Le recensioni della redazione QLibri

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LuigiDeRosa Opinione inserita da LuigiDeRosa    01 Novembre, 2011
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Donne e uomini sull’orlo di una crisi di nervi

In questa raccolta di racconti Curzia Ferrari, analizza le debolezze, i tic, le nevrosi dell’uomo contemporaneo. C’è la vecchia attrice che cerca nell’avventura con il giovane scandinavo di ignorare l’infame vecchiaia che avanza inesorabilmente, l’industrialotto che nonostante i soldi soffre per un cognome ridicolo, ma quando è pronto con gli amici a festeggiare il cambio di cognome che gli è stato concesso impazzisce definitivamente perché il secondo è ancora più denigratorio. Ci sono racconti sull’amore quello che dura tutta la vita, quello che sembra scomparire per diventare sogno per poi tornare realtà un giorno, quando meno te lo aspetti. Ci sono gli amori infedeli e quelli non corrisposti, fatti amarissimi calici. Ci sono le passioni,quelle sportive,quelle rossonere!,Rivera e Pippo Inzaghi su tutti. C’è anche tanta letteratura nei racconti di Curzia Ferrari,Gorkij,Dostoevskij e l’odiato Miguel de Cervantes Saavedra che , ahimè!, finisce in pasto ad una capra, del resto, la scrittrice mi perdoni, ma lei che ha confessato di amare fra tutti i personaggi di carta Stavroghin, ha fatto fare al povero sognatore iberico una fine “Demoni...aca!”
di Luigi De Rosa

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Severamente viatato agli interisti.Battute a parte lo consiglia a chi ama i racconti brevi,colti e cinici.
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Dilo Opinione inserita da Dilo    31 Ottobre, 2011
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il sorriso del conte

E' un libro che parla d'Italia, dalla prima guerra modiale al 1988. La storia di una famiglia di nobili, costretti a lavorare, gli esperimenti pedagogici del padre sul suo unico figlio. Padre che prende come sua unica fonte di ispirazione Rousseau e che proprio per questo non solo cresce suo figlio come l'Emile ma addirittura lo chiamerà Gian Giacomo. Il giovane odia il suo nome e l'inadeguatezza del programma educativo lo porterà ad essere fuori posto in ogni occasione, fin quando non si sposerà e poi incontrerà un cugino che sembrava disperso. Esilarati e interessanti sono i parallelismi, tra la guerra che l'Italia stava combattendo e la "guerra" che Gian Giacomo si trova ad affrontare con una moglie che per amor di patria decide di non assolvere più i suoi doveri coniugali.
Poi l'autore ci fa fare un salto di 50 anni e finalmente si comincia a parlare del Conte, ovvero il figlio di Gian Giacomo, e lo fa a partire dalla morte del conte Angelo, ciò che ne viene fuori è un uomo-bambino sempre sorridente, con una vita piena di segreti. Interessantissima è la figura del prete amico di Angelo, che nonostante abbia una vita completamente diversa da quella dell'amico e nonostante l'abito talare dovrebbe imporgli di disprezzare lo stile di vita di Angelo, il Don non può fare a meno di volergli bene.
E' una storia piacevole, scritta in tono ironico, potrebbe essere anche una bella storia, se non fosse che il finale è inconcludente, alla fine vorresti chiedere all'autore: "scusa potresti dirmi, se non ti disturba troppo, per quale motivo mi hai raccontato tutta sta cosa?"
Ciò che sinceramente non capisco e non tollero è l'uso dell'articolo determinativo prima dei nomi propri di persona, non è Italiano e risulta anche particolarmente fastidioso, l'articolo prima del nome viene usato soltanto dal narratore e non dai personaggi e ciò rende questa scelta (perché voglio sperare che sia una scelta) totalmente priva di senso, anche perché la narrazione è in terza persona e il narratore è fuori dalla storia. Se fossero stati i personaggi ad usare l'articolo prima del nome, allora, avrei potuto giustificare la scelta, visto che il romanzo è ambientato a Bergamo, avrebbe addirittura contribuito a dare veridicità ai personaggi. Quante volte ci hanno detto che leggere è importante,perché impariamo parole nuove e anche perché ci aiuta a capire come si scrive in italiano?
Sotto questo punto di vista bocciato lo scrittore e la casa editrice che avrebbe dovuto fare un minimo di editing

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Sydbar Opinione inserita da Sydbar    25 Ottobre, 2011
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Cieli in tempesta

Opera prima di Michael Gibbs, scrittore emergente italiano, nonostante il nome.
Thriller molto avvincente, con continui cambi di prospettiva ed indagine altalenante nei risultati. I personaggi sono molto ben delineati e molto bella la ricostruzione dei curriculum vitae di alcuni investigatori della Polizia di Stato.
La trama racchiude in sè molti argomenti attuali della società odierna, alcolismo, gioco d'azzardo, adulterio si intrecciano magistralmente e cosa molto bella non sempre i protagonisti possono essere vincenti ma allo stesso modo non è detto che non debbano superare gli ostacoli che la penna di questo autore mette sul loro cammino.
La morte di un docente univeristario, uno studente testimone inconsapevole (di cosa?), due Ispettori dalle personalità opposte ma ben affiatati, donne all'apparenza tranquille ma allo stesso tempo agitate come un mare in tempesta.
Tutti questi ingredienti, uniti a dei capitoli non molto lunghi, rendono l'opera piacevole alla lettura.
Unica nota negativa ma superficiale i caratteri molto piccoli utilizzati per scrivere il libro.
Complimenti alla casa editrice "Il Ciliegio" un buon investimento.
Piacevole sorpresa.
Buona lettura.
Syd

PS per l'autore:

Interrogatorio
Nel processo penale (d. proc. pen.)
È l'atto tipico della fase delle indagini preliminari e come tale non ha, almeno di regola, una funzione probatoria, ma serve, come gli altri atti d'indagine, a consentire l'accertamento della sussistenza di elementi idonei a fondare la decisione del P.M. in ordine all'esercizio dell'azione penale; è quindi un mezzo di garanzia per l'indagato il quale in questa sede può far valere oralmente le sue difese.
Potrà acquisire valore probatorio se il processo si svolgerà secondo le forme di uno dei riti speciali privi di dibattimento.
L'(—) è dunque atto tipico della fase inquisitoria del procedimento, poiché nel dibattimento, o in quella sua anticipazione costituita dall'incidente probatorio, l'imputato o l'indagato può essere solo sottoposto, con il suo consenso, all'esame di cui agli artt. 208-210 c.p.p.
All'(—) procede di regola il P.M. (art. 375 c.p.p.) ovvero la P.M. su sua delega (art. 370 c.p.p.), ma sono previste anche ipotesi in cui procede il giudice delle indagini preliminari, e cioè nel corso dell'udienza di convalida dell'arresto o del fermo (art. 391 c.p.p.), quando sia stata adottata la misura della custodia cautelare in carcere o altra misura cautelare (art. 294 c.p.p.) o nel corso dell'udienza preliminare. In tale ultimo caso, l'interrogatorio potrà essere svolto, su richiesta di parte, nelle forme previste dagli artt. 498 e 499 c.p.p. (cd. cross examination), sicché le sue risultanze saranno utilizzabili nel dibattimento ex art. 514 c.p.p.
Esso è svolto alla presenza del difensore.
L'art. 141bis c.p.p. prevede, inoltre, che quando la persona da interrogare è detenuta, l'atto di interrogatorio deve essere fonoregistrato o riprodotto audiovisivamente a pena di inutilizzabilità.
Il difensore deve essere avvisato dell'(—) a pena di nullità nella fase delle indagini preliminari.
La riforma introdotta dalle norme del c.d. giusto processo (L. 63/2001) ha previsto una novità importante in tema di dichiarazioni rese dall'imputato/indagato nell'interrogatorio, il quale ammetta le proprie responsabilità e/o riferisca anche sulle responsabilità di altri: in particolare, quando riferisce su fatti attinenti alle accuse che lo riguardano, egli ha la veste di imputato; quando invece narra fatti riguardanti la responsabilità penale di altri, assume la veste di testimone. Ciò ha indotto il legislatore a imporre particolari cautele nella fase preliminare dell'interrogatorio, onde richiamare l'attenzione dell'imputato/indagato sull'atto a cui sta partecipando. Il nuovo terzo comma dell'art. 64, infatti, prevede che prima che inizi l'interrogatorio la persona deve essere avvisata che: a) le dichiarazioni rese potranno sempre essere utilizzate contro di lui; b) ha facoltà di non rispondere, ma in ogni caso il procedimento seguirà il suo corso; c) in relazione alle dichiarazioni coinvolgenti la responsabilità di altri, assumerà la veste di testimone.
L'omissione degli avvertimenti di cui alle lettere a) e b) comporta l'inutilizzabilità assoluta delle dichiarazioni rese; l'omissione del solo avvertimento di cui alla lettera c) rende inutilizzabili le dichiarazioni nei confronti della persona accusata.
A meno che non si prosegua con un rito speciale privo della fase dibattimentale, il verbale d'interrogatorio va inserito nel fascicolo del P.M., tra gli atti cioè che non sono portati preventivamente a conoscenza del giudice del dibattimento. Però, se in dibattimento l'imputato è contumace, assente o rifiuta di sottoporsi all'esame, il giudice, su richiesta di parte, disporrà la lettura dell'(—) reso nella fase precedente con le modalità e i limiti previsti dall'art. 513. Inoltre, se l'imputato accetta di sottoporsi ad esame, l'(—) precedentemente reso potrà essere utilizzato dal P.M. per eventuali contestazioni, per le finalità di cui all'art. 503 c.p.p.

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Sydbar Opinione inserita da Sydbar    16 Ottobre, 2011
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Ossa

Un libro di 184 pagine scritte magistralmente con una trama che non lascia il tempo di respirare, scorrevole, duro, diretto e che non si può leggere se non tutto d'un fiato.
Un contenurto intriso di segreti che possono aver diretto realmente ed incredibilmente le sorti del mondo nel corso degliultimi secoli, con la ricerca sopraffina di un'arma perfetta, elegante ed efficace.
La lettura è scorrevole e non lascia altre scelte, divorare letteralmente il libro.
Così come preannunciato nella prefazione, l'opera fa parte di un trittico la cui prima parte, "Ossa", è una perla incastonata in un gioiello tutto da ammirare, si spera.
Complimenti alla Arduino Sacco Editore che investendo autonomamente in Alessandro Maiucchi, a cui va il merito di aver creato un libro validissimo, ha edito un'opera di un nuovo potenziale scrittore italiano che merita tutti i miei onori e quelli di quanti leggeranno, rimanendo folgorati, questo romanzo.
Buona lettura.
Syd

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LuigiDeRosa Opinione inserita da LuigiDeRosa    09 Ottobre, 2011
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La verità è la bugia alla quale decidi di credere

Delicato e inquietante, potrei definirlo così in estrema sintesi questo romanzo del rumeno Adrian Chivu.Proprio come il più famoso "Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte" di Mark Haddon, il protagonista e io narrante del romanzo è un ragazzino che soffre di una particolare forma di autismo,mentre il padre e la madre sono alle prese con una dolorosa separazione.In particolare l'amatissima madre è disperata e soprattutto non vuole in alcun modo accettare la perdita del marito che combatte con frustranti e inutili scenate di gelosia.
Il ragazzino rinchiuso nel suo mondo fatto di alberi,uccelli,colori e numeri cerca di interpretare il mondo adulto molto faticosamente soprattutto perchè la nonna materna lo odia di un odio profondo e spietato,la vecchia, gretta e meschina, è convinta che la causa dello sfascio familiare sia proprio quel "ritardato,balordo" del nipote.
Un giorno la vecchia bavosa scompare, la figlia e il genero la cercano invano per settimane, infruttuose si rivelano all'inizio anche le ricerche del commissario di zona, eppure ,c'è un dubbio che scarnifica piano piano la giovane figlia e noi lettori, il bambino ha disegnato la nonna fatta a pezzi e poi gettata nelle condutture delle fogne...è questa l'amara verità?

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Romanzi di introspezione
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silvia71 Opinione inserita da silvia71    20 Settembre, 2011
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Il postulante

Il romanzo è ambientato negli anni cinquanta in un convento situato sul suolo italico ma di cui l'autore preferisce tacere il nome della località, come per calare le vicende in un paesaggio nebuloso e indefinito, rispecchiando così l'animo del protagonista e forse, azzarderei, per concentrare tutta l'attenzione del lettore solo sulla storia narrata.
Questa è la storia di un giovane in bilico tra due amori contrastanti e inconciliabili; quello verso Dio e quello verso gli uomini.
Due tematiche notevoli come la ricerca di una vocazione religiosa solida e la raggiunta consapevolezza di essere omosessuale, si fondono qui in un unico enorme fardello sulle spalle del giovane.
La fede del protagonista è tormentata e vacillante,corrosa da numerosi interrogativi in merito a taluni dogmi propugnati dalla Chiesa, a cui spera di dare risposta immergendosi nella vita contemplativa del convento ed entrando in contatto con persone sicure della propria scelta di vita, da cui attingere preziosi consigli.
I numerosi motivi di incertezza sul fronte prettamente religioso si intrecciano continuamente con sentimenti d'amore terreno per i propri simili, indomabili e persistenti, vissuti come una colpa di cui la ragione vorrebbe liberarsi superando la resistenza del cuore.
Lo stile narrativo di Selmi è immediato e diretto, dando vita ad una lettura dai connotati piacevoli e scorrevoli, vuoi anche per la scelta di un linguaggio che sa di quotidianità e non di ricercatezza.
Sul piano contenutistico invece occorre esprimere un giudizio più critico; cominciamo col dire che
l'idea che sta alla base dell'elaborazione della trama, di per sé non brilla per originalità , tuttavia se l'analisi introspettiva del personaggio fosse stata condotta in maniera più approfondita, avrebbe catturato ugualmente il lettore, poiché di fronte a certi temi, è interessante valutare la capacità dell'autore nell'affrontarli.
Al termine della lettura ci si avvede di come la profondità di contenuto sia veramente scarna e le emozioni ed i turbamenti del giovane non siano sviscerati a sufficienza in rapporto alla scelta esistenziale da compiere e al doloroso bivio che attende in fondo al cammino.
I temi trattati sono spinosi e dalle mille sfaccettature, poiché toccano numerosi ambiti, quale quello morale, sociale, filosofico, teologico e psicologico, richiedendo quindi una solida maturità letteraria ed una robusta preparazione dottrinale, che si acquisiscono e si consolidano con l'avanzare della propria produzione.
Un'opera dal sapore acerbo ma che mette il luce le potenzialità di un buon scrittore.

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silvia71 Opinione inserita da silvia71    01 Settembre, 2011
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La ragazza di Camden

“La ragazza di Camden” è un romanzo che racconta di percorsi di vita alquanto difficili e tormentati, quelli stessi che talvolta il destino sembra imporre a taluno, senza offrire vie di fuga.
Le vite di due donne finiscono per intrecciarsi casualmente dopo tanti anni, provocando un terremoto emotivo e la caduta di quelle maschere fittizie che l'essere umano costruisce per nascondere dolorose verità.
L'autore ci accompagna attraverso questa narrazione dalle mille sfaccettature, capace di passare da momenti di estrema dolcezza a passaggi forti e crudi, facendo avvertire prepotente la sua presenza tra le righe, grazie all'inserimento di riflessioni di una squisita profondità.
L'intreccio della trama, nonostante mostri qualche debolezza sotto il profilo della originalità, tuttavia è sorretto da un sottile filo di mistero che stuzzica la curiosità del lettore tenendone vivo l'interesse e da una delicata e convincente analisi dei personaggi che emergono con vigore e realismo.
Il romanzo pur nella sua brevità, è un crogiolo di spunti per riflettere sul valore e l'importanza della famiglia e sul conseguente vuoto affettivo provocato da una sua eventuale mancanza; la carenza di affetto spinge talora l'essere umano ad affrontare cammini di vita perniciosi e distruttivi, destinati a lasciare segni indelebili, di cui è inutile affannarsi a cancellarne i ricordi, perché sembrano destinati a riemergere in una resa dei conti finale.
Scorre calda tra le pieghe del racconto, la voglia della ragazza di Camden di spogliarsi dei segreti con cui ha convissuto e urlare la verità al mondo senza vergogna, per librarsi finalmente alleggerita da un peso persistente e logorante.
La precarietà delle vite in gioco e il fardello doloroso a carico delle coscienze, non riescono tuttavia ad intaccare la vena di ottimismo che serpeggia in queste pagine, vuoi per una accettazione della propria condizione vuoi per un inaffondabile bisogno di amore e comprensione.
Considerata la complessità dei temi affrontati, in taluni frangenti un maggior approfondimento avrebbe giovato a conferire al racconto completezza e potenza; sicuramente l'autore paga il dazio di una esperienza letteraria agli albori, ancora da corroborare.
Sul piano stilistico, invece, il lettore ravviserà una buona capacità narrativa, permeata da una sensibilità d'animo pronta a captare emozioni profonde e a proporle con abilità linguistica.

“ Un segreto è il rimpianto di una verità. All'inizio è diverso: quando ti accorgi di possedere un segreto senti dentro un senso profondo di libertà. Lasci che l'arcano si muova tra gli spazi infiniti dell'anima e del cuore. Ma presto quella sterminata area intima diventa spazio angusto e senti crescere talvolta l'impulso irresistibile alla confessione. “ (Salvatore D'Antona)

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gio gio 2 Opinione inserita da gio gio 2    01 Settembre, 2011
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Una storia romantica

I giorni nascosti, secondo romanzo di Luisa Gossa edito di Primalpe.

Come viene enunciato nella prefazione dello psicologo Massimo Schinco, che introduce il romanzo, l'autrice riprende temi a lei cari, che vengono da essa tracciati come un evidente e profondo legame che instaura con essi : il piacere, il passato e la morte.

Protagonista della storia, anche in questa seconda opera è una donna.
Betta, anch'essa costretta a fare i conti con un passato a lei "nascosto", percorso fondamentale di una vita, che ha speso invece rifugiandosi in sentimenti apatici, sterili,non trovando il coraggio di scavare invece nella loro autenticità,
accettando passivamente il comportamento freddo ed enigmatico di una madre distante, attribuendolo unicamente alla morte tragica e prematura della figlia minore.

Giungendo all'età della pensione troverà il modo di recarsi a Villapieve ,nella grande casa delle vacanze della sua giovinezza, un luogo che conserva ancora tutto il dolore della terribile perdita della sorella Clara, tragico evento che ha segnato il percorso di molti destini.

Nel fondo di un cassetto troverà un amore "nascosto", infangato" dall'odio , dal pregiudizio e dal veleno di una gelosia follemente vendicativa.
Spalancherà un mondo che rivelerà le origini di ogni angolo più remoto della sua vita, l'immagine "più nascosta" di una madre,specchio di stessa.
Ciò comporterà un cammino doloro ma necessario per poter affrontare un sentimento "rinchiuso",offuscato da una rivale passione, ma in fondo,da sempre, profondamente desiderato.

Lo stile di Luisa Gossa è carico di minuziosi dettagli, dal tratto "morbido", indubbiamente femminile, una tinta decisamente rosa, che a mio avviso sarà in grado di soddisfare gli amanti delle storie romantiche, dense di segreti e ardenti passioni.

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Oltre la notte, Luisa Gossa
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gio gio 2 Opinione inserita da gio gio 2    25 Agosto, 2011
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Oltre la notte...----

Oltre la notte è il primo romanzo di Luisa Gossa, pubblicato da Primalpe.

Sin dalle prime pagine, l'autrice piemontese, vuol renderci immediatamente partecipi, attraverso incantevoli descrizioni della sua terra, luogo dove la storia viene ambientata.
Durante questa prima introduzione, il lettore si ritroverà d'innanzi ad un quadro che farà apparentemente da contrasto con ciò che verrà rivelato: la storia di una donna, Regina, di un segreto che affonda le sue radici nel passato, un eco lontanto ma soffocante che, per trovar pace e giustizia esige di essere
urlato.
Un romanzo narrato in due spazi temporali, un'alternanza di episodi fortemente crudeli e drammatici, uniti ad accurate descrizioni di fatti quotidiani, nei quali vi troveremo familiarità e calore come i personaggi stessi,discendenti di un segreto a loro sconosciuto ma palesementi eredi di un orrore che getta un'ombra oscura sui loro animi e nei loro rapporti più intimi.
Un percorso che richiederà il coraggio di combattere non solo contro il pregiudizio ma di "afferrare" la causa del male, sradicando il marciume del seme che ha gettato, per poter far emergere la forza dell'amore che, in ogni sua espressione, viene introdotto all'interno della storia.

Una scrittura indubbiamente fresca ma coraggiosa, sono pochi i punti i cui vi ho trovato dei "cedimenti", ho molto apprezzato l'introduzione di termini dialettali e la descrizione di usanze tradizionali che hanno contribuito a rendermi ancor più emotivamente partecipe.

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Fantascienza
 
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Stefp Opinione inserita da Stefp    24 Agosto, 2011
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Mr Wallaby

Mr Wallaby è un avventore di un bar, ma non parla, non consuma, nessuno lo nota, se ne sta lì, appoggiato al bancone ed è testimone silenzioso delle storie, delle vite che scorrono e che attraversano incatenate la storia del bar; il Consiglio comunale che delibera la costruzione di un enorme traliccio in pieno centro, l'ospedale che per proteggersi dalle radiazioni del traliccio dà l'incarico ad un pittore di imbiancare la facciata con una vernice a base di piombo, il pittore che muore per le esalazioni velenose e finisce in una specie di Paradiso che è stato privatizzato e venduto ad una multinazionale dell'hamburger....
Non è semplice seguire le storie che Lorenzo Badia intreccia in questo libro; l'allegoria ed il surreale sprizzano da tutti i pori di questo racconto alla ricerca di una comicità che stenta a decollare. Protagonisti strampalati, allucinati, irreali descritti con un lessico fin troppo condito. Un racconto dal quale si fa fatica ad estrarre un messaggio, un significato, e che onestamente non sono riuscito ad apprezzare.

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Gialli, Thriller, Horror
 
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Sydbar Opinione inserita da Sydbar    19 Agosto, 2011
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Il segreto dei tre campanili

La trama nel complesso è risultata discreta ma purtroppo manca in suspance.
Lo stile narrativo è molto scorrevole, anche merito di capitoli non eccessivamente lunghi, ma in alcuni casi la storia risulta caratterizzata da cose un po' superflue, forse inserite per rendere un po' intrigante il romanzo, il problema che queste "nebbie" rimangono fini a se stesse in alcuni casi e poco utili alla trama (vedi la tresca clandestina tra due insegnanti o i tre stessi campanili ma potrei citarne altri di cui evito per non rovinare la lettura a chi mi seguirà).
Interessante il contenuto che si rifà ad alcuni misteri della Venezia del XIV° secolo ma purtroppo in alcuni momenti sembra farmi ricordare una caccia al tesoro quasi Browniana più che la trama di un romanzo giallo/thriller.
Mi sento di dare la sufficienza all'autrice, Roberta Di Odoardo, alla quale consiglio spassionatamente di continuare su questo filone giallo/thriller ma cercando di rendere le trame un po' più tese, con colpi di scena meno prevedibili e soprattutto con più suspance tra un passaggio e l'altro.
Da rileggere sicuramente.
Syd

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Romanzi storici
 
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Lauralia Opinione inserita da Lauralia    17 Agosto, 2011
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Londra 1757

Se un mystery è di per sé puramente accattivante, l’Inghilterra georgiana e l’arguta indagine di Lord John Grey, ufficiale al servizio di Sua Maestà, testimoniano l’intima e necessaria unione dell’austerità con la licenziosità, che insieme ad enigmi, suspense e azione, compongono i caratteri peculiari di un giallo storico, dalle cui combinazioni e complicazioni si originano la sorpresa e la lode per i vittoriosi colpi di scena creati dalla Gabaldon e la conseguente ammirazione per un’opera ben scritta.

Diana Gabaldon, nel perseguire l’indagine della questione privata di Lord Grey, rappresenta la fumosa vita sociale della Londra del Settecento attingendo peraltro preziose informazioni inerenti la realtà omosessuale inglese e, nella fattispecie, londinese da rilevanti fonti letterarie.

Lord John, mai dominato dalla paura, in accordo con le esigenze della propria natura acuta e vivace, in base al riconoscimento del suo importante ruolo, sembra destinato a vivere un’avventura in cui possa toccare con mano il desiderio di potenza, l’amor proprio, il calcolo d’interesse, l’egoismo, ma anche la devozione, l’altruismo e la solidale armonia fra i compagni d’arme.

Per tale via, la Gabaldon riuscirà a catturare gli amanti del genere.


Buona lettura

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Storia e biografie
 
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LuigiDeRosa Opinione inserita da LuigiDeRosa    16 Agosto, 2011
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Normografia ortopedica del pensiero,come combatter

Ci sono miniere che sembrano non contenere più nulla di prezioso, solo pietre e odore di chiuso, poi capita che un disperato scenda nei cunicoli e scopra una nuova vena d’oro.
Pasolini mi sembra questo, una miniera abbandonata, dagli intellettuali (ma ci sono ancora gli intellettuali oggigiorno?),dagli amici e dai nemici, poi , per fortuna sua e nostra, capita che un’attenta giornalista (disperata perché circondata dal piattume intellettuale di oggi) decida di rileggere le carte del poeta bolognese ed ecco che nuovi spunti di riflessione,idee e concetti sorgono dal pensiero muto ma mai sterile di Pasolini. Rubo un’espressione ad Enrico Aceti, autore della prefazione, “normografia ortopedica del pensiero” perché è questo che ci è accaduto e che profetizzava Pasolini.In questi anni abbiamo assistito all’omogeinizzazione del sapere, all’omologazione dell’immagine ma soprattutto "abbiamo accettato" l’avvento al potere dell’autorità che sa come non far conoscere, come non far sapere, che con l’uso scaltro dei media ha impararo ad anestetizzare il pensiero critico, a renderlo pedante.
Leggendo la rubrica “Dialoghi con Pasolini” sul settimanale Vie Nuove, scopriamo il pensiero profetico di Pasolini che va dalle riflessioni sui migranti,come non citare “Alì dagli occhi azzurri” 1950 (…)sbarcheranno a Crotone o a Palmi,a milioni, vestiti di stracci (…) alla corruzione dei politici e all’amara riflessione sugli Italiani o Italioti?,scusatemi ricorro ad un'altra citazione, "Alla mia nazione" (…)Milioni di piccoli borghesi come milioni di porci pascolano sospingendosi sotto gli illesi palazzotti (…) . Berlusconi,la televisione spazzatura, la politica delle starlette ,Marchionne, il manager italo-canadese che è “autorizzato” ad umiliare sindacati e lavoratori tutti questi fenomeni erano già stati oggetto di analisi di Pasolini perché tentativi di togliere dignità al lavoratore sono sempre stati messi in atto da coloro che comandano: “così come Mussolini voleva organizzazioni sindacali fasciste (estensione del modello di società concepita dalla sua mente), ugualmente Marchionne ambisce ad un sistema di relazioni industriali dove i rapporti di forza slittino alla competenza dell’azienda (quella che lui stesso rappresenta)minando quel principio del favor prestatoris che giuridicamente viene riconosciuto al lavoratore quale contraente debole nella contrattazione negoziale”.
Il Saggio della Buonomo è costituito da capitoli brevi che con linguaggio sempre chiaro e scorrevole analizzano vari temi sociali,quando una citazione riguardante un episodio biografico del poeta o della Storia d'Italia potrebbe mettere in difficoltà un lettore meno addentro a certe tematiche viene spesso in aiuto una nota esplicativa,un ottimo saggio che consiglio a tutti coloro che amano Pasolini ma soprattutto a coloro che hanno voglia di capire.

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silvia71 Opinione inserita da silvia71    13 Agosto, 2011
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Io viaggio verso est

Dopo aver attraversato alcuni Paesi dell'ex Unione Sovietica, Valsecchi firma un lavoro in cui riesce ad amalgamare con sapienza ricostruzioni storiche, analisi politiche e sociali ed interviste nate per strada incrociando persone del luogo, aggiungendo inoltre interessanti e ponderate riflessioni personali.
Quello di Valsecchi è un viaggiare carico di voglia di conoscere i lati oscuri e meno conosciuti, di incontrare la gente ed ascoltare le loro storie, di approfondire, grazie ad un adeguato supporto storico, i numerosi problemi che affliggono queste regioni, come l'arretratezza economica estrema, i contrasti etnici tuttora esistenti, il dilagare massiccio della criminalità cementato da anni di connivenza con le alte sfere politiche.
La testimonianza che ne scaturisce è di una lucidità disarmante, in quanto l'autore lascia parlare le diverse realtà che incontra sul suo cammino, senza intessere teorie interpretative e senza schierarsi con alcuna forza politica; ciononostante egli stesso non può esimersi dal porsi delle domande, poiché tocca con mano il disfacimento di un sistema politico ed il conseguente crollo delle basilari garanzie sociali, leggendo negli occhi della gente comune la sofferenza, l'angoscia, la fatica di vivere senza i mezzi necessari e la delusione per essere stati ingannati e sfruttati da regimi che propugnavano il raggiungimento di maggiori benefici a favore del popolo, producendo, invece, solo un abisso di diseguglianza tra i pochi che ora detengono il monopolio economico e l'intera massa abbandonata ad una qualità di vita nettamente inferiore agli standard europei.
Buona la capacità narrativa di cui da prova questo scrittore esordiente, riuscendo a coinvolgere il lettore in questo viaggio on the road, grazie ad un linguaggio pulito e deciso, ma pregno di tutte le sensazioni e le emozioni vissute, che emergono talora prepotenti tra le righe.
Le parti dedicate alla ricostruzione storica, seppur brevi e impeccabili, giocoforza rallentano il ritmo narrativo e richiedono impegno, ma sono del tutto complementari a questo genere di opera, poiché forniscono al lettore digiuno di informazioni, gli strumenti necessari per una migliore comprensione del processo evolutivo di queste terre, in quanto una corretta analisi delle situazioni attuali non può mai prescindere da uno studio del passato.
Giungendo a fondere le caratteristiche tecniche e giornalistiche tipiche di un saggio a quelle
più propriamente narrative di un racconto, Valsecchi offre al pubblico una lettura interessante e utile per approfondire la conoscenza del mondo dell'est Europa, catturato dal suo occhio acuto e curioso.

Un ringraziamento alla Redazione per la possibilità offertaci di poter approfondire la conoscenza dell'attuale panorama letterario.

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ahab Opinione inserita da ahab    10 Agosto, 2011
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(è un po' lunga)

Premessa.
È il primo libro di un autore di Qlibri per il quale esprimo un’opinione. Per un parere di questo genere sarebbe più utile una chiacchierata. Ma le regole sono queste.
Mi verrebbe da parlare dei punti di forza e di debolezza che ho riscontrato. Il voto, sebbene medio, non è altro che un voto sospeso, in quanto ritengo che molti “primi libri” possano soffrire di pecche e difetti sanabili grazie all’intervento professionale di un editor, cosa che consentirebbe a un libro, se buono, di far emergere le potenzialità che possiede.
Fine premessa.

Tramonti d’Occidente. Il responsabile di una casa editrice, Claudio, sposato con figlia, si ritrova a condurre brillantemente la sua impresa. Sennonché, a un certo punto della sua vita l’abbandono a un certo “istinto” susciterà in lui un profondo senso di colpa, motivazione che lo spingerà a tentare di sanare questa colpa ma, soprattutto, alla ricerca di se stesso. Il romanzo presenta molti personaggi e il luogo di lavoro in cui lavora Claudio non è funzionale alla trama, ma solo un punto di partenza e l’occasione per spunti e digressioni narrative.
Tutti gli altri personaggi vivono vite a sé, sebbene alla fine emerga un filo comune che intreccia tra loro ansie, paure e rimorsi di ognuno.

La trama c’è. E questo si può considerare già un punto a favore. Probabilmente la trama di fondo, quella di Claudio, passa spesso in secondo piano rispetto a quelle degli altri personaggi, e questo talvolta rallenta il ritmo narrativo. È possibile che le 188 pagine, se ridotte di numero fino a stringere l’accaduto intorno alla trama portante, sarebbero risultate più avvincenti e avrebbero centrato meglio il cuore del racconto.
Ma l’intento della scrittrice, forse, è stato proprio quello di non far soffermare il lettore su un qualcosa di preciso ma accompagnarlo in una lettura che tocca – davvero – qualsiasi possibile aspetto della società d’oggi. In altri termini i “Tramonti d’Occidente”, di cui promette il titolo, sono innumerevoli (e questo può essere un punto di forza e debolezza allo stesso momento; a volte l’ho ritenuto più un punto di debolezza, forse perché l’intento quasi di “denuncia” della scrittrice talvolta prevale sulla trama; ma questa può essere una mia impressione).

Oltre alle tantissime riflessioni sociali, attraverso digressioni di primo e di secondo grado o per mezzo di pure speculazioni autonome rispetto al testo, un altro aspetto alquanto ridondante è dato dalle vicende dei personaggi. Nel loro insieme, accade praticamente di tutto: malattie terminali, abbandono di figli, tradimenti e violenze sessuali, disagi degli immigrati, rapporti a tre, rapporti lesbici, incidenti, suicidi, presenza di cellule terroristiche islamiche, servizi segreti,… Insomma, in genere si dice “molta carne a cuocere”, sebbene non sia una delle mie espressioni preferite. Molti di questi accadimenti, però, anche in questo caso distraggono dal nucleo portante del romanzo e confondono un po’ il lettore. Sarebbe bastato ridurli di numero o di intensità per migliorare notevolmente il racconto (in questo anche auspicavo l’intervento di un editor per l’opera).

Stile. La scrittura è composta, attenta, senza sbavature. Decisamente un punto di forza. Spesso si incontrano delle domande, a volte anche lasciate in sospeso, nel senso che la scrittrice, più che descrivere, con una certa frequenza indugia su domande che già, però, sembrano avere in sé delle risposte. Non è un aspetto da criticare negativamente, in quanto personalmente la vedo come una forma e scelta stilistica.
Diverso è per l’io narrante. Chi narra è una collega di lavoro di Claudio. Ora, nel romanzo spesso si confonde quest’io, ben individuato, con quell’io onnisciente (incorporeo) che tutto sa di tutti i personaggi. A questo va aggiunto che alcune riflessioni dei personaggi vengono fatte in prima persona. Insomma, la confusione tra io narrante, io onnisciente e il parlato dei personaggi c’è.

Infine, prescindendo dal legame che alla fine, unisce i vari personaggi, un esperimento in fase di stesura del romanzo sarebbe stato quello di presentare una raccolta di racconti autonomi, sempre con un filo conduttore comune, piuttosto che un unico romanzo. È solo un’idea, un esperimento di scrittura che sasrebbe servito per capire come possa meglio uscire dalle pagine la “voce” dello scrittore.

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Sydbar Opinione inserita da Sydbar    09 Agosto, 2011
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Il silenzio degli occhi

Terza avventura del Commissario Ponzetti in una Roma che viene descritta senza fraintendimenti da chi la città eterna la conosce davvero anche nei suoi movimenti.
Lo stile dell'autore è molto sciolto accompagnato da un lessico molto semplice e senza l'uso di inutili orpelli.
La trama si sviluppa nel periodo pre e post natalizio del 2008 in una Roma affaccendata per l'immininente festa e per la piena del Tevere.
Personaggi simpatici e ben caratterizzati, forse Iannotta, in un primo momento molto simpatico con il suo dialetto romanesco, diviene un po' troppo forzato ma congeniale al contesto.
Alcuni passaggi mi sono apparsi prevedibili ma non stonati con il ritmo ed il contenuto della storia.
Un consiglio all'autore, Giovanni Ricciardi, mi è parsa mancare un po' di suspance che si spera sia dovuta probabilmente alla veracità dei personaggi, dei luoghi e della storia.
Il libro è letto in giornata grazie ad uno stile narrativo scorrevole e mai noioso che è stato molto apprezzato dal sottoscritto.
Promosso.
Syd

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gio gio 2 Opinione inserita da gio gio 2    03 Agosto, 2011
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Sulle ali "fantasiose" di Zafòn...-


Le luci di settembre fu il terzo libro
che scrisse Carlos Ruiz Zafòn e venne pubblicato per la prima volta in Spagna nel 1996, compreso nei quattro suoi romanzi
che vennero introdotti nella sezione narrativa per ragazzi.

L'ombra del vento, che scrisse e pubblicò nel
2001, ebbe un immediato successo internazionale che lo confermò, insieme agli altri suoi tre successivi romanzi, tra i più acclamati autori contemporanei.

Durante la lettura di Le luci di settembre, ho trovato le caratteristiche letterarie dell'autore, o per meglio dire,gli elementi "fondamentali" , l'"origine" di ciò che in seguito l'autore è riuscito a rielaborare nel suo primo romanzo per adulti, riuscendo cosi a costruire ciò che nei suoi pensieri ha sempre sperato di mettere in atto e concretizzare.

Lo stile narrativo possiede una nota decisamente "fresca", si intuisce un talento che sta tentando di decollare con l'impeto di un'ammmirevole passione e qualche lieve passo incerto, che non turba ma commuove, per l'amore e la dedizione che traspare dalle parole di un giovane autore emergente.

La storia stessa ha un fascino fantasioso e commovente, un insieme di elementi che coinvolgono emotivamente il lettore e lo fanno volare sulle ali di una fantasia "giovane" ma seducente.

Un racconto che "intrappola" un vasta gamma di elementi dai più terreni ai più surreali.

I protagonisti principali che animano la vicenda sono Simone Sauvelle che, ritrovandosi improvvisamente vedova e dovendo pagare gli insospettabili debiti lasciati dal defunto marito, si vedrà costretta a trasferirsi da Parigi in piccolo paese sulla costa insieme ai due figli Dorian e Irene, dove, Lazarus Jann un facoltoso conoscente del marito, un famoso fabbricante di giocattoli ,le offrirà lavoro in qualità di governante presso la sua sontuosa e... "misteriosa" dimora popolata dalle fantastiche e inquietanti "creazioni" dell'ingegnoso proprietario.
Ma... che mistero nasconde il gentile e bonario Lazarus, cosa celano le lettere che riceve settimanalmente ed il libro che conserva gelosamente in biblioteca??? E la moglie malata che vegeta in una stanza buia, avvolta da un mortale e inquietante silenzio???
Cosa lega Lazarus alla misteriosa leggenda del posto, Le luci di settembre, a un'altra terribile scomparsa???
Irene e Ismael, un giovane marinaio del posto,mentre un dolcissimo sentimento li unirà, si ritrovarenno coinvolti in un icredibile scoperta...

Un viaggio fantastico e romantico, che dona momenti di piacevole "avventura" a lettori di ogni età.

Personalmente ho avuto l'ennesima conferma che, molto spesso, le immagini e racconti più fantasiosi sembrano possedere la "chiave" che spalanca le porte a sentimenti puri e paure mascherate che albergano dentro ognuno di noi.

Complimenti Zafòn

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Stefp Opinione inserita da Stefp    01 Agosto, 2011
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Niente, tranne la pioggia

Dalla Moldavia all'Italia del Nord, Bergamo. Allettate dalla promessa, dalla prospettiva di un lavoro, di una vita vera, normale, speranzose di fuggire la miseria che da sempre è la loro compagna, si ritrovano rapite, violentate, costrette a prostituirsi, in strada. Se sono brave, dopo qualche tempo possono ambire ad una posizione più elevata; escort. Una parola che da noi ha acquisito un sapore esotico, pruriginoso, quasi nobilitata viste le avventure del nostro Presidente del Consiglio. In realtà sono schiave. La moderna tratta delle schiave produce soldi, una montagna di soldi e una scia nauseante di crimini in una joint venture a delinquere formata da criminali moldavi, mafia slava e italiana. Vasco Lubrano, sovrintendente capo della Polizia Giudiziaria di Bergamo deve indagare sulla morte di una ragazza, trovata a pezzi in un sacco della spazzatura, prostituta moldava. Il suo senso estremo della giustizia gli impone di indagare a fondo, anche se per molti la vita di una prostituta clandestina moldava non è poi così importante. In un crescendo di violenza, sarà assassinata un'altra prostituta moldava e un libraio. Gli omicidi sembrano collegati fra loro....
Un noir.... nerissimo, crudo, non risparmia nessun orrore al lettore. Coinvolgente, è vivere un incubo intraprendere il viaggio dalla Moldavia a Bergamo insieme alle ragazze rapite, nella parte iniziale del romanzo. Un ritmo lento, riflessivo, con brusche accelerate, con il protagonista, Vasco Lubrano, un personaggio profondo, ben delineato che si sente come il criceto Campbell che corre, corre, dentro la ruota che però non lo porterà mai da nessuna parte. Un ritratto di Bergamo, di un certo nord Italia e di una certa classe politica, che non fa sconti a nessuno, scomodo quanto reale, grigio e... piovoso. Un romanzo condito da una bella colonna sonora, tanti sono i riferimenti a bei pezzi della musica pop e rock.
Occorrerebbe “sentire” nel profondo il disprezzo per l'uso che si fa, in tanti campi, del corpo femminile come merce, come “cosa” sempre ammiccante e pronto all'uso sessuale. Non si sente... niente, tranne la pioggia.


Grazie a Qlibri per avermi dato, attraverso Sergio Paoli, l'autore, l'opportunità di leggere questo libro.

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Lauralia Opinione inserita da Lauralia    09 Luglio, 2011
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Sete

Come si inscrive nell’ormai sempre più nota crisi di risorse un bene come l’acqua? Che significato assume la trasposizione del concetto di sete nell’orizzonte affaristico di una ricerca che ha per oggetto l’essenza dell’acqua e il suo destino?

Una risposta adeguata a tali interrogativi può unicamente trovarsi nella considerazione di un tema o problema che il romanzo di Alberto Riva affronta nei sui termini essenziali, nella considerazione cioè della sete di potere.

«Tutti abbiamo sete di qualcosa» è il manifesto retrospettivo che illustra la questione di fondo di questo thriller – direi – dai muscoli saldi come l’acciaio. Potremmo altresì definirlo una costruzione complessa. In termini figurati “Sete” sarebbe dunque un edificio. Un edificio imponente che occupa la superficie totale di 465 pagine lungo un complesso di stanze e corridoi intricatissimi, in cui il lettore riuscirà comunque a trovare la via di uscita, seguendo una narrazione originale, passando attraverso storie cariche di ambiguità, che imprimeranno al romanzo un ritmo di grande intensità.

Sembra, infatti, da un lato, che le vicende narrate non possano considerarsi a se stanti, estranee le une alle altre, e che invece costituiscano un tutt'uno: «Anche in chimica accade così: la reazione di due elementi può essere la più inaspettata. E la reazione ha ragioni molto precise, sempre. Non è mai frutto del caso, di fattori accidentali e irripetibili. Il contatto di quegli elementi conduce necessariamente a una reazione, sebbene prima nulla potesse farlo credere». D’altro lato, le storie delle famiglie Braga e Johannsen nonché di Jean-Sebastian Faucon non appaiono soggette l’una all’altra e si rivelano ancor più di difficile combinazione.

In realtà, se prendiamo le mosse dal primo dei temi indicati, l’acqua, ruoteremo attorno alla storia del Drago, Jean-Sebastian Faucon, indecifrabile personaggio, e osserveremo con lui la mappa del mondo in modo diverso. Orbene, proprio la sua attrazione per la parte blu del mondo, che evocherà il sogno del Narciso Cieco, darà origine, e forza, all’indagine di Matheus Braga e Sarah Clarice nell’impenetrabile terra brasiliana. Brillante biochimico, Matheus, introverso, di un indiscusso fascino, è particolare perfino nell’esecuzione delle sue sequenze yoga. Sarah Clarice Young è un’attivista, lavora per una ONG di Salvador, è intrepida e di una avvenenza fantastica. Entrambi, insieme, per sete di verità, verranno a capo di una storia dai risvolti incredibili legati alle famiglie Braga e, come suddetto, Johannsen.

Resta un ultimo personaggio emblematico, forse il più difficile: Bruno Johannsen, facoltoso e carismatico, seducente, ha sete, ma non di soldi. Non è chiaro, tuttavia, se le sue azioni siano interpretabili alla luce della sete di potere. Sembra, per certi versi, un fanatico, propenso unicamente alle battaglie. Non scherza affatto, è verosimilmente violento. Non potrà che confondere il lettore che, solo alla fine, realmente alla fine della narrazione, comprenderà i suoi intenti.

Nel punto critico in cui il concetto di sete abbandonerà il dominio dell’acqua e si presenterà sotto le più oscure spoglie, il thriller di Alberto Riva raggiungerà il suo obiettivo e il lettore guidato da un’inenarrabile sensazione d’attesa non potrà che definirlo ben riuscito.

Buona lettura

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