca per la tradizione orale della sua terra. Questa passione si respira dall’inizio alla fine del saggio, rendendo la lettura piacevolissima.
Rovescio della medaglia, la sua cultura regionale tende a contaminare i suoi tentativi di allargare gli orizzonti sulle radici storiche della masca, facendogli trattare alcuni argomenti – come, ad esempio, l’influenza della cultura celtica continentale sulle tradizioni pre-cristiane del nord Italia- con una certa approssimazione e ristrettezza di vedute, come se la sua radicata territorialità non gli permettesse di cogliere tutti i nessi di un puzzle molto più grande. D’altra parte, questo saggio è solo un frammento di un lavoro più ampio. Per dare un giudizio vero e proprio dovrei leggere gli altri libri scritti da Bosca.
A parte ciò, “Masca – Ghigna fàussa” è una lettura che consiglio a cuor leggero.