Le recensioni della redazione QLibri

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Gialli, Thriller, Horror
 
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Sordelli Opinione inserita da Sordelli    17 Agosto, 2013
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Come sopravvivere agli zombie, secondo atto

Stesso luogo, stessi protagonisti: gli zombie.
All'Hotel 23 la pace non può durare a lungo: nuovi arrivi, Marines per la precisione, mettono a repentaglio l'apparente stato di tranquillità che gli inquilini dell' "Hotel" si erano creati.
Il nostro protagonista, "Kilroy" (non il suo vero nome, ma l'unico riferimento che abbiamo in questo diario per identificarlo), è costretto a rispolverare la sua vecchia divisa e a far valere tutta la sua autorità.
Cosa succederà da qui in poi?

Apocalittico, tanto quanto il primo episodio. Che altro dire? "Oltre l'esilio" mescola sapientemente una grande suspence e un ritmo incalzante, lasciando il lettore senza fiato. Il protagonista, ancora senza vero nome, è uno di noi, una persona che come noi ha dei sentimenti, nutre qualche speranza e sente la morsa della paura in ogni istante della sua esistenza in un mondo che lo desidera morto. In questo secondo capitolo, va delineandosi non solo un'interessante impresa, ma anche un profilo psicologico del personaggio alquanto interessante e......umano. Non vuole essere una battuta di cattivo gusto, anzi: troppe volte capita di leggere romanzi apocalittici in cui il protagonista non ha paura di niente e di nessuno, entra in azione, sconfigge i milioni di nemici e torna a casa trionfante. No, il protagonista di "Oltre l'esilio" è un uomo vero, uno che lotta contro la solitudine che porta alla pazzia, uno che soffre, che ha paura, che agisce sperando di non sbagliare; è anche vero che essendo un Marines non è certamente uno sprovveduto e credetemi se vi dico che il fatto suo lo sa. Pertanto siate pronti a tenere accanto a voi un block notes, perchè se volete lezioni di sopravvivenza, questo diario sa fornirvele.

Divagazioni e riflessioni personali a parte, ho trovato questo secondo romanzo di Bourne davvero ben scritto, avvincente ed appassionante; le descrizioni non sono mai troppo ricche di dettagli da far perdere il filo del discorso per la noia, anzi sono molto utili per spezzare un po' il ritmo travolgente e il susseguirsi degli avvenimenti.
Lo stile di Bourne è impeccabile, l'ho apprezzato in "Diario di un sopravvissuto agli zombie" e non posso che trovarlo nuovamente perfetto. Mi piace il suo saper rendere veramente reale questo romanzo, il suo saper tramutare il lettore nelle pagine del diario del protagonista: quando Kilroy scrive, riflette, registra...lo fa su di voi. É questa la sensazione che avrete e sarà esattamente come esser lì.

Il finale è davvero interessante e stimola alla lettura del terzo ed ultimo (per quanto ne so io) capitolo.
Inutile dire che la lettura è vivamente consigliata, soprattutto agli amanti del genere e a chi cerca una storia mozzafiato in un mondo che è come il nostro, ma che appartiene a loro.
Agli zombie.

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Fantasy
 
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Yami Opinione inserita da Yami    17 Agosto, 2013
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Le disavventure del Prect en Rahkoon

Come si apprende dalle brevi note biografiche che ritroviamo in quarta di copertina, "Prect en rahkoon - Spettro di ghiaccio" è l'opera d'esordio di Samuele Vinanzi, un romanzo fantasy di stampo classico che si sviluppa in 11 capitoli preceduti da un lungo prologo e da un epilogo molto breve, per un totale di 509 pagine (ringraziamenti inclusi).
La narrazione è prolissa, appesantita da descrizioni eccessive e molto spesso superflue che riferiscono ogni singola azione compiuta dai personaggi che si muovono sulla scena, come se l'autore volesse assicurarsi che il lettore immaginasse la scena esattamente come l'ha concepita lui, persino nei dettagli e nei piccoli gesti, senza considerare che, trattandosi di una storia di genere fantasy, sarebbe stato più opportuno concedere qualche libertà alla creatività e all'immaginazione del fruitore.
Se fosse stato sottoposto a revisione da un buon editor, sicuramente il testo sarebbe stato snellito parecchio e avrebbe guadagnato in qualità e scorrevolezza.
Il romanzo, che risulta già abbastanza lungo così com'è, in realtà si sarebbe potuto estendere benissimo su oltre 850/900 pagine: l'editore, infatti, per concentrare il più possibile il testo e fare economia sulle pagine, ha scelto di utilizzare un carattere molto piccolo che fa stancare facilmente gli occhi. La mancanza di un servizio di editing accorto è rivelata dallo stile narrativo che per l'appunto risulta acerbo: l'autore si lascia andare a diverse ripetizioni; utilizza spesso espressioni arcaiche come "essi ricambiarono lo sguardo" che dovrebbero essere in linea con il genere e con il contesto temporale in cui ci si immagina che si stiano svolgendo gli eventi, ma che per qualche ragione sembrano stridere con il resto del testo; pecca di ingenuità con frasi come "L'aria fresca odorava di pioggia bagnata" (pag. 87), come se la pioggia potesse essere in altro modo; ricorre a costruzioni ed espressioni infelici che non sortiscono l'effetto "poetico" sperato, come per esempio la frase "Avanzarono rapidamente e gli alberi si richiusero alle loro spalle" (pag. 136), cosa assurda dato che, a meno che i personaggi non stiano ricorrendo a un incantesimo che faccia districare un groviglio di rami intrecciati per aprire un varco nella vegetazione (cosa della quale non si fa alcun cenno), non si può dire che gli alberi si “chiudono alle spalle” visto che non si tratta né di tendaggi né dei battenti di un portone (se si voleva esprimere l’idea di un gruppo che si inoltra nel fitto della boscaglia, tra tronchi talmente vicini da sembrare un muro solido e invalicabile avrebbe potuto utilizzare espressioni più adatte alla situazione e all’oggetto stesso che costituisce l’ostacolo), o come la frase “Cadde all’indietro, rotolando sui gradini” (pag. 155), dove sarebbe stato più corretto dire “rotolando giù per i gradini” per non creare un controsenso.
Come già detto, l’intreccio è di stampo classico: un gruppo di amici – una coppia di elfi (lui un druido, lei non si capisce che ruolo abbia dal momento che negli scontri è più un peso che un aiuto), due esseri alati (un cavaliere che venera la dea Ethni e un cacciatore di taglie che venera il dio Arrai) e un mezz’elfo si uniti da un destino avverso si mettono in viaggio per cercare un modo per liberarsi da una maledizione che è stata lanciata contro di loro dai nemici dell’impero, i quali stanno cercando di invadere le terre di nessuno e attaccano i villaggi per seminare il caos e conquistare maggiore potere allo scopo di impadronirsi di ogni cosa e dominare sul mondo. Alla comitiva si aggiunge un viandante che si rivelerà un ottimo combattente in grado di provvedere a se stesso e ai nuovi compagni di viaggio. Durante il viaggio si incontreranno amici e alleati ma saranno anche costretti a scontrarsi con numerosi avversari (vampiri, non morti, briganti e così via), dovranno affrontare diverse prove e missioni secondarie che li rallenteranno e devieranno (anche se di poco) il loro percorso. In parole povere, avremo a che fare con ambientazioni e situazioni che ricordano tanto “Il signore degli anelli” quanto i famosi giochi di ruolo nello stile “Dungeons & Dragons”.
Nonostante le imperfezioni sopra citate, volendo dare un giudizio puramente obiettivo direi che la storia non è poi così male.
Personalmente, invece, non mi ha coinvolta, anzi ho faticato a ingranare e a farmi piacere sia la storia che i personaggi: non sono riuscita ad affezionarmi a nessuno di loro, la mia lettura è andata avanti con molta lentezza, numerose pause e scarso interesse, ma in questo caso va specificato che il mio giudizio personale viene inevitabilmente influenzato dal fatto che non amo particolarmente il fantasy tradizionale e anche dal fatto che ho già letto molte storie con le stesse caratteristiche, lo stesso tipo di svolgimento e gli stessi espedienti narrativi che ho trovato nel romanzo in questione, per cui per me è stato come leggere qualcosa che avevo già visto.

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NI:
- sì, se tutto sommato avete voglia di leggere un fantasy di stampo tradizionale, senza troppe pretese per quel che riguarda lo stile della narrazione e l'originalità della trama, se non vi spaventano le lunghe letture e se non avete difficoltà con caratteri di stampa molto piccoli.
- no, se vi annoiano i fantasy classici fatti di lunghi viaggi, ricerche e combattimenti a ogni tappa, se cercate uno stile articolato e una trama che vi sorprenda con intrecci non ancora sperimentati, no se non siete fatti per le narrazioni prolisse e soprattutto se i vostri occhi si affaticano facilmente con caratteri minuscoli.
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Gialli, Thriller, Horror
 
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1.5
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GLICINE Opinione inserita da GLICINE    15 Agosto, 2013
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CRUDELTA' SURREALE

Il libro è un mix di violenza, crudeltà anche psicologica, sadismo perpetrato su giovani liceali e dagli stessi ragazzi, contro loro coetanei, la storia è totalmente surreale. Sarebbe troppo facile limitare il commento a poche frasi moralistiche e stroncare così il libro. Più difficile invece è cercare di capire e trovare i perché hanno spinto tre donne a riunirsi per produrre una storia del genere....
La tipologia sembra essere molto vicina al libro Hunger Games (che non ho letto), del quale ho visto il film, quindi, una risposta tutta italiana ad un libro che ha molto venduto, sembra poter essere la motivazione razionalmente più vicina alla realtà..... Mi ha molto colpito il fatto che un libro del genere sia stato scritto da donne, donne che hanno comunque ridotto al minimo l'impatto emotivo di determinate azioni, i sentimenti, le valutazioni morali, nei confronti di grossi temi quali la spiritualità, la gravidanza, l'omicidio, ma anche più banalmente, la lontananza dagli affetti, l'amicizia, l'empatia.
La storia narra il reclutamento di 2 classi del liceo per partecipare al programma "L'elenco", reality gestito dalla mafia su un canale clandestino, nel quale si fronteggiano in una vera e propria battaglia, senza esclusione di colpi nella quale si muore davvero, per mano di "gestori" del "gioco", ma anche per mano di coetanei della squadra avversaria le due classi stesse. Il libro si suddivide in capitoli che riportano i giorni dal reclutamento ed il nome del personaggio principale che in quel capitolo narra il proprio vivere un determinato accadimento. L'evoluzione caratteriale e psicologica così messa in rilievo sulla copertina, riferita ai vari personaggi io , sinceramente non l'ho percepita in maniera così evidente ed importante, ho solo letto tra mille violenze, piani su piani legati alla gestione delle armi, del proprio territorio, strategie per eliminare gli avversari e lotte interne tra "teste calde" del gruppo che mi hanno alla fine annoiata davvero. Penso che al termine di qualsiasi libro l'autore, voglia trasmettere un messaggio, ma con tutta la buona volontà, non riesco a capire quale messaggio "nuovo" abbiano voluto trasmettere le autrici.
La violenza così attuale nel nostro quotidiano, mi nausea davvero leggere, che viene riportata in un libro dove è posta all'interno di un vero e proprio gioco seguito da telespettatori sadici e gestita da persone senza scrupoli altrettanto disturbate.
Non ritengo sia una lettura che consiglierei

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Lascio la scelta ai lettori
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Gialli, Thriller, Horror
 
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2.3
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Melandri Opinione inserita da Melandri    06 Agosto, 2013
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ACQUA SUL FUOCO

Nel pensiero comune e dominante, una Bestia, con la B maiuscola, rappresenta un essere intriso di malvagità, brutalità e istinto animale. La Bestia di Silvia Daveri aggiunge a queste caratteristiche una goccia di inquietante umanità.
Prima di iniziare il romanzo, l'autrice ci avvisa che l'idea che ha condotto alla stesura di questo libro parte dalla leggenda della Bestia del Gevaudan, un animale che in Francia, alla fine del Settecento, porterà alla morte decine e decine di persone. Leggenda o verità? I resoconti storici ci portano a considerare la seconda e ciò che la rete ci mette a disposizione sono immagini dipinte di un essere mostruoso.
Romanzo adatto agli adolescenti meno impressionabili, racconta la storia di Marie, quindicenne abitante di Le Malzieu. A lei e agli altri abitanti di questo piccolo paese di pastori, toccherà fronteggiare la furia della Bestia, che si abbatterà su vasta parte del territorio. Ciò che all’inizio pare solo l’attacco di un animale feroce e sanguinario, dischiuderà, agli occhi di Marie, un passato tenuto segreto alle orecchie dei più giovani. Carico degli ardori adolescenziali e del coraggio irresponsabile dei ragazzi, pur risultando poco plausibili, a noi adulti, le azioni e i pensieri di Marie, i teen-ager a cui il romanzo è destinato, sicuramente apprezzeranno.
Di ambientazione affascinante e con personaggi la cui presenza, nella Francia del Diciottesimo secolo, rappresentano la storia così come realmente accaduta, è scritto in linguaggio semplice e ritmato. Questo, se da un lato aiuta il romanzo nella sua fluidità, dall’altro suggerisce che, al contrario di quanto avvenuto per la parte storica, non vi sia stata da parte dell’autrice una ricerca approfondita nella scelta delle parole.
Il libro è composto da circa 200 pagine e alla fine si arriva molto velocemente. Anche in questo caso, gli aspetti da valutare sono uno opposto all’altro: lo srotolarsi impetuoso e spontaneo della trama riflette forse le identiche passioni giovanili a cui si rivolge, dall’altro lato al finale è serbato poco spazio, sufficiente a bruciacchiare il loro tumultuoso ardore.

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Romanzi storici
 
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2.3
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rondinella Opinione inserita da rondinella    31 Luglio, 2013
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La felicità non è una scelta

Sponsa Christri, 'la Bella': Giulia Farnese, donna bellissima e colta, amante del papa, i suoi capelli affascinano, le sue labbra seducono, le sue dita indossano pietre ed anelli. Com'è possibile che una figura così luminosa spesso compaia solo di sfuggita nelle vicende dei Borgia?

La del Linz ha dedicato un libro intero a lei, Giulia Farnese, cercando di sondarne l'animo, ripercorrendo la sua vita da quando ancora giovanissima fu presentata al temibile Rodrigo Borgia. Troviamo le memorie di Giulia, che scrive alla sua amica Lucrezia per ricordare i momenti che l'hanno segnata, che ritorna con la mente indietro nel tempo per rivivere quei giorni tristi, malinconici, pieni di delusioni.
L'idea era davvero interessante ma, ahimé, lo sviluppo della trama e dei personaggi non mi ha colpito.
Lo stile è scorrevole e lineare, ma le frasi sono brevi, creano un ritmo spezzato; inoltre, quantomeno fino a metà libro, ci sono molti punti di vista che spesso servono solo ad aggiungere pagine, in quanto non presentano alcun seguito necessario.
Per quanto riguarda i contenuti, la ricostruzione è abbastanza verosimile (se non si fa troppo caso alla copertina...) sebbene questa Giulia Farnese-Orsini non mi sia sembrata all'altezza del nome: un po' troppo 'semplice', sintetica, lontana, non è una personalità che mi ha sorpreso per empatia, manca di un certo spessore; il suo ruolo tra il papa e il suo ambizioso fratello è chiaro, ma non c'è quel qualcosa che ti faccia compatirla o comprenderla, noi capiamo che è bella e nobile, ma la sua arguzia e determinazione non si intuiscono a tinte forti. Lei dovrebbe essere la protagonista, eppure non spicca in Roma e tra gli altri personaggi secondari, spesso abbozzati; inoltre, avrei preferito un maggior equilibrio tra le descrizioni degli eventi, alcuni dei quali importanti un po' trascurati, poco delineati.
Da metà libro si migliora un po' in tutti i campi, soprattutto si acquista una certa profondità nella persona di Giulia e alcuni aspetti di questa donna diventano più nitidi e concreti.
Si nota che l'autrice scrive per il teatro, ma purtroppo ciò non aiuta il romanzo storico che mira a dare una personalità ad un soggetto così rilevante.

In definitiva un libro che avrebbe avuto molte potenzialità, ma il livello è sceso a causa della scelta stilistica troppo succinta e dei personaggi che recitano una parte a memoria, muovendosi su un palcoscenico in cui luci e ombre non definiscono bene i contorni fondamentali.
Comunque se siete curiosi di indagare un po' sulla vita della 'Bella', di acquisire qualche nozione storico-sociale in più (che male mai non fa) e se cercate una lettura leggera potete provare, si finisce in poche ore ed è gradevole.

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Romanzi autobiografici
 
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Nadiezda Opinione inserita da Nadiezda    23 Luglio, 2013
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Il reportage

Un libro di partenze, partenze per luoghi lontani e sfortunati: colpiti da terremoti devastanti e guerre terrificanti.
È un libro autobiografico che parla di alcune missioni umanitarie in cui Tommaso Merlo si è trovato ad affrontare diverse difficoltà.
Tommaso Merlo aveva studiato economia aziendale e dopo essersi specializzato in studi internazionali decise di partire ed intraprendere la carriera di operatore umanitario.
In questo testo ci racconta quello che ha vissuto in Afghanistan, Libano ed Iran dove un forte terremoto devastò la cittadina di Bam.
In questo momento si sta occupando del Darfur dove c’è ancora in corso una grandissima crisi umanitaria.
L’autore ci fa riflettere su questo tipo di carriera, un lavoro che talvolta non viene preso in considerazione e che molto spesso in televisione non viene mai enunciato.
Merlo mette in confronto questi posti sfortunati con l’Italia e ci fa capire quanto odio e razzismo proviamo verso queste persone sfortunate che si ritrovano nel nostro Paese non per loro volontà, ma per sfuggire dalla devastazione e dal pericolo.
Il libro è diviso in cinque capitoli così nominati: Bam, Libano, Sahara, Kabul, Italia.
Lo stile è semplice talvolta quasi colloquiale, in certi punti sembra quasi un diario di viaggio.
I temi trattati sono forti e devastanti: terremoti, guerre, problemi di alimentazione ed igiene.
Un libro che serve soprattutto per sensibilizzare la nostra società.

Buona lettura!

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Romanzi
 
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2.5
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JUNE Opinione inserita da JUNE    21 Luglio, 2013
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Il riverbero tanto atteso

Premetto che il mio approccio con questo scrittore è del tutto verginale,quindi parto da una totale pagina bianca e immemore di “Hosseinica” non conoscenza…Chiedo venia,non me ne vogliate fans!

Probabilmente la prima parola che ha sfiorato le mie sinapsi per dare un sunto mentale una volta girata l’ultima pagina è: puzzle.

Ebbene si,tanti tasselli da ricercare per la ricostruzione e allo stesso tempo cospirazione del tessuto iniziale e finale,tra di loro,come tra i due fratelli un ponte centrale ermafrodita.
Il gomitolo del racconto parte da un lembo di filo incastrato sotto un angolo,interstizio fiabesco e mitologico preambolo che aprirà la vicenza di questi due fratelli,Abdullah e Pari,con un legame molto viscerale che verrà interrotto dallo stesso padre per la sopravvivenza della sua intera famiglia,da questa frattura le loro vite saranno catalizzate da eventi completamente diversi.
La vicenda si dipana attraverso tre generazioni,rimbalzando da luoghi diversi,lontani ed in questa matassa appaiono vari personaggi che s’intersecano tra loro ma che,purtroppo,mi hanno lasciato il retrogusto che non fossero mai completamente armonici,cooperativi e realmente unificanti per la fluidità e la cadenza ritmica del racconto.
Si intercalano giri pindarici con la sensazione di una forzatura nel voler a tutti i costi dare una forma e fare in modo che questo involucro proponga quel sobbalzo al cuore sospirato dai suoi lettori. Ma c’è un’aritmia di fondo che mi ha allontanato e un orchestrare che non mi ha del tutto avvinghiata,come se dovessi costantemente rincorrere la storia che dovrebbe invece avvolgermi e trascinarmi per mano.

Ci piace vedere un baule ricco di buoni sentimenti,di legami famigliari,di ricordi,di rincorse,di tenacia sentimentale per poi romanticamente ritrovarci alla rivincita della forza e all’immortale amore che ci romanza.Ma dal fondo della stanza ci saluta un Afghanistan percepito solo come il paesaggio dipinto per lo sfondo di un teatrino,invece che essere il coprotagonista che cambia nel camerino i suoi attori.
Mi sfuggono i tratti che potevano riverberare questi sentimenti di una luce più acuta,vivida,catalizzando il nostro cuore verso l’amato cantastorie che ha conquistato milioni di occhi pieni di emozioni ma sono sicura che sarà un eco che riuscirà comunque ad instillare il suo vento caldo in quelle grotte che l’hanno atteso con la stessa fiducia e tenacia dei suoi personaggi.

“Ben oltre le idee di giusto e di sbagliato c’è un campo. Ti aspetterò laggiù”.

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Gialli, Thriller, Horror
 
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4.0
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Ginseng666 Opinione inserita da Ginseng666    20 Luglio, 2013
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Tenebrose presenze...

Una storia affascinante che esprime in modo inequivocabile l'eterno dilemma tra il bene e il male.
Certo, come tutti sappiamo il male abita dentro di noi, convive con le intenzioni buone, con la bontà del nostro cuore e se non sappiamo controllarlo, diventerà il centro della nostra vita rendendoci malvagi, folli, irragionevoli, incapaci di gesti di autentica umanità.
Tuttavia il male di cui si parla in questo libro proviene da presenze demoniache: una donna fantasma e un ragazzino.. che giungono dagli inferi, come scaturiti dal nulla, compiono efferati delitti.
Si sa che le morti violente generano esistenze ultraterrene tormentate, gli spiriti dei defunti non hanno pace se la loro vita è stata troncata in modo brusco, la violenza ne è la causa ineluttabile..
Il male allora si materializza, anche dopo secoli, a volte richiamato da streghe...o sette sataniche,
il male quando prende la forma inquietante di fantasmi ci può inghiottire o uccidere.
Allora il terrore è la sola conseguenza possibile...una vendetta che sopprime ogni umana, inutile speranza di pace..
Non voglio svelare altri particolari, per non togliere il fascino occulto del mistero a questo libro, anche per coloro che volessero cimentarsi in questa lettura.
Tratto scorrevole e piacevolmente semplice nella terminologia, in modo che chi vi si accosta non trova faticosa la lettura; i personaggi non sono ben definiti, perché costituiscono secondo me, solo il pretesto per l'intreccio della trama.
In complesso un bel libro ammantato d mistero, con un finale a sorpresa.
Aspettiamo con ansia, il prossimo romanzo, forse la continuazione dello stesso.
Consigliato.
Saluti.
Ginseng666

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Non saprei a chi associarlo...lo stile e il contenuto di questo libro...sono veramente unici..
Forse è attinente ai libri del terrore..
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Romanzi
 
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Yoshi Opinione inserita da Yoshi    19 Luglio, 2013
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L'impiegato Deluso

Chi di noi, non ha fatto nella sua vita l'impiegato alzi la mano!
Se non vi è mai capitata questa (s)fortuna sappiate che questo libro fa per voi perchè descrive perfettamente la vita dell'impiegato!
Questa è la storia di Giovanni che dopo anni di studio partecipa ad un concorso per lavorare presso la pubblica amministrazione e che con sua grande sorpresa passa e da un giorno all'altro si trova a dover fare fronte a tutte le sue aspettative e ad un nuovo ambiente.
Ma ovviamente nulla è come sembra e fra lunghe attese e colleghi nulla facenti si trova a dover chiedere a qualcuno di fargli fare qualcosa per impiegare il tempo.
Questo è l'inizio di una nuova vita per Giovanni che, nel bene o nel male cambia, in un susseguirsi di sali e scendi non da poco.
Ma del resto quale vita non è così?
Questa è la storia di tutti noi.

Ero incuriosita dalla trama e dal titolo e appena mi è arrivato a casa l'ho subito cominciato a leggere.
Sinceramante, ero un po scettica perchè intimorita dalla possibilità di trovarmi fra le mani la storia tragica, sulla vita delusa e poco felice di un impiegato dei giorni d'oggi, magari noiosa e con chissà quali tematiche da affrontare.
Ma con mia grande sorpresa mi sono ritrovata a sorridere e, varie volte a ridere di gusto, mentre leggevo le vicende di questo favoloso personaggio che racconta la sua storia, facendo salti con i ricordi ai tempi passati.
Ho adorato la scrittura ricercata e dettagliata ma allo stesso tempo scorrevole, ironica e leggera.
La trama mi è piaciuta anche se all'inizio ho fatto un po di fatica ad ingranare (sarà forse per la mia poca predisposizione alla lettura di questi giorni o che dovevo prima ambientarmi in una nuova lettura) fatto sta che il libro mi è scivolato davanti come fosse un film.
Mi sono ritrovata in vari passaggi e molte cose descritte sembravano prese pari passo dalle mie esperienze passate quando lavoravo in Comune (come stagista estiva a fare fotocopie) e quando lavoravo come dipendente. Inoltre certi personaggi avevano la faccia di persone che ho incontrato durante la mia gavetta ma con un'unica differenza: il dialetto.
Un unico appunto e poi chiudo sennò divento prolissa:
Nella descrizione dell'autore c'è scritto: "...Durante l'esilio forzato in Australia, in un attacco di nostalgia, ha scritto il suo primo romanzo: questo. Se temete il bis, potete stare tranquilli: non intende andare più a vivere all'estero."
Magari a vivere no (viste le problematiche dei traslochi e quant'altro), ma un viaggetto consiglio di farselo, se questi sono i risultati!
Lo consiglio vivamente!!!!

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Racconti di viaggio
 
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Zine Opinione inserita da Zine    16 Luglio, 2013
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A caccia di sorrisi

Ci vuole un bel coraggio per lasciare tutte le proprie sicurezze, un lavoro fisso e le abitudini di una vita e decidere di girare il mondo alla ricerca della conoscenza e della felicità, con la sola sicurezza di una vasta rete di amicizie internazionali costruita negli anni e le proprie abilità di artista di strada, sempre pronto a esibirsi per grandi e piccoli pur di strappare un sorriso.
Luca, il protagonista del romanzo-diario “La fortuna viene a chi sorride”, questo coraggio lo trova. Anzi, si mette in viaggio con una gran gioia nel cuore, desideroso di immergersi nell’atmosfera di Paesi lontani e conoscere gente nuova, abitudini differenti.
Assistiamo così alle sue peregrinazioni e leggiamo dei suoi contatti con gente di tutto il globo.
Per Luca (che poi altri non è che l’autore stesso sotto pseudonimo) i sorrisi sono il motore che fa girare il mondo. Le cose belle, la fortuna, sono attratte da chi sa sorridere e lui se ne rende prova vivente più e più volte durante l’intera narrazione.
Dopo un paio di tappe europee, Luca parte per l’India, dove peregrina da un luogo all’altro assaporando le abitudini del luogo, la cordialità della gente e dove trova conoscenze vecchie e nuove, tra cui giocolieri suoi colleghi. Ci porta in Thailandia, in Australia, e poi di nuovo nel Sud-Est asiatico, in un viaggio del corpo e dell'anima che lo riporterà in Italia per una fortunata (appunto) intuizione: un male invisibile gli sta minando la salute e minaccia la sua vita. Serviranno tutto il suo coraggio e la sua positività per ricominciare.
Sono due i punti di forza di questo libro, edito da “Il Ponte Vecchio”: il linguaggio e la variegata casistica umana che vi compare. Zaganelli trascrive i fatti e le conversazioni con lo stesso tono informale della vita di tutti i giorni, senza cercare di rendere più “letterario” il suo stile, conservando una freschezza e una immediatezza che si sposano perfettamente con il carattere del testo.
I volti, le voci e le abitudini che ci vengono mostrati di pagina in pagina, poi, sono un dipinto multicolore di un’umanità varia e traboccante di vita. Gente il cui intrinseco valore non risiede solo nella diversa cultura, ma nella capacità – da noi quasi scomparsa – di godere delle cose belle della vita, della conoscenza del prossimo per il puro gusto di avvicinare un altro essere umano, senza interessi reconditi.
A questa gente “bella” si contrappone, anche se non è intento dell’autore creare due categorie, un’umanità occidentale in viaggio per ritrovare se stessa, spesso confusa e non ancora pronta ad aprirsi davvero a esperienze diverse dal consueto se non per una forma di snobismo nel ritenersi “alternativo” e frequentare solo luoghi “di grido”.
La principale pecca, come purtroppo accade fin troppo spesso negli ultimi anni, è una mancata (o quantomeno approssimata) correzione delle bozze. Non mancano errori di battitura e di punteggiatura, che fortunatamente non tolgono nulla alla bellezza di questo diario di viaggio ma sicuramente risultano poco graditi.
Zaganelli ci regala uno scorcio luminoso della sua esperienza di vita. Da leggere tutto d'un fiato.

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C.U.B. Opinione inserita da C.U.B.    15 Luglio, 2013
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Il dolce e l'amaro

Per parlare di Faubourg non devo avere fretta, la scia emotiva nell'immediato lascia strascichi di perplessita'. Servono alcune ore di fermentazione, per identificare cosa ci sta lì sotto, in profondita'.

Scendono insieme da un treno, si conoscono solo da un paio di mesi.
Lui ha poco piu' di quarant'anni e si muove come un attore, con quel bastone dal pomo d'oro che stringe nella mano passeggiando su e giu' per la via, con fare perlustratore.
Nessuno sembra riconoscerlo, eppure ha vissuto fino ai suoi diciotto anni in quel paese, nemmeno i parenti sembrano averlo notato.
Lei e' piu' giovane, scovata in una casa d'appuntamenti lo segue chissá per quale ragione, forse perchè affascinata da quest'uomo che ha girato il mondo, forse solo perche' lui promette grandi affari: il gatto e la volpe, guardali lì che gran coppia.

Il dolce e l'amaro.

Il dolce in questo libro e' senza dubbio nelle doti scenografiche di Simenon, dove la malinconica bellezza delle piccole meraviglie inabissate dal potere dell'omologazione  ( per me che vivo nel nuovo millennio, non certo per lui che scrisse il romanzo nel 1937) emerge nell'armonico intrecciarsi di piccole realta' del borgo. La dote dell'autore sta nel renderle così tangibili che ancora mi pare di avere le dita collose, dopo essere entrata in una bottega di burro ed averne comprato un pacchetto in carta oleosa. Per non parlare dell'allegria di coriandolo nel negozio di confetti multicolore e di dolci alla ciliegia, oppure della piccola cartoleria dove inebriarsi inalando profumo di gomma e matita. 
Ed ancora il fresco della mattina aprendo la porta di casa in vestaglia, fermando il carretto tirato a mano dall'ortolano  per riempire un cesto di vimini con frutta e verdura fresca...

L'amaro sta invece nella personalita' dei suoi soggetti, in quel senso di meschinita' e sconfitta e insoddisfazione che trapela da ogni pagina. 

Indimenticabili le sue scenografie, controversi i suoi attori, certo tra i suoi libri ho letto romanzi che mi sono piaciuti di piu' ma nel complesso e' sempre un gran piacere mettersi seduti e lasciarsi andare nel tempo che fu, ciondolando su una panchetta ombreggiata mentre un vecchio furbastro beve acquavite quando la figlia non guarda. Buona lettura.

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Gialli, Thriller, Horror
 
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antonelladimartino Opinione inserita da antonelladimartino    13 Luglio, 2013
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Adesso voglio che paghino.

Le Vendicatrici, seconda puntata: questa volta al centro del palcoscenico c’è Eva, la romana dal cuore a volte troppo tenero. Accanto a lei, possessivo come una zecca, ritroviamo Renzo Russo, il marito, il bel lumacone che continua a far danni. Non c’è dubbio che sia un parassita infetto e pericoloso, ma in fondo non è poi così cattivo. E non è nemmeno privo di pregi e di sentimenti positivi. Che colpa ne ha se un’ossessione, molto più ostinata della forza di gravità, lo ha trasformato in una pietra rotolante? E lui rotola, sempre più veloce, sempre più disperato, trascinato fino al fondo di una morte violenta, che lo aspettava da un pezzo. Egoismo e fragilità distruggono e non di rado uccidono, se crescono insieme nell’ambiente sbagliato. Roma, con la sua disgregazione, è una riserva naturale per gli esemplari come Renzo, ma produce anche di meglio e, inevitabilmente, di peggio.

Il clan dei Mascherano è molto più di una famiglia amorale: è un gruppo dalla struttura antropologica complessa: non più nomade, residente in un quartiere fortificato come una cittadella medioevale. Serse è lo zio di tutti, il capo anziano che tiene saldamente in mano le redini delle attività criminali e delle tradizioni. La vita di un Mascherano non lascia spazio all’improvvisazione: è rigidamente codificata dal comportamento sessuale all’abbigliamento. Melody, la ribelle del clan, incrocia la strada di Renzo Russo. Lo scontro culturale produce esiti ramificati, e devastanti.

L’intreccio di questo romanzo è più complesso del precedente: il ritmo si fa talmente serrato, che ogni tanto si rischia di incespicare, ma ne vale la pena. Gli autori riescono a mettere in moto i singoli personaggi e i gruppi legandoli come marionette a case, strade, negozi, pubblici esercizi, pubbliche sciagure della loro città.

La conclusione ci consegna una famiglia molto unita e molto diversa dalle altre: le quattro protagoniste e i loro cari amici sono saldamente uniti dalle dolci catene degli affetti, della complicità e anche del lavoro. Senza dimenticare la vendetta, che ci lascia in sospeso fino al prossimo romanzo: quello di Sara, la guerriera.

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silvia71 Opinione inserita da silvia71    12 Luglio, 2013
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La caduta

Con il suo “La caduta” Giovanni Cocco esordisce nel campo letterario col genere del romanzo.

Un romanzo dalla struttura sui generis, diviso in storie a sé stanti che l'autore con abile mano convoglia in un unico filone narrativo denso di significati.
Quelle disegnate dalla penna di Cocco sono storie che prendono le mosse dal vissuto, dal quotidiano, dal volto del mondo odierno; storie amare, dolorose e crudeli.
Sono le storie ed i volti che la cronaca degli ultimi anni ci ha proposto, sono le immagini delle cadute dell'uomo agli inferi; adolescenti corrosi dai veleni familiari e sociali, la dannazione del terrorismo, il degrado delle periferie del mondo, gli affetti strangolati dall'indifferenza.
A questa Babilonia globale, sembra rispondere la natura, emettendo lei stessa il suo grido di ribellione sotto forma di disastri ambientali e geologici.
Un susseguirsi di eventi forti, di drammi, di sconfitte, di scelte talora volontarie talora subite, di capovolgimenti senza ritorno.
Un'aria funesta tesse la tela di questo grande e variopinto affresco dell'umanità, dove nulla risulta immobile per sempre ma in evoluzione costante in base alle mosse dell'uomo e del destino; in nessuna pagina si respira vittimismo, bensì accettazione o voglia di redenzione.
Si avverte con decisione un moto evolutivo, una spinta a guardare l'orizzonte; inutile volgere lo sguardo al passato e alle perdite.

E' brillante e originale lo stile di scrittura di Cocco; pur partendo da contenuti già largamente utilizzati in letteratura, riesce a rielaborare uno scritto audace e tagliente, fotografando le situazioni con un obiettivo personale, facendo vibrare i suoi protagonisti, delineando con tratti rapidi l'esplodere dei sentimenti oppure la vacuità degli stessi.
Il romanzo di Cocco è un mosaico dove ogni tessera fa parte di un unico disegno, catturando l'attenzione del lettore pagina dopo pagina nell'attesa dell'epilogo.
E' una lettura che mette in luce le doti di un autore agli albori le cui capacità gli consentiranno di continuare a solcare gli affollati mari della letteratura, mosso da venti di freschezza.







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Racconti di viaggio
 
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C.U.B. Opinione inserita da C.U.B.    11 Luglio, 2013
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Indiani d'America

Indiani d'America, affascinante popolo indigeno sterminato dalla colonizzazione europea, dalle lotte tribali, dalle malattie portate dai bianchi. Se la condanna a questi peccati capitali appartiene a secoli piu' remoti, non crediamo che la storia piu' recente sia generosa nei confronti di questa minoranza etnica.
Se il sangue scorre e uccide, non meno la prevaricazione culturale puo' essere letale : sfrattati dalle loro terre , obbligati a cambiare i loro nomi, a parlare una lingua straniera, a votarsi ad una nuova religione, donne ignare vittime  della sterilizzazione forzata , l'occidentalizzazione ha imposto la perdita' di personalita' di questo popolo. 
Oggi sono 566 le riserve indiane riconosciute negli Stati Uniti, dove la concentrazione di disoccupazione, alcolismo, omicidi, stupri conta percentuali estremamente piu' alte che nel resto del Paese. Razzismo : questi non sono americani, sono tuttora considerati selvaggi, di fatto.

" Dopo che tutti gli alberi saranno stati abbattuti, dopo che tutti gli animali saranno stati cacciati, dopo che tutte le acque saranno state avvelenate, dopo che l'aria sara'  pericolosa da respirare, solo allora scoprirai che non puoi mangiare il denaro. PROFEZIA CREE. "

Il lavoro di Raffaella Milandri e' imponente. La prima meta' del libro consiste in un approfondito resoconto storico delle vicende dei Native Americans, segue quindi la narrazione delle tradizioni indiane, dalla spiritualita' alle medicina, dalle feste rituali alla famiglia, l'importanza dei nomi, la sacra pipa, il potere delle erbe, il tipi, il rodeo e le leggende. E ancora la viva testimonianza di Raffaella che racconta il suo viaggio nelle riserve indiane e la sua peculiare adozione nella tribù dei Crow.
Ricchissimo il testo di splendide fotografie, alcune scattate dall'obiettivo dell'autrice, alcune altre (magnifiche) d'archivio, segnalo inoltre che le note di chiusura riportano un folto inventario dei documenti alla fonte delle notizie riportate.

"Non c'e' bisogno di molte parole per dire la verita'. CAPO GIUSEPPE, NEZ PERCE"

Personalmente ritengo l'opera molto approfondita, interessante ed esaustiva, nonchè un notevole lavoro di denuncia.
Cio' implica che almeno nella prima meta' il libro abbia i connotati di un saggio storico, cosa che non ho amato particolarmente non essendo appassionata dell'argomento ma preferendo l'aspetto sociale e l'esperienza di viaggio che prende piede invece nella seconda meta'.
Lettura insomma in buona parte moderatamente faticosa e non esattamente nelle mie corde, cio' premesso non potra' che soddisfare il lettore piu' predisposto di me a questo tipo di letteratura.
Buona lettura.

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Maso Opinione inserita da Maso    11 Luglio, 2013
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"Questi se credono de spostà 'e montagne"

La letteratura italiana batte un colpo: “Ci sono”. Dapprima si palesa con un rumore confuso e poco convinto. Poi questo segnale sembra stabilizzarsi in un grido sordo che fa esplodere il nostro tempo, quello che viviamo e che non siamo sicuri di voler vedere realmente. Ma non c’è scelta, resistere non serve a niente. Si prosegue. E Siti ci scaraventa senza troppi riguardi nel circo crudo e triviale che è il nostro piccolo paese, questa nostra provincia di mondo collegata all’insieme dei micro e dei macro universi che sono gli ingranaggi del vivere odierno.
Sono due gli strumenti con cui Walter Siti tenta di narrare una contemporaneità complessa e internazionalizzata all’estremo. Un narratore onnisciente particolarmente renitente all’esserlo fino in fondo e un broker dell’alta finanza che opera all’interno di una sfumatura, porzione di un gradiente politico/economico in cui legalità e illegalità hanno imparato a confondersi abilmente travalicando un confine troppo logoro e ormai inservibile. Siti, in prima persona racconta di questo personaggio, Tommaso. Racconta della nascita di un rapporto di amicizia che inizia a legarli, a dispetto di punti di vista e stili di vita in diametrale differenza. Racconta di un evolversi di questo rapporto fino al giungere di un accordo che legherà inevitabilmente lui e il suo futuro personaggio. E quando l’autore si trova davanti alla generosità disinteressata di Tommaso Aricò, che con un microscopico pezzetto del proprio patrimonio compra l’appartamento romano di Siti per scongiurare uno sfratto, si rende necessaria la stipula di un patto. L’atto espiatorio con cui Walter Siti si sdebita non è altro se non questo libro, la storia di Tommaso che il medesimo chiede per sé, per vederla e sentirla raccontata.
Da questo momento in poi, con solo qualche breve intermezzo che ci fa ritornare ad un tempo presente, seguiamo l’avvicendarsi di Tommaso Aricò. Non quello che conosce lo scrittore, il trentacinquenne alto e dal fisico malfatto che usa un vocabolario di tecnicismi economici e che dispone di un reddito milionario. Ma un bambino con gravissimi problemi di obesità, che trascina la propria mole adiposa e i propri sentimenti soffocati per le strade di Rebibbia. L’infanzia complicata di Tommaso, “’sto regazzino che nun magna, s’abboffa”, è una piccola odissea personale dove l’unica Itaca da raggiungere non è un luogo fisico, è un’astrazione fondamentale: la coscienza delle proprie possibilità. E Tommaso non impiega meno tempo di Ulisse nel trovarla. Perché nel frattempo, ad ostacolare un percorso già complicato in partenza, si aggiungono le vicissitudini di un padre, assassino per costrizione, più colpevole di ignoranza che di omicidio, che viene condannato a quindici anni di carcere e che lo lascerà alla propria odiosa esistenza in compagnia della madre. Una madre, Irene, giovane, forte, concreta, rassegnata a combattere con le unghie pur di garantire un piccolo pezzetto di speranza a quel figlio che si ingozza di budino Elah pur di non sentire quanto sia amaro il tempo che ha di fronte. Ed è proprio Irene, con la sua commovente “saggezza popolare” e la sua romanesca ragion d’essere, che capisce le potenzialità di Tommaso, particolarmente versato nella matematica, e lo aiuta a cambiare la propria vita. "Ja'a faremo, ranocchié". E infatti, in pochi anni, da ragazzino grasso e annoiato, Tommaso diventa un liceale che vede nella matematica e nello studio un avvenire meno brutto, che vede nel proprio corpo magro e sgraziato, dopo un’operazione di bypass gastrico, un nuovo inizio.
Questo inizio lo porta ad una cariera sorprendentemente veloce, prima in banca poi in società di brokeraggio. E’ il migliore nel proprio campo, diventa evoluzionista, trapezista spericolato delle speculazioni finanziarie. Mette a frutto il proprio istinto innato per gli affari fino ad accumulare un capitale spropositato. Vive nel lusso, frequenta la crème, si può permettere ogni cosa, tranne quello che vuole veramente. Un piccolo soffio di amore. Poterlo appena sfiorare con un dito, poter provare anche per un solo secondo un’intesa, un sentimento condiviso che dia un senso e un fine a una montagna di denaro virtuale.
Tommaso Aricò, come una matrioska di soli due pezzi, è uguale alla sua vita. Entrambi sono entità mascherate. Tommaso ha nascosto il proprio lato fragile dietro il proprio grasso, dietro i pasticcini, dietro la matematica, dietro il lusso. La vita di Tommaso si è nascosta dietro la sua adorazione per Gabriella, modella mantenuta che ama vendere se stessa, il proprio pallore a la propria chioma fulva, dietro una slavina linguistica di lobbyng, money laundering, offshore, volatility smile, fixed leg, buy-back, stock option. Dietro un sentimento troppo genuino, troppo poco farraginoso e d’alto bordo, con Edith.
Un calderone di crudezze, ineluttabili verità contemporanee e dolci remember popolani si intrecciano in questa matassa narrativa. La vita di Tommaso è la grande metafora dei nostri tempi, che viene raccontata da Walter Siti con una piacevole, caustica brillantezza di linguaggio. Uno stile dissacrante e veloce che riesce perfettamente nell’intento di evidenziare i dislivelli sociali e le pacchiane amenità di entrambi. Ma più di tutto quanto, riesce a mettere in mostra un’elite schifosamente oligarchica che impera con cattivo gusto sulle spalle del popolino. Di noi che ancora adottiamo la pratica di contare i soldi che abbiamo in tasca, che tentiamo di non comprare i sentimenti con gli assegni e che tentiamo di dare un senso al nostro agire, tenendo sempre a mente che, anche senza yacht a Porto Cervo, e forse grazie a questa mancanza, un sorriso di serenità riusciremo sempre a concedercelo.

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Gialli, Thriller, Horror
 
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calzina Opinione inserita da calzina    10 Luglio, 2013
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Una nuova miss. Thriller

Cercando sul dizionario il termine “Abisso” troviamo il seguente significato: Voragine che pare senza fondo. Il termine affiancato nel titolo di questo romanzo ad Abisso è “senza fine”…cosa può esserci di più infinito? Ho trovato il titolo di questo thriller davvero indovinato. Una frase è sufficiente per riassumere il dolore immenso che si possa provare nel sapere la propria famiglia in pericolo di vita.
Tutto ha inizio quando l’agente Faith arriva a casa della madre. Come purtroppo temeva qualcosa non va. Il suo istinto le impedisce di attendere i rinforzi già chiamati: irrompe nell’abitazione e la scena che le si presenta è delle più terribili, prima sangue e confusione, poi un corpo e poi…..e poi mi fermo qui, null’altro svelerò della trama se non il fatto che questo thriller colpisca a fondo le nostre paure più profonde: quella di temere per l’incolumità dei propri cari. Ad affiancare Faith in questa vicenda ci sarà il suo compagno Will, la pediatra Sara e l’amica del cuore della madre,nonché poliziotta, Amanda.
Nonostante questo sia il terzo romanzo di una serie con protagonisti l’agente Will Trent e la dottoressa Sara Linton,non è necessario leggere i precedenti libri per trovare il ritmo della storia e per conoscere i personaggi. La narrazione è coinvolgente, nonostante la mole delle pagine . Da buon thriller quale è non si riesce a staccare gli occhi dalla lettura, si ha proprio voglia di sapere come andrà a finire.
Ho apprezzato molto il fatto che a fianco dell’indagine vengano approfonditi gli aspetti caratteriali e le vicende personali dei protagonisti. Con la profonda caratterizzazione dei personaggi mi ha ricordato un po’ lo stile di Patricia Cornwell. Al contrario di quest’ultima però questa autrice si concentra perlopiù sugli aspetti psicologici dei protagonisti, i loro pensieri e le loro emozioni prendono voce. Mi è piaciuta questa scelta anche perché, come per gli altri generi letterari, adoro le descrizioni dettagliate dei protagonisti.
In questo thriller il protagonista maschile, Will, è circondato da colleghe donne dal carattere molto forte e spesso istintivo. Come antitesi al troppo spesso abusato termine “gentil sesso” chi sembra abbia il carattere migliore tra i protagonisti è proprio l’unico uomo. Ho trovato molto interessante questa scelta.
L’indagine non mancherà di qualche colpo di scena, nuovi personaggi arricchiranno questo thriller dal ritmo incalzante ma non serrato. Non vi toglierà il respiro proprio perché la scrittrice stilisticamente decide di allargare il cerchio della narrazione anche alle vicende personali dei protagonisti.
Lo consiglio agli amanti del thriller, di quei thriller che non hai paura di leggerli anche di notte tanta è la voglia di sapere come va a finire.

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mt Opinione inserita da mt    09 Luglio, 2013
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Freddy K, Freddy K è la risposta!

E...senza nessun motivo e preavviso i bambini iniziano a rivoltarsi contro le loro stesse famiglie commettendo orrendi crimini, una violenza che sembra contagiare piano piano tutto il mondo.
Un fenomeno senza precedenti, prima delle aggressioni numerosi bambini riferiscono di sogni o incubi molto realistici; in seguito o restano in silenzio, o sostengono di non sapere cosa hanno fatto.
Chiamato a risolvere il mistero di grossi scandali industriali, atti di sabotaggio e degli assalti dei bambini sarà un fanatico di origami e antropologo Hesketh Loch.
Scandali, sabotaggi, rivolte dei bambini cosa li accomuna?
Credenze, superstizioni, folletti, djinn, troll e altre creature leggendarie stanno invadendo l'umanità.
Ma Hesketh non si arrende e collabora con il professore Whybray, tutti i bambini coinvolti vengono trasferiti in un centro isolato e tenuti sotto stretto controllo per evitare ulteriori tragedie studiandone i comportamenti per poter arrivare alla soluzione dei casi.
Ma perchè i bambini si rivoltano agli adulti, perchè scoppiano crisi industriali, cosa sta succedendo nel mondo?
Cosa vogliono mostrare queste “creature” che giorno dopo giorno aumentano , chi sono veramente, di quale disegno fanno parte?
Hesketh troverà le giuste risposte attraverso lo studio dello strano comportamento dell'amato figliastro Freddy e nella scienza.
Questo libro non mi ha entusiasmato per niente, ho arrancato molto per portare a termine la lettura sia per l'argomento trattato, che non è mai stato di mio interesse, sia per la scrittura non scorrevole e talvolta pesante.
Una storia inverosimile e con un finale che non ho compreso forse perchè non sono una scienziata?!

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Time crime
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annamariabalzano43 Opinione inserita da annamariabalzano43    07 Luglio, 2013
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I ragazzi Burgess di Elizabeth Strout

Con I ragazzi Burgess, il suo ultimo romanzo, Elizabeth Strout (premio Pulitzer 2009) ci offre un’immagine quasi spietata nella sua obiettività della società americana dei nostri giorni.
La narrazione prende lo spunto dalla sgradevole vicenda che vede coinvolto uno dei più giovani membri della famiglia Burgess, il diciannovenne Zachary, che compie un improvviso e apparentemente inspiegabile reato, gettando una testa di maiale all’interno di una moschea dove si trovano riuniti in preghiera somali immigrati negli Stati Uniti. Siamo in una piccola città del Maine, Shirley Falls.
Il delitto commesso da questo giovane chiuso e introverso riunisce la famiglia ormai composta solo dai tre fratelli, Jim, brillante avvocato di successo, e Bob e Susan, gemelli. Insieme a loro si trovano inevitabilmente coinvolti, sia pure solo di riflesso, i coniugi o ex- coniugi.
Tra Shirley Falls e New York, i ragazzi Burgess si trovano a fare i conti con le falsità, le tensioni, le contraddizioni familiari, per troppi anni represse e volutamente ignorate. Il timore di vedere un membro della famiglia rischiare l’accusa di “crimine d’odio” e di finire in prigione, porta inesorabilmente allo scoperto la vera personalità dei fratelli: tre individui, tre solitudini unite da un vincolo di sangue che solo attraverso un doloroso percorso giungeranno a una probabile riconciliazione.
Questa in sintesi la trama: come Roth e Franzen, anche la Strout evidenzia la crisi istituzionale della famiglia che riflette al suo interno la decadenza dei valori della società contemporanea.
L’intreccio del romanzo serve da spunto a serie riflessioni e profonde considerazioni sulla società e sulla politica americana.
Il problema del razzismo è il primo e più evidente tema che viene affrontato ponendo l’accento in particolare sulla situazione politica della Somalia, sull’infruttuoso intervento degli Stati Uniti in quel paese. È il personaggio di Abdikarim ad affermare che “il suo paese era malato, in preda alle convulsioni. Coloro che avrebbero dovuto aiutarlo, erano infidi, sleali.” (Libro IV).
Un’affermazione durissima, che mette l’accento non solo sul problema dell’integrazione delle popolazioni migranti, ma ancor più sul machiavellico uso della politica che mostra sempre una duplice faccia.
Non è certo facile per chi sia rimasto legato a quell’immagine dell’America come il paese del “sogno americano”, il paese del self-made man, il paese di Lincoln, il paese che è riuscito ad eleggere un presidente di colore, accettare questo aspetto della realtà e questa versione dei fatti. Eppure la grandezza di una nazione consiste proprio nella capacità di prendere coscienza dei propri errori, e il concetto di democrazia impone la denuncia di tutto ciò che non rientri nei canoni della giustizia e del rispetto dei diritti umani.
È al personaggio di Bob che la scrittrice attribuisce una delle affermazioni più dissacranti: “….perchè in realtà, nel profondo, da quando sono andate giù le due Torri è proprio questo che vogliamo, noi ignoranti bambinetti americani. Avere il permesso di odiarli. (i musulmani).”
Elizabeth Strout compie con questo romanzo un atto di grande onestà intellettuale. E se è vero che la democrazia non è un valore esportabile, è vero tuttavia che il principio di denunciare i mezzi spesso discutibili usati dalla realpolitik può essere fruttuosamente diffuso per migliorare il mondo in cui viviamo.
Ed è attraverso scrittrici come la Strout che l’America può ancora affermarsi come un grande paese democratico, che ha il coraggio di affrontare le critiche più feroci e quantomeno discuterne.

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Philip Roth, Jonathan Franzen
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C.U.B. Opinione inserita da C.U.B.    06 Luglio, 2013
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Profumo di Sud

Caotica bottega di un antiquario, disordine e polvere.
Imponente la testiera di un letto abbandonata al muro, il bronzo fregiato di rose e di carezze dalle mani di una bambina.
Mi sento come di fronte ad un laghetto profondo , la superficie tranquilla mi invita.
Potrei avere tra le mani una vecchia spilla d'oro di mia zia, una perla l'abbellisce in un ghirighori d'altri tempi, non si usano piu' le spille.
Lancio il monile nell'acqua e mentre il gioiello affonda i ricordi affiorano dolcemente in cerchi concentrici di armonia, di malinconia.
Emergo, il corpo intinto nell'acqua dei mari del Sud, le dita si asciugano nel venticello di un poggiolo che guarda lo Stretto, le avvicino alle narici e profumano di mandarino appena sbucciato, le unghie bianche di salsedine, tra i capelli il verde del basilico , una marionetta mi sorride sbirciando dal teatrino.

Una storia nata a meta' del secolo scorso in Sud Italia, dai connotati vaghi e incerti. Generica la collocazione, tratteggiati i perimetri dei personaggi, non ben definita la prospettiva di narrazione, sfuggente a tratti il soggetto.
Se credete io abbia appena messo in fila indiana i tarli di questo romanzo, sbagliate. In realta' la configurazione blanda e' un punto di forza del libro, ne accresce il fascino rafforzandone la traiettoria indefinita.
Del resto un ricordo d'infanzia non e' meno bello, seppur sfocato.
Del resto un sogno appollaiato tutta la notte sul nostro guanciale non e' meno intenso, se al mattino ne possediamo solo un'ombra.

Di Anna D'Andrea su internet si trova ben poco, chissá chi e', chissá se e' solo uno pseudonimo. Sia chi sia, il suo lavoro e' estremamente particolare ed evocativo, perfetto per gli animi sensibili e per chi ama fissare le parole impresse sulla carta e leggere momenti , attimi, assaporare la polpa di un frutto del passato anche senza una trama definita, profumi, colori, il verde incedere di una rosa che si arrampica sul muro rincorrendo il gelsomino.

" Il moccoletto di cera bruna s'era consumato, il mandarino, ormai spento, s'era svuotato di tutti i suoi visitatori incantati ; ma rimaneva il profumo,dolce con una nota amarognola. E quel profumo era Natale".

Dirvi che mi e' piaciuto tanto e' superfluo, allora investo le ultime righe sottolineando anche il buon lavoro della Casa Editrice, il volume e' una delizia.
Buona lettura.

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Economia e finanza
 
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Mario Inisi Opinione inserita da Mario Inisi    04 Luglio, 2013
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Azzardo morale

Caro Andrea De Marco, questo libro mi è arrivato oggi e mi ha tenuto sveglio fino alle 3 di notte passate. Nemmeno Purdy o Chandler sono riusciti a fare di meglio. Non so cosa penserebbe Adam Smith di queste tue pagine ma io sono rimasto molto colpito.
Il libro è scritto in modo semplice, efficace e chiaro, adatto a una persona che non sa nulla dell’argomento(come me ). Spiega, tra l’altro in modo simpatico, tanti aspetti del mondo della finanza a cominciare dai vari tipi di prodotti e dal funzionamento dei mercati per arrivare all’argomento che evidentemente ti sta più a cuore, la crisi finanziaria. Soprattutto la connessione tra il mondo della finanza e le sue aberrazioni e la crisi. In particolare si usa il termine: azzardo morale. Alcune persone per profitto personale riescono a creare bolle finanziarie e a giocare d’azzardo sulle economie mondiali, tra l’altro con poco rischio personale. E' come se chi decide come investire i soldi di uno stato invece di investirli ci giocasse d'azzardo tenendo tra l'altro i profitti per sè e lasciando le perdite allo stato.

Non avrei mai pensato di commuovermi su un testo simile.

“Non è con l’oro o l’argento, ma con il lavoro, che tutta la ricchezza del mondo fu originariamente acquistata.” (Adam Smith)

Ora però le cose sono cambiate. Strumenti finanziari mal gestiti dalle investment bank e poco o nulla regolamentati dagli stati hanno consentito di creare accumuli di ricchezze e di potere in mano a pochissime persone che riescono a condizionare ancora oggi, nonostante la consapevolezza dei rischi che l’economia mondiale sta correndo, le scelte politiche dei governi rinviandole o orientandole verso placebo inefficaci.
Solo per dare un’idea: nel 2007 i profitti del settore finanziario erano già diventati il 40% dei profitti di tutte le aziende dell’economia e il valore dei derivati immessi sul mercato superava di 10 volte il PIL mondiale. La sola finanza raccoglieva più di un terzo delle ricompense sociali destinate ai vari settori dell’economia.
Questi soldi vanno a questo gruppo ridotto di persone che ha acquistato ormai uno strapotere. I governi pur rendendosi conto, e scrivendo report sulla necessità di regolamentare i mercati finanziari a livello globale, non lo fanno e pur consapevoli della pericolosità di alcuni prodotti finanziari non li regolamentano/vietano. Hanno dato soldi alle investment bank quando erano a rischio di default (non potendo farne a meno) spalmando così su tutti i danni fatti da loro. In questo modo è venuto meno il principio base del libero mercato del chi sbaglia paga. E se, in passato forse non ci si è resi conto del ruolo di questi tipi di banche ora che ci si rende conto del loro comportamento profondamente immorale e terribilmente rischioso, gli si consente di perseverare nel perseguimento del proprio profitto altissimo a scapito di rischi enormi per tutti. Ci si muove in questo campo minato in modo molto simile a quello che succede nell'altro campo minato, quello dei cambiamenti climatici: si va verso il baratro ormai vicinissimo pensando al vantaggio personale da qui a domattina.
Andrea propone anche alcune interessanti soluzioni frutto dello studio suo e di esperti, possibili purtroppo solo in stati che perseguano il bene dei cittadini, sulla spinta di cittadini con un senso morale profondo e sincero.
Il libro smuove le coscienze e non lascia di certo indifferenti. Io mi auguro che gente come Andrea si impegni in politica ora o in futuro come lui, immagino, si augurerà che lo facciano altri lettori spinti dalle stesse motivazioni in qualunque schieramento.
Penso di chiedere a un’amica laureata in economia e commercio di leggere il libro e di scrivere anche lei una sua opinione.
Spero di non avere frainteso troppe cose nel tentativo di dare un'idea del contenuto del libro.

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Sydbar Opinione inserita da Sydbar    03 Luglio, 2013
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COSA ASPETTATE? ACQUISTATELO

Questa non può essere una semplice recensione, non può rappresentare una facile esposizione di un'opinione, non può essere un libro da liquidare velocemente...ma quante riflessioni ci conduce a fare?
Quaranta tra autrici e soprattutto autori, perchè soprattutto autori? Perchè questi quaranta scrittori cercano di narrare attraverso dei racconti brevi il femminicidio... quindi complimenti agli autori maschi che non sono rimasti insensibili al problema. Perchè scrivo "cercano di narrare"? Perchè solo la realtà può essere più cruda e vera della narrazione.
Sono un uomo e leggendo queste pagine mi sono vergognato, spaventato, terrorizzato perchè noi, gli esseri del mio genere si possa compiere azioni, inscenare pensieri e pronunciare parole che uccidano trucidando sia fisicamente che psicologicamente e moralmente la donna.
Si. io, uomo che moltissme volte alzo la voce per nulla, insulto gratuitamente la mia compagna, levo contro di lei la mia mano, tanto poi mi dirò: è una cosa normale è come quando si comincia con il fumo o le droghe o l'alcol, chi se ne frega tanto smetto quando voglio...aaah che amara delusione, uomo, maschio, macho, aaah non credere di essere così forte perchè se così fosse non avresti bisogno di usare violenza sotto tutte le forme per importi sulla femmina, sulla donna, sulla moglie, sulla figlia, sull'amante, sulla prostituta o semplicemente su di una sconosciuta.
Questo libro mi ha fatto riflettere tanto, molto, troppo e mi sono chiesto, ma tutto ciò perchè? Chi è il forte davvero? Come si può guardare, ascoltare, toccare, usare, violare una donna, così?
Inutili moralismi...si inutili perchè la realtà ci riconduce a delle statistiche di stragi da guerra...e quante altre vittime sommerse abbiamo in giro che devono ancora denunciare i loro aguzzini, e quante invece sciolte nell'acido, bruciate vive o morte, quante murate, quante seppellite o annegate che saranno custodite dalla natura, quella madre natura che genera santi, martiri, beati, giusti ed allo stesso tempo assassini, violenti, uomini deboli che cercano di sopraffare le loro debolezze solo riuscendo a piegare con la violenza le donne, si quelle donne che per taluni sono le responsabili delle stesse violenze da loro subite!!!
Un' opera da leggere non perchè è scritta bene, non perchè attira il lettore in storie ben congeniate, non perchè si tratti di un'antologia di racconti realizzati da penne del calibro di De Giovanni, Vichi, Bilotti, Novelli e Zarini, Oliva, Berselli, Morozzi o Raul Montanari e mi perdonino tutti gli altri per non averli citati, chiedo venia... Questa raccolta di racconti va letta perchè parla di un cancro della società, di un brutto male silenzioso come un serpente, che rompe le ossa come una tenaglia, che ferma il respiro come un pugno allo stomaco, che brucia come fuoco ed acido sulla pelle, che ammorba irrimediabilmente il sangue come un veleno, che soffoca come una mano sul collo, che semplicemente uccide donne, quelle donne che potrebbero essere le nostre madri, le nostre compagne, le nostre figlie, le nostre amiche o semplicemente femmine.
Buona lettura a tutti e complimenti particolari alla Dottoressa Bruzzone per aver sensibilizzato l'iniziativa ed al Telefono Rosa per il contributo d'aiuto e sostegno alle vittime. Ricordo che i proventi dell'opera saranno devoluti al Telefono Rosa.
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Syd

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cuspide84 Opinione inserita da cuspide84    02 Luglio, 2013
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PROGETTO CALVARIO

Non fermatevi alle prime righe della trama pensando che sia la solita storia trita ritrita di un marito sconsolato che non riesce a superare la morte della propria moglie.

Non lasciatevi prendere dal timore di affrontare la lettura di un nuovo emergente autore, paragonato a Michael Connelly o a Jo Nesbø, pensando “ok, prima o poi arriverà senz’altro la fregatura, ma quando!?”
Se acquisterete questo thriller non ve ne pentirete assolutamente!!

David Raker è un ex giornalista che sta cercando di raccogliere e di rimettere insieme i cocci della sua vita per andare avanti e superare la perdita della sua adorata Derryn, portatagli via da un male incurabile.

Quando una collega della moglie bussa alla sua porta per incaricarlo di scoprire la verità sulla morte del proprio figlio, misteriosamente scomparso cinque anni prima in un incidente stradale, David non sa cosa rispondere, ma qualcosa, o meglio qualcuno, gli dice che sarebbe il lavoro adatto per lui, abituato nei tempi passati a indagare per scoprire verità nascoste e occultate per i motivi più svariati; ma quel che il nostro protagonista non sa, è che la scomparsa di Alex non è il capriccio di un figlio improvvisamente stufo della vita di tutti i giorni, ma è la punta di un iceberg, un sassolino nella scarpa divenuto, per qualcuno, particolarmente fastidioso.

In 423 pagine, che scorrono veloci come lampi nel cielo, faremo la conoscenza di questo personaggio davvero fuori dagli schemi: un uomo pronto a sacrificare la propria routine quotidiana per buttarsi in una mischia ricca di colpi di scena, pronto a non riconoscersi più allo specchio e a cambiare drasticamente la propria visione della vita per poter scoprire la semplice e dura realtà; pagina dopo pagina, personaggio dopo personaggio, il lettore si troverà intento a sopravvivere a un calvario crudele e senza senso, scoprirà verità nascoste e occultate per anni, giri di persone e cose assurde, votate alla ricerca di una redenzione che spesso si traduce come insolenza nei confronti della vita propria e degli altri.

Il primo libro di una trilogia che sicuramente troverà posto nella libreria degli appassionati di thriller da cardiopalmo!

Buona lettura!!!

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Romanzi
 
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Zine Opinione inserita da Zine    02 Luglio, 2013
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Una nuova possibilità

La fine del mondo. Quella vera, l’Apocalisse che ridurrà a niente la vita sulla Terra e i millenni di cultura del genere umano. Così, in pochi minuti, senza alcun preavviso, ogni cosa viene spazzata via. Non c’è tempo per tentare di trovare una soluzione, una via di salvezza; nessuna occasione per gli ultimi addii.
Un attimo prima c’è la Vita e l’Uomo governa il pianeta. Un attimo dopo, tutto è finito.
L’ecatombe viene vista in diretta da una base lunare, abitata da un piccolo manipolo di scienziati e volontari comandati dal cupo Odama. Spetterà a lui il compito di trovare un significato in tutto ciò, parlare con coloro che ne sono la causa ed essere protagonista dell’annientamento finale…o forse di una rinascita.
Questa, in breve, la trama di “L’uovo” di Rodolfo Viezzer, edito con Aracne, Un breve romanzo che unisce fantascienza e teologia, morale e scienza, in un viaggio tra le macerie di un pianeta che si risveglia sull’orlo della distruzione, non dissimile all’animo dello stesso protagonista, che dalla morte della compagna ha perso ogni interesse alla vita e a tutto ciò che lo circonda.
Secondo molte mitologie, l’Universo nasce da un Uovo. Pensare ai pianeti come gusci di creature che crescono al loro interno aspettando il momento della nascita è al contempo splendido e terrificante, troppo al di là della capacità di visualizzazione del genere umano.
Un essere gigantesco sotto la crosta terrestre provoca, per venire al mondo, l’estinzione di miliardi di vite. Odama si batte attraverso un confronto etico fatto di solo pensiero per insegnare all’intelligenza aliena fecondante quanto aberrante sia questa proporzione, quanto significhi in termine di danno cosmico. Anche una sola vita perduta, con il suo carico di esperienza e ricordi, è un danno incalcolabile.
Odama ed Ave. Adamo ed Eva. Un semplice acronimo, ma non così scontato. Ce ne si rende conto piano piano, proseguendo con la lettura. Ave è morta; era la luce nella vita di Odama, che ora vive senza speranza e senza più legami con tutto ciò che, sulla Terra, gli ricorda lei. Dentro di lui è avvenuto qualcosa di molto simile al disastro che si sta abbattendo sul pianeta e forse proprio per questo riesce a gestire tanto bene la situazione, a far continuare l’attività della base in sua custodia.
E’ l’unico ad avere la forza e il coraggio di indagare, quando si scopre che il cataclisma è stato indotto da creature che attendevano questo momento da milioni di anni.
L’analisi della psiche di Odama occupa nella narrazione un posto non meno fondamentale del destino a cui la Terra e l’Uomo stanno andando incontro, intrecciata indissolubilmente alle sorti del nostro mondo e della specie.
La particolarità di questo piccolo romanzo sta nell’ambiguità del momento, all’interno del flusso del Tempo, in cui tutta la vicenda si svolge. Potrebbe trattarsi del nostro futuro, neanche tanto lontano. Oppure, perché no, di un remotissimo passato di civiltà evoluta cancellata dallo sconvolgimento planetario, poi rinata grazie a una “seconda possibilità” in cui stiamo ricalcando le tappe precedenti…
L’autore non lo specifica. Forse nemmeno intendeva offrire una suggestione simile. Fatto sta che essa nasce nella mente del lettore fin dalle prime pagine e dona qualcosa in più a tutta la vicenda.
Nonostante la necessità di un editing un po’ più attento, una storia di fantascienza costruita con classe, di gradevolissima lettura, che offre molti spunti di riflessione.

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Poesia italiana
 
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GLICINE Opinione inserita da GLICINE    02 Luglio, 2013
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PERLA RARA

Non è per nulla semplice recensire una raccolta di poesie. Nel mio caso perché sarebbe la prima volta, ma anche perché si varca una soglia particolare. A mio avviso, leggere poesia, significa trovarsi di fronte all’animo nudo del poeta. Percepire la gioia, la sofferenza, la malinconia in maniera così forte e pura da rimanerne a mia volta profondamente toccata.
Chi sceglie di esprimersi attraverso la poesia, sceglie una modalità di comunicazione forte, la parola si carica di significati inaspettati, l’emozione, il vissuto, i sentimenti dell’autore sono il cuore pulsante dei versi, così da riuscire in poche battute, a far entrare il lettore in mondi ed atmosfere unici.
E’ quello che è riuscita a fare Angela Caccia.
Da profana, quale sono, mi sono tuffata nel vero senso della parola, tra i suoi versi, ed ho inizialmente consumato velocemente e avidamente le sue poesie, per poi riprenderle con più calma, assaporandole e consumandole pian piano.
Ho percepito la padronanza lessicale dell’autrice, che sceglie con cura ogni singola parola, gioca con esse, ci si diverte, le intesse come fossero preziosi merletti, i versi sono ricchi di metafore, ed io la ritrovo lì, che quasi gioca a nascondino, ma ne sfioro e percepisco l’essenza…. Importante risalta anche l’aspetto spirituale, meravigliosa la poesia dedicata a Giovanni Paolo II, come altre poesie sono dedicate al terremoto in Emilia, all’uccisione di Falcone e Borsellino:
…” è morto un uomo dipinto di cielo
Che si macchiò di terra
E fu il racconto di Dio.”
Bellissimi i passi che parlano di Angela, del passare del tempo, della natura, dell’alternanza delle stagioni, della malinconia che ogni tanto si affaccia all’orizzonte, dell’amore per un figlio….
….”sei il senso nascosto del mio sorriso
Di parole e pensieri innamorati
…. Quante volte t’ ammanto di me
Sorpresa del mio stesso calore
Quante volte scruto il tuo domani…. (Ancora e per sempre)

“Consevati una lacrima
Dalle un posto importante
Non troppo ampio
O bagnerà i pensieri
Né troppo stretto
Perché non se ne curino….” (Senza voce)
Che dire, mi ha conquistata!
Parole delicate come un petalo di un fiore o pesanti come massi, parole che racchiudono preghiere…
Tante parole, preziose come gemme che mi hanno regalato un respiro nuovo sul mio oggi!
Grazie Angela e grazie Redazione che mi avete dato la possibilità di leggere questo prezioso libro.

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Gialli, Thriller, Horror
 
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Sharma Opinione inserita da Sharma    01 Luglio, 2013
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Manipolazione

La trama della Gabbia invisibile apparentemente sembra complicata per le tante voci che la compongono, in realtà risulta immediata e facile nell’entrarci.
Siamo in Italia , oggi, circa dieci persone partecipano ad un progetto scientifico virtuale che dovrebbe dare vita ad un nuovo modo di concepire e vivere i videogiochi , il gioco dei ruoli. Mediante simulazioni prima guidate e poi solitarie in casa propria, sono vari livelli di preparazione e addestramento. Le persone vengono sottoposte anche somministrazione farmacologica non autorizzata affinché si possa arrivare oltre, non scegliersi solo una nuova identità virtuale ma poter confluire tutti nella medesima realtà, contemporaneamente. Un progetto ambizioso portato avanti da una grossa società di software, la Star&Shine.
Ma le cose non stanno affatto così, questa società è manovrata molto in alto da un potere politico e governativo, le motivazioni non sono quelle di creare un nuovo videogioco ma quello si far soggiacere alla volontà di un singolo, di un potente più persone possibili, renderli seguaci sostenitori contro la loro volontà mentale, formare degli automi ma che pensino di se stessi di essere liberi. Ma le simulazioni e le somministrazioni di farmaci cominciano a dare dei problemi, un primo uomo si suicida (o viene ucciso?) senza motivazione apparente, un secondo uomo verrà colto da infarto. Cosa sta accadendo realmente che la Star&Shine non aveva previsto? Cosa gli sta sfuggendo di mano? Perché tra le cavie, perché di fatto sono queste, è stato introdotto sotto falsa identità un killer? Perché immettere un virus nel programma all’insaputa degli stessi programmatori? A chi risponde questo killer? Perché le persone in maniera diversa continuano a sentirsi male con disturbi della percezione della realtà? Su tutte queste domande iniziano ad indagare il commissario Fegis ed Elena, la moglie del presunto uomo suicida, per loro, da subito, è parso chiaro che le carte sul tavolo non c’erano tutte, qualcuno stava barando! Si viaggia in maniera onirica tra realtà e realtà virtuale. Chi dei due avrà la meglio?
Consigliato per un profondo ed interessantissimo messaggio che aiuta a riflettere. Vero non vero, siamo pilotati, dal cibo, dalle cose? se sì, da chi? e per quale scopo? Per quello che ci racconta l’autore rispondere potrebbe alienarci!
Romanzo ben fatto con ottimi colpi di scena, ci lega fino alla fine.
Se si deve per forza trovare una pecca lo considero un po’ troppo articolato, fa perdere la concentrazione nel fluire della narrazione, ma è una piccola sciocchezza considerato che è una bella opera prima! Promosso a pieni voti!

“E cosa deve fare il buon pastore per riuscire a mantenere il controllo? Allargare i confini del pascolo, creare fonti di sfogo alternative, manipolare le informazioni, distogliere l’attenzione dalle cose più importanti e dirottarle su cose di poco conto. In altre parole, agire come un prestigiatore: far vedere cose che in realtà non ci sono e non mostrare la realtà delle cose.”

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Gialli, Thriller, Horror
 
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Nadiezda Opinione inserita da Nadiezda    28 Giugno, 2013
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Riconosce questo mondo alla rovescia?

In un mondo dove: essere precari è normale, avere un lavoro a tempo indeterminato è quasi un lusso, trovarsi disoccupati dall’oggi al domani è quasi una certezza ed avere la speranza di una pensione è quasi un pensiero proibito è quasi d’obbligo leggere questo libro, il quale ci mette di fronte al ritratto dell’Italia di oggi.
L’autore ha deciso di descrivere un lembo del nostro Paese, per la precisione ha ambientato la sua storia sulla riviera Apuo-Versiliese, con pensieri e tratti ironici che allo stesso tempo ci fanno ragionare e riflettere su cosa stiamo andando incontro.
Questo libro si potrebbe quasi definire un noir, ma alcuni tratti completamente diversi ne mettono in discussione la struttura lo fanno apparire come un giallo romanzato.
Lo stile è leggero, ma profondo.
Il protagonista, Pompilio Nardini, viene descritto così bene che alla fine del testo sembra quasi di conoscerlo da una vita e si riesce a prevedere i suoi scatti d’ira prima che questi realmente accadano.

Passiamo alla trama.

Pompilio Nardini, è un giornalista precario in cerca della giusta occasione per emergere.
Quale migliore esempio per illustrarci la situazione che l’Italia si ritrova ad affrontare in questi ultimi tempi?
Questo aspirante giornalista si imbatte in uno strano fatto di cronaca nera, questo articolo potrebbe fargli spiccare il volo nel mondo del lavoro e decide di affrontarlo con le unghie e con i denti.
Si trova di fronte a situazioni strane, ma allo stesso tempo decide di non mollare anche se la questione che ne sta uscendo “puzza assai”.
Ma proprio quando la verità sta per venire a galla una serie di colpi di scena lo fanno cadere nel baratro della rabbia e del mutismo.
Pompilio ha messo il naso in affari troppo loschi e deve stare attento a come muoversi soprattutto se il “grande capo” ha in mano la chiave del suo futuro.

Che altro aggiungere?
Tranne qualche piccolo errore, che si potrebbe definire di battitura, è un libro che mi sento di consigliare, molto godibile e non troppo pretenzioso, ma allo stesso tempo molto avvincente.

Vi auguro una buona lettura!

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cuspide84 Opinione inserita da cuspide84    25 Giugno, 2013
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FANTASMI INGOMBRANTI

Costanza è una vecchina come tante, a volte adorabile, a volte meno, soprattutto quando inizia con i suoi “revival” come li chiamo io: tipici ricordi di vita vissuta che colgono gli anziani all’improvviso, li rapiscono e li inducono a raccontare al povero malcapitato di torno, solitamente un nipote, tutta la storia della propria vita, possibilmente minuto per minuto, indipendentemente dalle disponibilità di tempo ( e di voglia) della vittima, che si trova così a dover ascoltare per la milionesima volta gli episodi salienti della vita della/del nonna/o, ovvero tutti.

Ma dite la verità, non è bello, nostalgico e piacevole, ripensare a quei momenti e ai piccoli regali che i nonni ci hanno donato rendendoci partecipi delle loro memorie?

Nonna Costanza però è un pochino fuori dal comune, eh già…. lei ha un dono: vede i fantasmi, sia di persone conosciute, sia di perfetti estranei, tutti accomunati da un unico grande denominatore comune, ovvero voler raccontare la propria visione d’idee, voler tramandare, chiarire e ribadire la propria posizione in vita.

E così in questo racconto veniamo a conoscenza di vari personaggi legati a Benito Mussolini: la moglie Rachele, le amanti Ida Dalser e Claretta Petacci, “l’amica” Margherita Sarfatti; il tutto in quanto il padre di Costanza era un fedele seguace del Duce.

Attraverso i fantasmi di vite passate e vissute, percorriamo le memorie e la vita di una persona che nonostante l’età ha ancora molto da raccontare alla sua cara “nipote selvaggia”, l’unica che ha ancora voglia di andare a trovarla e di ascoltarla, l’unica che dalla nonna non ha ereditato solo i racconti, ma anche il suo dono un po’ inquietante!

Il più grande pregio di questo libro è quello di coinvolgere il lettore pagina dopo pagina, fantasma dopo fantasma, memoria dopo memoria; si passa da un personaggio all’altro alla scoperta della loro verità e da un momento all’altro ci si aspetta una nuova bizzarra apparizione, ma, questi “Casper”, sono bravi a ritagliarsi ognuno il loro attimo di gloria, in modo tale da avere l’attenzione del lettore solo su di sé, riuscendo a non rubarsi mai la scena.

Complimenti all’autrice per aver scritto un genere particolare, molto interessante (i riferimenti storici sono tratti da libri inseriti nella bibliografia), originale, ma mai banale e noioso; un libro che fa riflettere non solo sulla storia, ma sulla vita di tutti i giorni, sulle proprie emozioni, sui propri rapporti familiari e personali, e perché no, anche sui propri fantasmi… mmm… chissà che stanotte mio nonno non mi appaia per raccontarmi di quella volta in Grecia quando combatterono durante la seconda guerra mondiale…

Buona lettura!!!!

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Fantascienza
 
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Sordelli Opinione inserita da Sordelli    25 Giugno, 2013
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Avventura in un futuro non molto lontano

Intex.
Nella grande corporazione tecnologica c'è grande fermento tra gli alti ranghi: un grande progetto, chiamato "Progetto vita" sta per essere presentato ad alcuni dei più importanti rappresentanti del mondo moderno.

Villa Hunton.
Fervono i preparativi: gli schiavi e le schiave, debitamente (s)vestiti si accingono ad accogliere gli ospiti. Gente illustre varca la soglia della splendente villa, meravigliata da quel suo fascino antico dato dall'arredamento e dalla bellezza degli schiavi. I figli del dirigente della Intex Michael Hunton, Anthony e William, sono pronti per recitare ognuno la sua parte e rendere perfetta la serata che il padre sogna da molti anni.
Ma qualcosa va storto. Dov'è finito Michael Hunton? Anthony cela la sua preoccupazione con grande maestria, ma gli eventi improvvisamente degenerano e villa Hunton si trova, in un batter d'occhio, sotto assedio.
Uno strano individuo pretende di metter mano sul "Progetto vita" e nessuno ne comprende il motivo.


La voglia di svelare qualcosa in più riassumendo la trama, era davvero molta; tuttavia mi sono trattenuta perchè questo libro deve assolutamente essere letto e scoperto in ogni sua sfumatura.
La vicenda è ambientata in un futuro non ben definito, ma oserei azzardare che non sia troppo lontano: pur essendoci una grande evoluzione tecnologica, la moneta resta sempre l'euro, cosa che mi piace sottolineare perchè ho trovato buffa e intelligente allo stesso tempo. Perchè intelligente? Perchè il fatto che la moneta sia ancora l'euro, fa presupporre che si tratti sì di futuro, ma che potrebbe essere quantificato in 40/50 anni (mia ipotesi, naturalmente); e se da un lato potrete ammirare come il progresso abbia portato notevoli migliorie nella vita di molti, dall'altro noterete una notevole diversificazione tra le classi sociali, in cui i ricchi saranno ancora più ricchi e vivranno protetti e quasi totalmente lontani da ogni pericolo, mentre i poveri saranno schiacciati tutti nella periferia, detta "sprawl". Per non parlare poi degli schiavi, ovvero persone "coltivate" in veri e propri campi di allevamento. Cosa che mi fa venire la pelle d'oca a scriverla, ma che non mi meriviglia più di tanto: per la mia visione della società moderna e "dell'andazzo generale", la realtà descritta in questo romanzo si potrebbe realizzare davvero in pochissimo tempo.

Per quanto riguarda i personaggi, ho apprezzato molto la loro caratterizzazione, ben costruita seppur non troppo minuziosa: in particolare, viene dato risalto all'aspetto psicologico e alle interazioni tra i vari personaggi, piuttosto che a precise caratteristiche fisiche le quali, pur essendo ovviamente presenti, vengono anche messe un po' da parte dal lettore stesso, poichè catturato da particolari ben più intriganti.

La storia è davvero ben scritta, si legge rapidamente ed anche il lettore si trova a lottare contro il tempo insieme ai protagonisti. L'unico appunto che mi sento di fare, riguarda il finale: molto bello ma, dal mio punto di vista, avrei preferito finisse qualche pagina prima per lasciare il lettore con ancora più suspence. É anche vero che non so se l'autore scriverà un seguito, ma in quel caso...ribadisco la mia idea!
Ultima cosa: in questo mio infinito commento (mi scuso per questo!) ho volutamente omesso di parlare della figura del Firewalker; non ho menzionato né chi viene riconosciuto come Firewalker né chi sia nel romanzo perchè questo sarà compito vostro scoprirlo.
Posso solo assicurare che di questa storia ricca di amicizia, tecnologia e lotta per la parità di trattamento...non resterete affatto delusi!

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Gialli, Thriller, Horror
 
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silvia71 Opinione inserita da silvia71    25 Giugno, 2013
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Il sogno di volare

Dopo “Almost blu” ed “Un giorno dopo l'altro”, torna in azione la detective Grazia Negro, per fermare la furia omicida di un nuovo killer seriale che funesta le strade di Bologna.

Bologna, tranquilla città di provincia poco avvezza a problematiche criminali, è oramai lontana dalla città rappresentata tra queste pagine. Lucarelli scatta una fotografia vivida e attuale del capoluogo emiliano, evidenziando il notevole flusso migratorio che abbraccia saldamente tutto il tessuto cittadino causando talvolta tensioni sociali, zone di degrado, sfruttamento. E poi la lenta e progressiva infiltrazione delle organizzazioni criminali con cui l'amministrazione locale deve convivere e combattere, sicuramente non ad armi pari.
Una città mutata, grigia e stanca, che ha perso lo smalto e la vivacità intellettuale e sociale di un tempo, in cui visi di tutti i colori si incontrano per le strade ogni giorno, in cui aleggia una sensazione di solitudine, di mancanza di aggregazione, di insoddisfazione, di rabbia.
Il volto emiliano è uno dei tanti volti dell'Italia di oggi, scelto dall'autore per raccontare una storia a tinte fosche, una storia che parla di crimine senza perdere mai di vista gli uomini siano essi cittadini o appartenenti alle forze dell'ordine.

Il racconto proposto da Lucarelli si accompagna ai versi della canzone “Il sogno di volare” del cantautore Andrea Buffa, cogliendo da essa spunti di riflessione sulle più frequenti piaghe sociali, come lo sfruttamento di manodopera in nero, le morti sul lavoro, i disagi degli immigrati.
Un richiamo importante che consolida nel lettore la sensazione che l'autore in questo romanzo abbia voluto fondere elementi noir a tematiche sociali di attualità; quasi a ricercare le scintille dell'odio in una trasformazione generalizzata che ha investito gli uomini.
E' questa la chiave di lettura con cui affrontare la storia, perchè questo romanzo di Lucarelli sembra
privilegiare la denuncia sociale alla ricerca della suspense e dell'azione, talora scivolando in situazioni poliziesche poco credibili.
Buona ed interessante la caratura psicologica femminile operata dall'autore nel disegnare la figura della poliziotta protagonista, dando prova di sapere addentrarsi nell'animo di una donna diviso tra una carriera impegnativa e il desiderio di realizzare i propri sogni.

In definitiva il sogno di volare raccontato da Lucarelli è il sogno di tanti uomini e donne, corrosi da una vita difficile, stretta, disagiata; è un sogno di evasione, di giustizia, di affetto, di realizzazione.
Molto spesso questo sogno passa attraverso canali sbagliati e l'autore ce ne racconta un esempio.

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Fantascienza
 
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rondinella Opinione inserita da rondinella    22 Giugno, 2013
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Occhio che non vuole vedere

ExtraUnione e la Società degli uomini morti è il primo volume di una tetralogia ambientata in futuro non proprio impossibile e può essere considerato come una lunga introduzione alle successive avventure del tenente Met Roustin.

Met Roustin frequenta la scuola, come tutti gli altri ragazzi; peccato che non ci sia passione nell'apprendimento, in quanto insegnare ad Ullmanopoli I per la professoressa Peura è una disgrazia.
Così distrarsi è facile, l'occhio scivola annoiato fuori dalla finestra... e ciò che vedi ti spaventa così tanto da farti tornare a casa a gambe levate, ad affrontare una di quelle giornate indimenticabili...

Diciamo che come prima prova per Michele Raniero non è male: in generale la storia di per sé non è nulla di eccezionale ma comunque scorre veloce e si legge gradevolmente, senza mai dar noia.
La trama è quella classica, buoni, cattivi, buoni che forse buoni non sono, una libertà da riconquistare a qualunque prezzo; e poi c'è lui, Met Roustin, di cui non sappiamo tantissimo, che deve ancora costruirsi una vita memorabile.
Un'ampia introduzione come l'ho già definita, dai tratti un po' acerbi che promettono grandi avventure, dai toni un po' ovattati, una trama logica e semplice (e forse a volte ingenua). Tuttavia c'è gusto nel leggere, c'è la voglia di sapere come prosegue, stuzzica la curiosità.
Distinto lo stile dell'autore, credo sia la cosa che più ho apprezzato, non tanto per la costruzione della frase (che a volte risulta un po' lunga) quanto per il lessico utilizzato, molto variegato e pertinente, che ben si adatta alle situazioni, incalzante durante l'azione e più descrittivo per l'ambiente. Ne sono rimasta sorpresa perché spesso tra gli esordi si usa essere più stretti nello scegliere le parole mentre l'autore ha cercato di variare il più possibile (per questo sono perdonabili le parecchie frasi fatte). La lingua italiana ringrazia.
Per quanto riguarda i contenuti la storia fila liscia, però manca spesso di approfondimenti, il che rende le avventure più immediate. Credo che l'aspetto psicologico sia stato un po' trascurato per favorire l'azione, e spero che nei successivi volumi potremo conoscere meglio tutti i personaggi.
Inoltre tra uno scontro e una promozione di grado traspaiono spesso messaggi inerenti alla società odierna, sentiti e risentiti ma che puntualmente vengono ignorati, questo per dire che non va a penalizzare.
Invece sono rimasta un po' perplessa dal finale: troppo aperto, non proprio ad effetto, praticamente rende obbligatorio continuare. Certo, è una saga, però così si è troncato troppo di netto... io mi aspettavo qualcos'altro dopo.

In definitiva ve lo consiglio, è una lettura leggera, scorrevole e abbastanza tranquilla, si fa leggere volentieri e credo si adatti a tutti quelli che vogliono cambiare un po' aria, se non siete appassionati di fantascienza lo troverete carino, se invece siete abituali del genere vi sembrerà un po' cliché.
Certo, poi ci vuole un cervello maschile per appassionarsi ad armi varie, nuove tecnologie e gradi militari... ma per il resto ve lo consiglio!

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Romanzi autobiografici
 
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Cristina72 Opinione inserita da Cristina72    20 Giugno, 2013
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Per fortuna va tutto bene

Cuore pulito, mente sveglia, piedi ben piantati per terra. E' il ritratto che viene fuori da questa autobiografia, seguito di un libro dove il protagonista narrava la sua infanzia di colono italiano in Etiopia. Qui si riparte dall'Eritrea, dove la sua famiglia è costretta a trasferirsi a seguito dei disordini di Addis Abeba.
L'impero coloniale dell'Italia fascista in Africa è agli sgoccioli e sono gli inglesi a prendere il sopravvento, con una politica che lascia però molta libertà agli italiani insediati nel posto.
Le pagine scorrono veloci, tra i ricordi di un ragazzino che non trascura i minimi particolari di un'esistenza decisamente felice, dove i problemi si appianano “con l'aiuto di Dio”, il coraggio e la buona volontà.
Lo stile non è perfetto, a volte ci si perde in dettagli superflui, ma è un difetto che a tratti diventa perfino un pregio, vista la purezza della narrazione: “Mi piace osservare le formiche che camminano velocemente una dietro l'altra lungo la pista che si forma man mano che transitano. Alcune trascinano un pezzo d'erba più grande di loro. Non me la sento proprio di ammazzarle”.
Attraverso i suoi occhi limpidi scopriamo usi e costumi di un pezzo di terra africana, dove gli italiani vivono e lavorano in tutta tranquillità mentre l'Europa è straziata dalla guerra.
Il suo ritorno in Italia, ormai adolescente, ci offre uno spaccato di vita dal dopoguerra fino agli anni Sessanta da cui emergono con chiarezza i germi dei mali che avveleneranno il Paese nel corso degli anni. Ma Lorenzo va dritto per la sua strada, tra studi universitari, servizio militare e festicciole,
fino alla laurea, festeggiata in famiglia con una torta “senza candeline” preparata dalla madre, al primo lavoro e, soprattutto, al coronamento del suo sogno d'amore: “Usciamo dalla Chiesa tra gli abbracci festosi di tutti e il saluto del sole”.
Sono pagine che allietano lo spirito e fanno riflettere senza inquietare, mentre si finisce per aspettare la consueta e rassicurante frase del narratore: “Per fortuna va tutto bene”.

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Scienza e tecnica
 
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Sara moncalieri Opinione inserita da Sara moncalieri    19 Giugno, 2013
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Ci vuole un Fisico Bestiale

… per rendere appetibile, interessante, e (udite udite!) comprensibile un trattato sull’energia atomica. Non parliamo di bruscolini, ma di qualcosa di molto più piccolo, onnipresente e per molti (mi metto in lista) misterioso: l’atomo, con la sua fusione, fissione, l’isotopo U-235, il plutonio (per i cinefili: sì, quello di Doc e McFly!) e annessi e connessi.
Il sopra citato Fisico Bestiale risponde al nome di Juan José Gòmez Cadenas, e, tra le varie cose, risulta essere (cito testuale): “professore in congedo di Fisica atomica e nucleare, direttore di ricerca del CSIC (l’omologo italiano del CNR) e direttore del gruppo di Fisica dei neutrini dell’Istituto di Fisica Corpuscolare di Valencia”. Quest’uomo, che a vederlo sembra più un botanico che un fisico, sta attualmente anche cercando la materia oscura dell’universo. Non chiedetemi cosa sia questa materia oscura, che nel libro non ne parlava!
Sarà che questo stesso uomo è anche uno scrittore di romanzi oltre che un divulgatore scientifico, sarà quel che sarà, ma è riuscito a scrivere un saggio che pur nella complessità degli argomenti trattati e nella precisione in cui li ha esposti, è risultato avvincente e piacevole - invece di risultare indigesto e, per dirla a modo mio, una “mappiolata”.
Bravo, non c’è che dire.
Nella prima parte esordisce fornendo una carrellata delle fonti di energia utilizzate dal passato ai giorni nostri, dal chi e perché utilizzava tali risorse, dei primi impatti ambientali che hanno prodotto. Racconta di una Londra di oltre un secolo fa, polverosa e caliginosa oltre ogni limite a causa dei residui rilasciati dalle numerosissime industrie a carbone. Mi immaginavo Jack lo Squartatore aggirarsi per quella Londra.
Passa poi alla scoperta della radioattività e delle reazioni atomiche, ci parla delle madri di questa scoperta, Marie Curie e Lise Meitner (quest’ultima per la fissione). Ho apprezzato che, oltre che come scienziate, ne parlasse anche come di persone.

Passa poi a trattare il tema dell’ energia nucleare come alternativa al cambiamento climatico e sotto l’aspetto della sicurezza, della continuità produttiva, dei costi e della sua assoluta competitività economica rispetto alle altre fonti di energia attualmente utilizzate - fonti rinnovabili incluse. In particolare punta il dito sulla sicurezza dell’energia nucleare, quando maneggiata con le dovute e basilari regole; tratta approfonditamente degli incidenti di Chernobyl (scelta umana, non errore umano) e Fukushima.
Parla dell’uso della radioattività in medicina (raggi X e terapie antitumorali) e anche del trattamento delle scorie radioattive, della possibilità di riciclarle, della sicurezza di vivere nei pressi di una centrale atomica, di quante ce ne siano sparse nel mondo (la Francia ne è costellata).

Per concludere, ottimo saggio e ottimo punto di vista fornito da un conoscitore dell’energia nucleare: appare chiaro che il Fisico Bestiale è un fisico che ama l’atomo in ogni sua espressione.

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a chi vorrebbe conoscere meglio le fonti di energia da cui dipendiamo - o non dipendiamo.
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Gialli, Thriller, Horror
 
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Sydbar Opinione inserita da Sydbar    17 Giugno, 2013
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Il bambino segreto

Quinta opera di questa autrice scandinava, che senz'altro si pone in un livello molto alto nel panorama degli autori di genere thriller.
Il bambino segreto è un thriller davvero atipico, si perchè pur partendo dal ritrovamento di un cadavere in una casa tutto poi si sviluppa sulle indagini dei movimenti, ruoli, comportamenti o sul movente dei vari e tanti personaggi ma in questo caso i veri protagonisti di questa storia sono quattro grandi sentimenti...l'odio, l'amore, il rancore e la vendetta.
L'opera si sviluppa su due trame ambientate in Svezia, una ai nostri giorni e l'altra ai tempi della Seconda Guerra Mondiale. Inutile dire che i due filoni scorreranno velocissimi e paralleli lasciandoci sempre un po' di curiosità tra un passaggio e l'altro, potranno i due binari incontrarsi?

Quanto può una guerra cambiare l'animo umano? Quanto può l'amore cambiare l'animo umano?
Questi due sentimenti quanto possono alimentare l'odio il rancore e la vendetta?

I sentimenti sono davvero immortali? O pensate che essi possano evolversi e trasformarsi per divenire cosa?

La storia insegna qualcosa? Il razzismo, l'umiliazione, l'annullamento, l'alienazione subiti da un uomo possono trasformarlo? E l'essere innamorati quanto può incidere sulle scelte ed i comportamenti di una persona???

Un'opera questa che non deluderà il lettore di qualsiasi genere, dall'amante del thriller all'amante del genere sentimentale, da chi cerca un libro storico a chi vorrebbe leggere un libro d'avventura.

"Non ci si può permettere di amare troppo. Il prezzo è sempre altissimo, ed infatti lei stava ancora pagando per l'unica volta in cui, tanto tempo prima, aveva amato troppo."

Il passato insegna e ci tralascia sempre qualcosa...ma quanto tempo impiegheremo per arrivare a conoscere ciò e a che prezzo?
Un libro che affascina e rapisce soprattutto sul finale che seppur prevedibile è di un crescendo assoluto. Un libro i cui personaggi ti implorano di entrare in empatia con loro e le loro vite. Al lettore non rimane che prendere delle decisioni ed andare avanti nella storia così ricca di misteri e segreti.
Buona lettura a tutti.
Syd

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Thriller atipici e ve lo spiego con la recensione...
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Gialli, Thriller, Horror
 
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silvia t Opinione inserita da silvia t    16 Giugno, 2013
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Un covo di vipere

Non è lo stile particolare e fresco a farla da padrone in questa indagine del commissario Montalbano, ma il tema affrontato, crudo e aspro come un limone acerbo, addolcito dalla penna ironica e mai eccessiva di Camilleri.
Attraverso un sogno si ha una prima e immediata caratterizzazione del protagonista, che ci appare in una solitudine determinata colmata, in parte, da sporadiche visite della fidanzata lontana, anch'essa ritratta con poche pennellate che ne esaltano le caratteristiche peculiari.
Se il lettore si avvicina a questo titolo senza conoscere gli altri episodi non ha quel senso di smarrimento che si potrebbe aspettare; si trova a Vigata, ne impara a conoscerne la terra e il mare che immenso, è l'orizzonte in cui si esaltano tutte le emozioni: la rabbia, la vergogna, il rancore, ma anche l'amore, la serenità, la pace.
L'indagine in se stessa è semplice, lineare; la soluzione evidente, quasi fin dalla prima pagina, fin dai primi interrogatori, ma la mente la rifugge, mentre l'istinto l'insegue, in un frenetico balletto che pagina dopo pagina non permette di prendere respiro.
I personaggi secondari sono delineati nei loro tratti caratteristici in modo naturale, presentandoli in tutta la loro personalità a chi non li conosce, ma non appesantendo la lettura a coloro per i quali, ormai, sono vecchi amici.
La personalità degli indiziati è analizzata a fondo, ogni azione fa seguito ad una sfaccettatura del carattere, la loro psicologia è delineata e precisa; per la vittima non c'è pietà, si cerca giustizia, ma non gli è perdonato niente della sua torbida vita; non vi è empatia, non vi è giustificazione né catarsi, ma solo una vertigine che risucchia in un gorgo sempre più profondo.
Lo stile di Camilleri risulta di difficile comprensione se si è neofiti del dialetto siciliano, ma come per incanto, dopo un'iniziale fatica tutto appare leggero e semplice, quasi abituale; solo una grandissima conoscenza della lingua italiana e delle sue regole grammaticali e sintattiche può riuscire in un compito così arduo, conoscenza che l'autore dimostra di padroneggiare senza problemi, permettendosi virtuosismi stilistici poco frequenti in un poliziesco.
Nel finale, ancora una volta, il commissario si trova a risolvere il caso, grazie ad espedienti che appaiono un po' forzati, inverosimili, ma sospesi in una dimensione dove tutto può succedere, dove aleggia un velo di irrealtà che tutto avvolge e Montalbano si trova a dover scegliere se squarciarlo, macchiando di reale qualcosa che il mondo non può accettare o lasciare all'irreale la verità, dove essa può esistere.
Più che per l'indubbio valore stilistico merita la lettura per il contenuto e per come questo è trattato, con grazia e leggerezza che lascia storditi e attoniti, poche ore per un libro che porterà molti giorni di riflessione.

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Romanzi
 
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JUNE Opinione inserita da JUNE    16 Giugno, 2013
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La recherche di una nuvola caduta

Durante le prime pagine,per un millesimo di secondo, ho inavvertitamente ricordato il Brucaliffo di “Alice nel paese delle meraviglie” che fumando il suo narghilè pronunciava in anelli di fumo colorato:
“t-u-u ..chi esser t-u-u”

Bel garbuglio..


Perché,essenzialmente,il tema centrale di questo racconto è l’inseguimento di se stessi nella prigionia degli altri,gli stessi “altri”produttori di conseguenze,le cui aspettative e proiezioni sono sbarre che non riusciamo a limare ed il recupero della libertà ,implodendo, sembra potersi risolvere solo in uno scambio di vita.
Chi di noi non ha mai avuto l’istinto famelico di mentire per non deludere il peso della gioia e l’ambizione proiettata su di noi di chi ci vuole bene.
E più il bene profondo si incarna in guida giudiziosa,minuziosa di cui non sentiamo il bisogno e più l’angoscia sale.Genitori che riverberano,involontariamente,il loro passato sul futuro dei figli e sulle loro scelte.Un tema che sicuramente,in un modo o nell’altro,tutti noi,in fumose frazioni,in lancette che sollecitano i minuti,nell’inconsistenza di non ricordare come mai gli anni scivolano via,per motivi più o meno incisivi nel nostro percorso, abbiamo vissuto.

Filippo,figlio di cui esser orgogliosi, Bocconiano promettente,farà cadere tutta la sua famiglia dalle nuvole,quelle nuvole vaporose,morbide carcasse di zucchero filato,della stessa consistenza delle pecore che si porterà appresso in una conferenza nel più rinomato college di Oxford e che saranno il fattore scatenante di un percorso a ritroso.
Si dipana una sorta di rocambolesca recherche di quel figlio,quel nipote,quel fratello,quel fidanzato tramite i racconti di come gli altri lo hanno vissuto,delle strade che l’hanno fatto allontanare, per capire chi abbiamo osservato ma non visto realmente crescere.
Sotto questo racconto si fa spazio anche la dolcezza di chi,invece,avrebbe voluto quelle possibilità e si ritrova,per uno scambio menzioniero necessario,magicamente ad averle in pugno per poter sviluppare il proprio desiderio di aspirazione;ed è il “Proprio”il vero messaggio nella bottiglia che la buona Mastrocola,da sempre osservatrice pedagogica di giovani anime,ha voluto far scivolare in questo mare di carta.Il suo protagonista non vuole primeggiare,non vuole essere un contenitore asettico di cultura,di idee economiche o culla di futuri sicuri e si fa scudo.

In fondo il vero sbaglio non esiste,l’indirizzare non è errato,magari è semplicemente la persona ad essere nell’indirizzo sbagliato e siccome siamo ignari della via scritta nelle nostre tasche e in quelle altrui è meglio lasciare che i grandi spazi ci angoscino,ci facciano sentire completamente inesaudibili,inappagati, persi,curiosi in modo che sia l’agorafobia a guidarci.

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Gialli, Thriller, Horror
 
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4.3
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antonelladimartino Opinione inserita da antonelladimartino    13 Giugno, 2013
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LO DEVI CAPIRE ANTONINO BARONE

In questo romanzo vanno in scena i mostri italiani. Hanno carne e ossa, un volto umano, un comportamento disumano. Sono il lato peggiore del nostro paese, ci appartengono. Ma non sono i protagonisti assoluti di questa storia: accanto a loro vivono anche gli angeli, miracoli di umanità poco visibili, che nascondono una forza insospettabile. E poi ci sono loro, le vendicatrici, le vittime unite nella ribellione. La loro vendetta non è un lusso, ma una necessità, una via obbligata per tornare alla vita.

Vendicatrici e mostri sono i protagonisti, principali ma non unici, di questa prima tappa di un ciclo che promette tragedie e commedie, crimini e rivincite, eccessi di vita e di morte in cui il femminile occupa i posti più in vista del palcoscenico. Il primo enorme, italianissimo mostro che incontriamo è maschio: gli bastano poche frasi e pochi gesti per farsi apprezzare in tutto il suo orrore. Antonino Barone è l’avidità fatta uomo, la corruzione che prospera e ingrassa senza limiti. Non vivrà a lungo, ma la sua presenza si estende all’intero spazio narrativo.Un eccellente ritratto di cravattaro, che evoca altri mostri di felliniana memoria, ma si distingue per le sue passioni anomale e lo squallore che lo circonde.

Antonino Barone possiede una caratteristica peculiare anche ad altri mostri del romanzo: tiene famiglia. Probabilmente non è vero che ognuno ha bisogno di qualcuno da amare, ma di certo l’amore per qualcuno si può conciliare senza problemi con la crudeltà, anche la sua estesa. Antonino Barone e la sorella Assunta formano una coppia insolita. Si amano davvero. Il resto del mondo per loro è una preda da sottomettere, da far soffrire, da torturare, da divorare. L’avidità li lega e li nutre entrambi. Uniti da una passione davvero insolita, i fratelli Barone celebrano il loro amore condividendo il pasto. La loro storia rappresenta il familismo amorale in tutta la sua carica distruttiva.

Sadica e corrotta, oppressa da una religione di riti e paura, Assunta perde il suo centro di gravità quando Antonino viene ucciso: sbalzata in un’altra orbita, è costretta a fare i conti con un vuoto di potere che sembra davvero incolmabile. Una volta indossati i panni di vedova nera, è dilaniata tra il bisogno di prendere il posto del fratello e il desiderio di vendicarlo. A mio parere è il personaggio più riuscito del romanzo: la sua lotta per la vendetta e per il potere conduce il lettore in un ambiente soffocante, governato da leggi inesorabili, privo di spazi liberi.

La prima vendicatrice, si presenta insieme alle altre, ma in questa tappa la sua storia occupa il centro del palcoscenico. Si chiama Ksenia e ci racconta la storia delle spose siberiane: fuggita da una terra di miseria e di maschi violenti, cerca in Italia un marito decente e una vita migliore. Trova Antonino Barone e sua sorella, che la usano come schiava sessuale e la massacrano di attenzioni. Sceglierebbe la morte se fosse possibile, ma l’alternativa è di gran lunga peggiore. Ksenia non ha scelta: subisce la sottomissione per forza; incontra l’amore e l’amicizia per caso; infine si ribella per ricominciare a vivere.

Lo stile semplice del linguaggio, l’ottimo ritmo, i dialoghi asciutti e realistici narrano senza eccessi una storia dai colori molto forti e una Roma autentica, vissuta tra corruzione e bellezza, vitalità e decomposizione. Prossimamente, arriverà il turno delle altre vendicatrici.

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altri romanzi degli stessi autori. Noir di qualità.
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Gialli, Thriller, Horror
 
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C.U.B. Opinione inserita da C.U.B.    13 Giugno, 2013
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Alla fiera del Re

Stephen King ha superato i sessant'anni e diciamolo, in questa seconda giovinezza la sua narrativa e' cambiata. L'horror di un tempo e' scemato, resta la fantasia e un non so che di macabro e un sorriso commosso. Sapete che vi dico ? Che anche per me il tempo e' trascorso e non avrei piu' la forza di sostenere il giovane King.
Ma questo sì, decisamente sì...
Pago il biglietto, varco la soglia, un cappellino stinto , zucchero filato e hot dog, salsedine e popcorn, eccomi qui , benvenuta a Joyland.

1973 Heaven's Bay , Carolina del nord, solleticato il litorale sabbioso dalla schiuma oceanica e dal vento frizzante. Alle spalle del mare ammicca Joyland, fascino decadente per un vecchio parco che non sta al passo coi tempi, ma vende improvvisazione, vende divertimento.
E il vento canta , suonando con dita invisibili la grande ruota panoramica.
Ogni vecchio legno pregiato ha il suo tarlo, il Castello del Brivido occulta un terribile segreto, una bella ragazza assassinata anni addietro sulle carrozze del tunnel buio e fresco.
Un bambino su una sedia a rotelle guarda il mare, sogna di potere succhiare tra le labbra sottili il suo spicchio di divertimento, Joyland gli fa l'occhiolino.
Si chiama Mike, lassu' sulla ruota ride e osserva il mondo da cinquanta metri e vola , vola in alto come un aquilone felice che si addormenta su sempre piu' su, sulle ali del vento.

Un romanzo che tiene ottima compagnia, si legge con estrema velocita' in un'abbuffata di scrittura linda, divertente e avvincente come da sempre ci ha abituati King. Ben poco horror, ma c'e' dell'altro.

Poi con malinconia arriva l'ultima pagina, ma l'ultima pagina arriva sempre.
Poi arriva l'ultimo giorno in cui ci si e' divertiti, ma l'ultimo giorno di divertimento arriva sempre.
Poi giunge l'ultima sera d'estate, ma l'ultima sera d'estate arriva sempre.

Ehi bello...per te tutto deve ancora cominciare quindi....
Benvenuto alla fiera, alla Fiera del Re. Buona lettura.

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Gialli, Thriller, Horror
 
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Fr@ Opinione inserita da Fr@    13 Giugno, 2013
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Con la Luce arrivano sempre le Ombre.

Quando pensiamo alla neve pensiamo ai bambini sugli slittini, i pupazzi di neve con le carote come nasi, agli scii, alla tranquillità... Lupo Bianco no. L'ispettore Marzio Santoni (conosciuto da tutti come Lupo Bianco per il suo infallibile olfatto e per un incredibile avvenimento della sua infanzia) ha un particolare rapporto con la neve, con la natura in generale. Lupo Bianco si definisce "un bio-detective" e proprio per non perdere questo legame con la natura decise di interrompere la sua brillante carriera di ispettore in città per farsi trasferire in una piccola città, il suo paesino di montagna, Valdiluce.
Solo che le ombre sono pronte ad invadere Valdiluce e tutti gli oscuri segreti degli abitanti saranno svelati attraverso le indagini dell'ispettore Santoni, desideroso di scoprire la verità sulla morte di quattro giovani turiste.
Essendo una lettrice di gialli alle prime armi, devo confessare che il romanzo è stato difficile da leggere. L'inizio risulta piuttosto lento (anche se verso la fine la storia diviene sempre più intrigante con un susseguirsi di colpi di scena) e a volte lo stile mi sembrava poco adatto al racconto.
Inoltre non avendo particolarmente apprezzato il protagonista, soprattutto appena iniziato il libro, ho fatto veramente fatica a continuare la lettura.
Comunque il romanzo ha diverse note positive: la trama è veramente ben strutturata e trovo che i diversi personaggi sono stati concepiti talmente bene che sembrano persone reali che potremmo incontrare tutti i giorni.
Lo consiglio soprattutto agli adulti che abbiano già letto altri romanzi del mistero o thriller, mentre consiglio ai più giovani lettori e a chi ha letto pochi romanzi di questo genere di ritardare un poco la lettura di "Il sucidio perfetto" perchè non si riuscirebbe ad apprezzarlo completamente. Proprio per questo sono intenzionata a rileggerlo in futuro, sperando che una ulteriore lettura possa farmi amare il romanzo tanto quanto speravo.
Quindi... buona lettura a tutti! :)

-Ma un giorno all'improvviso, l'orologio su cui regolava l'esistenza perse la bussola. Marzio capì che dentro la città era chiuso in un palmo di cielo, le nubi rintanate dietro i tetti apparivano a tradimento, il sole non sorgeva o calava in un luogo preciso. Fu allora che scattò il richiamo brado.-
(Il suicidio perfetto, pagina 20).

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Lo consiglio a chi ama i libri gialli/thriller.
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Romanzi
 
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Ginseng666 Opinione inserita da Ginseng666    11 Giugno, 2013
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La parola come forma e mezzo di comunicazione...

Un libro dallo stile innovativo, dal linguaggio schietto e originale, unico nel suo genere...
Difficile associare questo libro a un'altra opera, perchè davvero, io che sono una appassionata lettrice, non ne ho mai visionato uno così..
L'autore ci propone una storia insolita, con uno stile che si diversivica dagli altri, per la sua unicità...
L'ambiente montano all'apparenza puro e incontaminato...nel quale si muovono dei personaggi bizzarri, particolari: un becchino, un operatore ecologico, un ragazzino che scrive con gli stuzzicadenti, una setta che rapisce i bambini per utilizzarli in strani ed oscuri rituali...
In realtà, in questo libro si parla di linguaggio, di parole e delle modalità per farne uso...
Infatti che cos'è in fondo un romanzo? Un mosaico azzeccato di parole, il cui insieme lo rende affascinante, divertente o noioso...
Le diverse forme della lingua che ci vengono presentate fanno parte in fondo del nostro bagaglio culturale, la comunicazione è il clu della nostra esistenza e ricopre ogni nostro approccio con il prossimo: il dialetto, le lingue antiche, lingue infantili, i difetti linguistici, i manoscritti...tutto ciò è parte integrante del libro e costituisce in realtà il vero soggetto della storia, in cui si muovono, i personaggi di questa insolita vicenda...
Vi è un mistero che l'accomuna e mentre si legge, la trama diviene più complicata, segnata da squarci di buio...corruttore di questi paesaggi incantati...E mi son chiesta a un certo punto: dove volesse arrivare l'autore...Dio confuse la lingua agli abitanti di Babilonia, perchè avevano peccato di superbia...
Io sono rimasta confusa fino alla conclusione della storia, quando come un'improvvisa illuminazione, si è presentato il finale del libro con la sua precaria soluzione..
Egli mantiene sempre un tono leggero anche quando parla di vicende tragiche in modo lieve, senza calcare la mano ....ma la vita è fatta anche di questo....tragedie, drammi, traumi che non si possono superare e che restano come scogli invalicabili nella vetta faticosa della nostra vita..
La comunicazione poi non ha senso se la si può ricondurre solo alle parole; infatti uno sguardo può essere un mezzo assai più efficace della lingua...
E la parola a volte non riesce a prendere voce nella nostra bocca, ma rimane sospesa come un muto messaggio sulle nostre labbra...
Non tutte le parole si possono pronunciare, anche per ovvie ragioni di convivenza civile, ma con gli occhi si può sempre agevolmente comunicare il proprio mondo interiore...
Non per nulla, affermava qualcuno, gli occhi sono lo specchio dell'anima.
"La mimica rende più vive le nostre parole e conferisce loro più forza. Essa è più delle parole, che possono essere falsate, rivela i pensieri e le intenzioni altrui. La libera espressione di un'emozione per mezzo di segni esteriori, la rende più intensa. D'altro canto, la repressione di ogni segno esteriore, nella misura in cui è possibile, sfuma le nostre emozioni." Charles Darwin
Consiglio questo libro a tutti, anche per la sua originalità.
Non si può dire che si tratti di un capolavoro, ma sicuramente è carino e interessante.
Saluti.
Ginseng666

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silvia71 Opinione inserita da silvia71    10 Giugno, 2013
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La voliera dei pappagalli

Anna Maria Balzano con il suo “La voliera dei pappagalli” fotografa uno spaccato sociale di estrema attualità, un piccolo gruppo di uomini e donne prigionieri tra le mura di una vita stretta e logorata.

Uomini e donne, figli della nostra società, pronti a rincorrere agi, posizioni sociali di rilievo, sicurezze economiche solide, senza disdegnare le passioni amorose, quelle che fanno palpitare il cuore o che ridestano dalla routine quotidiana.
Uomini e donne che sembrano avere raggiunto tutti gli obiettivi più importanti, dal lavoro alla famiglia, eppure quando il destino li chiamerà a tirare le somme del proprio percorso esistenziale, si ritroveranno a fare i conti con se stessi, ponendo sulla bilancia vittorie e sconfitte, ponderando i risultati delle proprie scelte.
Uomini e donne, annoiati, disillusi, feriti, colpevoli, egoisti, insicuri, accomodanti, soli.
Uomini e donne in fuga dagli affetti, dalla famiglia, dal mondo circostante.
Interessanti gli interrogativi che l'autrice si pone, in maniera composta e delicata, tessendo una trama di eventi e di sentimenti che portano alle risposte.
Emblematico e stupendo il titolo del romanzo, che va a coronare il percorso narrativo, prestando la voce all'autrice per rappresentare la vita dei personaggi; se la vita diviene talora una gabbia, è pronto l'uomo a volarne via appena una mano ne apre lo sportello?
Libertà o rassegnazione al proprio nido?

Anna Maria Balzano possiede un tratto stilistico elegante e raffinato, unitamente alla capacità di delineare i suoi personaggi con tratti rapidi e incisivi, cogliendone l'anima e rappresentandone il contesto socio-ambientale con realismo estremo.
Il particolare interesse mostrato per l'indagine psicologica fa sì che il romanzo si popoli di persone dal volto ben definito e oggettivamente riscontrabile, ottenendo un coinvolgimento totalizzante nel pubblico.
E' un'autrice che sa parlare degli uomini e della vita, riuscendo a coglierne le infinite sfaccettature, scavalcando i paletti delle apparenze e cercando l'io profondo.

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Arte e Spettacolo
 
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Zine Opinione inserita da Zine    06 Giugno, 2013
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Poesia cantautorale

Ecco un’antologia poetica molto particolare. I versi che vi sono contenuti e che vengono analizzati dalla curatrice nel testo di presentazione, non nascono dalla penna del poeta ante litteram, bensì dal mondo cantautorale. Non è il primo tentativo fatto in tale direzione, ma quella di Sara Notaristefano è una nuova voce che si eleva per sottolineare come i testi nati per essere messi in musica siano un genere letterario che possiede non solo una sua dignità, ma anche una sua intrinseca bellezza, godibile anche in mancanza dell’elemento musicale, che accomuna questi componimenti alla poesia vera e propria.
E’ sempre esistita la tendenza a sottovalutare la valenza letteraria dei testi per musica, nonostante sia ormai comune trovare le cantiche dei trovatori sulle antologie. La differenza sta nel fatto che esse sono circonfuse da un’aura di importanza per il fatto di essere ormai parte della Storia, mentre la canzone contemporanea viene sottovalutata. L’autrice vuole ribaltare quest’ottica offrendo un’ampia scelta di autori e brani per dimostrarne la piacevole lettura e la valenza poetica anche distinguendola dalla partitura musicale.
Dopo una spiegazione di prammatica su modi e intenzioni della raccolta, si parte per un viaggio attraverso i principali centri di produzione della musica “leggera” occidentale: Italia, Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti e Australia. La scelta può essere opinabile, ma rispecchia il tipo di musica cantautorale che conta le maggiori vendite in Italia.
Per ogni cantautore preso in esame, vengono presentate due/tre canzoni, con il testo intero (niente tagli o scelte di parti significative). Segue una breve nota dell’autrice, di solito volta a fornire qualche dato in più sulla nascita della canzone.
Questo è quanto offre il volumetto, che senza dubbio spingerà gli amanti della musica a riascoltare gli autori citati, magari con un’attenzione nuova. La valenza letteraria dei testi citati, purtroppo, non sempre risulta così palese. Finché si tratta di testi italiani, nulla da dire. I nostri cantautori sono stati (alcuni lo sono ancora) una vera miniera di parole stupende. La magia si perde quando ci si sposta all’estero.
Purtroppo i testi sono stati tradotti con poca padronanza, in soluzioni che non sono né letterali in senso stretto, né possiedono una propria valenza poetica (comunque difficile da gestire per chi poeta non è). Forse sarebbe stato più saggio affiancare alla traduzione il testo originale.
Le note, inoltre, sono di qualità ondivaga. La presentazione è inutilmente costellata di latinismi, caratterizzata da un linguaggio specialistico e volutamente accademico, e la sua lettura risulta ben poco intrigante, non adatta a far da prologo ad un’antologia quanto a precedere un saggio letterario per iniziati. I brevi concetti a conclusione delle canzoni, inoltre, non hanno tutti una vera valenza. Non c’è una linea di condotta precisa sul tipo di informazioni fornite. A volte ci si trova di fronte a una breve valutazione letteraria del testo, altre a qualche nozione specifica (data, momento del debutto). Altre volte ancora non viene fornito alcuno spunto interessante.
In generale, quindi, un’antologia sicuramente intrigante per stimolare un ascolto più attento della forma-canzone, ma senza informazioni interessanti che consentano un’analisi letteraria o storica di qualità.

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Maso Opinione inserita da Maso    05 Giugno, 2013
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Un thriller in potenza

Io non sono uno scrittore, e nemmeno un critico letterario, perciò mi faccio delle domande, mi dò delle risposte e tento di costruire delle ipotesi che mi aiutino a comprendere un libro e cosa vi sia dietro. La prima tra queste è in realtà una facile considerazione: Joel Dicker è uno scrittore molto giovane, e questo, innegabilmente, si percepisce durante la lettura. Giovane non perché i suoi personaggi usino Facebook o facciano le foto col telefonino, quanto perché mi sembra evidente che sia ancora in fase di rodaggio, in un momento decisivo per scoprire uno stile personale e una capacità di costruzione che resista anche agli occhi del lettore più critico, come tutti i thriller rispettabili che vengono pubblicati. Lungi da me il volermi mettere contro tutto il plebiscito dei lettori francesi, che hanno fatto di questo romanzo un caso letterario, trovo però inevitabile una buona dose di osservazioni che mettano in mostra un talento promettente che, sfortunatamente, si inceppa su più punti cruciali.

Prima del dettaglio, però, la trama. Marcus Goldman è un giovane scrittore che, dopo essere diventato una star milionaria agli occhi dell’America, per un esordio letterario sfolgorante, si trova completamente bloccato e privo di ispirazione. La scadenza per la consegna del nuovo romanzo si avvicina e le parole non vengono. Nel medesimo tempo accade un fatto sconvolgente. Harry Quebert, uno dei più grandi scrittori americani contemporanei, nel contesto immaginato da Dicker, è tutt’a un tratto sospettato di aver commesso un crimine, l’uccisione di una quindicenne, Nola Kellergan, avvenuta trentatrè anni prima. La stessa quindicenne con cui, a trentaquattro anni, ebbe una folle, quanto inopportuna, relazione in un’estate del 1975, relazione che, all’insaputa di tutto il continente, ispirò il suo romanzo di più grande successo, “Le origini del male”. Marcus Goldman si reca ad Aurora, un paesino marittimo sulla costa del New Hapshire per sostenere l’innocenza di Harry Quebert, suo amatissimo ex professore universitario che aveva ricoperto la figura di mentore, padre adottivo e amico. Una guida spirituale che, in una sorta di passaggio di consegne, ha educato il giovane Marcus alla fine arte della letteratura facendo di lui lo scrittore di grido del nuovo millennio, esattamente come lui lo era stato di quello trascorso. Sostanzialmente di questo si tratta. Il seguito è facilmente immaginabile. Il giovane Marcus inizia con le sue indagini private per scagionare l’amico, in carcere e con l’ombra della pena di morte sulle spalle.

Le premesse per qualcosa di interessante ci sono tutte in questo romanzo, che infatti parte bene, graduale e gradevole. Uno dei suddetti punti cruciali su cui si inceppa l’autore è sicuramente quello dei dialoghi. Alcuni sono esageratamente inverosimili e provengono da personaggi altrettanto inverosimilmente progettati, troppo caricaturali, troppo stereotipati e inquadrati in vesti adatte ad una commedia hollywoodiana. La madre di Marcus Golberg, benché un personaggio secondario e irrilevante ai fini della storia, è l’emblema di tutto quello che, secondo me, non dovrebbe essere fatto da un giovane autore che decide di scrivere un thriller. L’estrema premurosità, ottusa e bimbesca, della signora Golberg nei confronti del figlio risulta ridondante e incommensurabilmente falsa scaturendo da una penna con poca gavetta, apparendo infantile non per scelta ma per mancanza d’altro. Essa, inoltre, appartiene omogeneamente all’insieme delle altre protagoniste femminili del romanzo, le quali, in una semplificazione non troppo lusinghiera per il gentil sesso, appaiono tutte maniacalmente interessate all’accasarsi. Si tratta certo degli anni settanta, ma non per questo il cliché deve imperare. L’analisi dei personaggi/parodia potrebbe continuare ancora per molto, ma concludo parlando del sergente Gahalowood, incaricato delle indagini ufficiali sul delitto, con cui Marcus si troverà a collaborare. Ora, come è possibile che un sottoposto con poteri e pareri limitati, nonché funzionario dell’ordine pubblico, si permetta di utilizzare un linguaggio ai limiti della decenza e a trattare tutti a pesci in faccia? In qualsiasi luogo si trovi, questo personaggio, delegato alla manifestazione della rettitudine, parla una lingua di soli improperi assolutamente non credibile, e dal nulla si trasforma drammaticamente, nella seconda metà del libro, come il grande, nuovo “amicone” del protagonista. Un atteggiamento incomprensibile.
Mi si perdoni la puntigliosità, ma i personaggi di questo romanzo non sono tanti e se molti di questi sono connotati in modo tremendamente inopportuno è la stessa struttura narrativa a risentirne. La ciliegina sulla torta che corona quelli che sono, secondo il sottoscritto, i punti deboli del libro è quella che riguarda i dialoghi e le scene amorose tra il giovane Harry e Nola, evocati tramite numerosi flashback. Francamente scontati, mielosi e privi di un minimo di piglio contemporaneo.
In ultimo, il colpo di scena, il grande “MA”.Questo libro, dopo tanta critica, merita di essere salvato. Sia ai miei occhi, sia a quelli di tutti quelli che leggono e che non devono farsi preconcetti. Perché in fondo si legge molto bene, scorre veloce e mantiene comunque un ritmo che permette di rimanere avviluppati nei meandri sempre più oscuri di una storia bipolare. Con un suo lato luminoso, quello delle ariose spiagge affacciate sull’oceano, sulle quali si consuma una storia d’amore senza confini di età, estrazione sociale e ipocriti perbenismi. Con un suo lato oscuro, quello dei boschi più cupi che accolgono in seno la fuga di una ragazzina, che scappa da un mondo che non si è risparmiato di ferirla nell’animo. E’ un romanzo che, nonostante i propri difetti, tenta a suo modo di porsi con obiettività di fronte ad una tematica che trent’anni fa suscitava scalpore, un tabù, quello della differenza d’età nelle relazioni amorose, che si è parzialmente risolto con l’evolversi dei tempi, i quali si dimostrano indulgenti verso tali scelte compiute bilateralmente e in buona fede. E tenta inoltre di riflettere (lungamente, a dire il vero) sul mestiere dello scrittore, che, come tanti altri mestieri che mettono in campo la fantasia e la creatività umana, rischia sempre di più di perdere quel suo lato puro e genuino di forza espressiva, schiacciato dalle speculazioni e dalle pressioni della statistica del soldo.
L’ironia della sorte ha voluto che questo romanzo diventasse un caso editoriale, esattamente nello stesso modo dell’esordio di Marcus Goldman. Non ci è dato sapere se questo particolare indichi la possibilità di qualche accenno autobiografico da parte di Dicker. Quello che sappiamo è che di questo autore ne sentiremo parlare ancora, e avremo forse la fortuna di vedere un sempre migliore risultato sotto gli occhi.

P.S. Al traduttore: “Ordinai una pizza e la mangiai in terrazza”? Ma per piacere.

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Marghe Cri Opinione inserita da Marghe Cri    03 Giugno, 2013
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Ce la puoi fare, Josie!

Un racconto fremente di vita, ricco di personaggi credibilissimi.
La storia si dipana senza strappi né nodi, niente salti temporali o flash back, nessun bisogno di tornare indietro ogni tanto per riannodare fili persi. Prosa fluida, elegante, fresca.
Trama non originalissima ma ricca di eventi senza essere ingarbugliata e inoltre credibile e ricca di descrizioni di una New Orleans della metà del secolo scorso che appare proprio come ce la immaginiamo e come in effetti deve ancora essere: con il suo fiume misterioso e lento, le sue strade pericolose di notte, con il folklore creolo e i suoi riti voodoo.
Città attraente e torbida, New Orleans è il luogo in cui Josie lotta da sola per costruire la sua vita e per allontanarsi dal bordello in cui sua madre vive e lavora. Josie prova repulsione per quel mondo ma sa attraversarlo senza sporcarsi, forte e ricca solo delle sue capacità e del suo carattere positivo che le fa superare anche la sofferenza di non aver mai ricevuto un gesto d'amore da sua madre, donna bellissima ma gretta e anaffettiva.
Il sogno di affrancarsi da quell'ambiente passa attraverso il tentativo di iscriversi a una prestigiosa università, a migliaia di chilometri da là, dove nessuno sa chi è sua madre e lei potrebbe finalmente essere solo se stessa.
La vita è una corsa ad ostacoli per Josie che per forgiare il suo futuro ha a disposizione pochi mezzi ma può contare sull'affetto e sulla stima di molte persone e di due uomini che le sono accanto e che la amano in silenzio.
È un romanzo che parla di affetti, di amicizia, di amore, di speranza, in cui non mancano personaggi cinici e bari immersi in un'atmosfera cajun che aggiunge colore e profumo alla vicenda.
Josie è uno di quei personaggi capaci di uscire dalle pagine e diventare reali accanto al lettore, di quelli che dopo la parola "fine" continuano ad aleggianti intorno costringendoti a rimandare l'inizio di un nuovo libro per trattenerli ancora un po'.

[...]
Mia madre è una prostituta. non una di quelle volgari, che battono il marciapiede. in realtà lei è piuttosto carina, abbastanza raffinata e ha dei bei vestiti. ma va a letto con gli uomini in cambio di soldi o regali e, stando a quel che dice il vocabolario, ciò fa di lei una prostituta.
[...]

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Romanzi autobiografici
 
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peucezia Opinione inserita da peucezia    30 Mag, 2013
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La storia che vive

L'autore ormai ottuagenario decide ,novello Ippolito Nievo, anche se il libro "Le confessioni di un ottuagenario" lo conoscono veramente in pochi, di vergare una sua autobiografia romanzata partendo dalla fanciullezza.Tralasciando i fumosi ricordi della prima infanzia, Lorenzo Cavalieri focalizza l'attenzione slla sua avventura africana iniziata a sei anni e conclusasi a circa undici quando l'Etiopia dove egli ha trascorso questa importante fetta della sua esistenza è ormai in mano inglese.
Al di là dal suo essere bambino, lo scrittore, complice una mano felice nella scrittura, offre al lettore un'interessante e utile prospettiva su come vivevano gli italiani nelle colonie e sui rapporti con gli indigeni. Si parla anche dell'attentato a Graziani vissuto dagli occhi ingenui di un bambino.
Oltre alle pagine che riguardano la sua vita di fanciullo, Cavalieri divaga su un caso di omicidio occorso nei pressi di casa sua e offre anche una sua opinione disquisendo piacevolmente su argomenti di varia natura che spaziano dalla filosofia alla religione mostrando la sua cultura e la sua naturale tendenza alla divulgazione. Qualche ingenuità narrativa dovuta all'inesperienza perdonabile però trattandosi di un'opera prima. In complesso, poiché la Storia è fatta soprattutto con i documenti e le testimonianza, il libro è una valida fonte per chi vuole approfondire un periodo della nostra storia nazionale di cui non si conosce tutto fino in fondo.Utile anche per ragazzi che stanno preparando l'esame di terza media per avere il punto di vista di un ragazzino più piccolo di loro ( malgrado sia un adulto anziano a riguardarsi a distanza di anni e con l'esperienza di molti lustri sulle spalle).

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autobiografie; romanzi storici; saggi sull'avventura coloniale italiana
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Gialli, Thriller, Horror
 
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GLICINE Opinione inserita da GLICINE    28 Mag, 2013
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AVETE PRESENTE STEVEN SEAGAL?

Libro di 173 pagine che si legge in poche ore. E’ una responsabilità recensire un libro scelto tra i titoli messi a disposizione della Redazione, soprattutto se l’analisi che ne viene fatta non è da cinque stelline…
L’autore è al suo primo libro, è un maestro di karate, ex componente della Nazionale italinana, gestisce una scuola di Arti Marziali a Venezia.
Veniamo all’analisi degli aspetti positivi, il libro è scritto bene, la storia non si ha difficoltà a seguirla, particolari le riflessioni e descrizioni che si basano sull’addestramento delle Arti Marziali, che gli amanti del genere possono trovare sicuramente interessanti.
Non difficoltoso risulta seguire anche i vari cambi temporali che ripercorrono il passato ed il presente dei tre personaggi principali:
Duncan Moss, bell’uomo, abilissimo nelle Arti Marziali e nell’uso di qualsiasi tipo di arma, di professione “killer a pagamento”, con un infanzia difficoltosa ed una crescita segnata dai duri allenamenti quotidiani..
Richard Kirwan, la vittima designata, anche lui bell’uomo brizzolato, con un passato nei berretti verdi in missione in Afghanistan, magnate residente in Sudafrica, con alla base delle sue proprietà e beni, traffici del tutto illeciti;
Sarah, bellissima donna stile “Barbie”, intelligente, laureata, nipote del facoltoso Kirwan, espertissima nelle Arti Marziali anche lei….
Veniamo agli aspetti che io ho considerato negativi, una descrizione dei luoghi ridotta all’osso, di questo me ne dispiace, visto che le ambientazioni passano dal Sudafrica, a Venezia, all’India… I personaggi sono a mio avviso degli stereotipi ( la storia d'amore è d'obbligo!) e, le motivazioni che spingono i tre personaggi a compiere determinate scelte, anche importanti, non vengono analizzate e descritte, così che il lettore si pone un grande numero di domande sul perché ed il per come di una determinata scelta…

Non ho assolutamente ritenuto gradevole, l’accenno al fatto che il comportamento di Moss nello svolgimento del suo “lavoro” sia in qualche modo indirizzato da un demone che abita la sua anima, richiamo che personalmente tralascerei in pieno…, infine la copertina è veramente brutta, la sovrapposizione delle due immagini, lupo e uomo danno come risultato una figura quasi diabolica (che sia voluta?), come anche il prezzo di 15 euro mi sembrano veramente un’esagerazione.
Mi ritrovo a considerare che l’idea di fondo sia vincente, ma non sviluppata in tutta la sua potenzialità.

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Non posso consigliare di non leggere il libro in quanto i miei gusti possono non corrispondere le preferenze di altri, lascio la scelta ai QLettori!
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Racconti
 
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Pelizzari Opinione inserita da Pelizzari    25 Mag, 2013
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Passo dopo passo...

...per conoscere te stesso... Il cammino di Santiago de Compostela mi ha sempre affascinato e, prima o poi, vorrei cimentarmi a percorrerlo. Questo piccolo libro, arricchito da immagini in bianco e nero evocative del significato più profondo di questa via di pellegrinaggio, raccoglie diverse leggende nate e raccontate lungo questo percorso, offrendo un punto di vista insolito e curioso, sia religioso, sia storico, sia popolare. E' una raccolta di racconti molto brevi ed ogni piccola leggenda ha un'appendice di orme di storia che collega la leggenda a fatti realmente accaduti o a personaggi realmente vissuti. Ho apprezzato soprattutto la storia del monaco che visitò l'eternità, quella del ponte di Villarente e quella del lago di Carducedo. Ho scoperto che uno dei simboli di questo cammino è la conchiglia, che, ricordando le dita di una mano, rappresenta l'immagine del pellegrino che offre il proprio aiuto ed è quindi simbolo di carità. Una preziosa appendice geografica descrive i diversi tracciati del cammino di Santiago (e io che pensavo fosse uno solo...).

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Romanzi storici
 
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cuspide84 Opinione inserita da cuspide84    25 Mag, 2013
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LUCE E BUIO

Benedetta Carlini è appena una bambina quando entra nel convento della Madre di Dio a Pescia, piccolo paesino della Toscana; è conosciuta da tutti come “la miracolata” perché nella notte della sua nascita il medico l’aveva data ormai per spacciata, ma la piccola, in barba a tutte le conoscenze mediche, era riuscita a venire alla luce, con tanta gioia per mamma, papà e gli altri abitanti della zona, ben presto venuti a conoscenza del fatto che la piccola fosse nata addirittura “con la camicia”.

Questo romanzo storico si basa sulla storia vera di Suor Benedetta, ripercorrendo, a volte romanzando, a volte riportando direttamente dalla realtà, la vita che si svolgeva all'interno del convento, utilizzando come basi testimonianze scritte giunte fino a noi, e a mio parere, il risultato è davvero sorprendente.

Mai noioso e ripetitivo, il libro non si concentra su possessioni, lotte tra bene e male o estenuanti cacce agli eretici che contraddistinguevano il periodo in cui Benedetta visse; bensì risulta piacevole, sia per il fatto di basarsi su una storia vera, sia per il fatto che questa storia non sia conosciuta dai più, pertanto ci si ritrova catturati dalla trama e dalle vicende che si svolgevano nel convento.

L’atmosfera cupa e buia che caratterizza l’ambientazione è palpabile e coinvolgente: è come se il lettore si trovasse dietro a una colonna del chiostro a osservare le suore che lavorano nell’Herbarium, che cucinano, pregano, svolgono ogni lavoro che è proprio di un ambiente di questo tipo; anche il freddo pungente delle notti d’inverno, il caldo afoso delle giornate estive e gli odori provenienti dalla cucina e dal “fuori” sono reali e tangibili; pare di essere spettatori oltreché lettori.

L’autrice è brava non solo a romanzare questa storia, ma anche a descrivere i rapporti umani che nascevano all'interno dei conventi: l’amicizia che a volte si trasformava in qualcosa di più, gli interessi di una badessa a spargere la voce della presenza di una visionaria, la ricerca della verità da parte degli uomini della Chiesa, sempre pronti a vedere lo zampino del Diavolo ovunque, l’invidia e la gelosia che colpiscono tutti, indistintamente dal fatto di essere religiosi o meno.

Un libro davvero interessante e ben scritto, perfetto per gli amanti dei romanzi storici!

Buona lettura!

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Romanzi
 
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silvia t Opinione inserita da silvia t    24 Mag, 2013
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Un bel sogno d'amore

Un piccolo paese di provincia, l'inizio degli anni settanta, la società che sta cambiando, questi gli ingredienti che compongono l''ultimo romanzo di Andrea Vitali.
Leggendo l'ingannevole quarta di copertina si ha l'impressione di trovarsi in mezzo ad una divertente ed ironica contesa tra fazioni rivali: bigotti contro progressisti; motivo del contendere la proiezione di “Ultimo tango a Parigi”, che, in realtà, occuperà ben poco spazio nell'economia del romanzo, così come poco spazio occupa l'analisi sociologica o l'allegra vitalità delle comari di paese. Ciò che riempie le tante pagine del romanzo sono personaggi, più o meno ben caratterizzati, che intrecciano le loro vite, creando una storia divertente e non del tutto banale, ma inutile nella sostanza. Il piano narrativo è ben strutturato, non ci sono falle o salti logici; non si può parlare di un genere, ma di più generi che si alternano dando vita ad almeno tre filoni principali, i quali si sfiorano, a volte in modo più deciso a volte solo con un labile sguardo, ma rimangono indipendenti uno dall'altro, gestiti bene, con ritmo incalzante che incuriosisce e intriga.
Lo stile con cui è scritto è lineare e asciutto con un lessico accessibile a tutti, dialoghi credibili e descrizioni quasi assenti, forse qualche volgarità gratuita, che stona nel contesto generale fatto di quell'antica educazione che si andava perdendo nelle città.
Come spesso accade, però, non è la tecnica e un buon soggetto a rendere un romanzo un buon romanzo, ma la capacità di trasmettere un'emozione o lasciare una riflessione e questo non accade, quando il volume giunge alla sua conclusione rimane quel retrogusto di vacuità che pervade, invero, tutto il libro che invoglia, questa volta sì, a considerare di cosa sia deficitario.
La sensazione che si ha è che questo micromondo sia sospeso in una bolla di vetro a mezz'aria del tutto privo di quel magico substrato popolare fatto di bisbigli, chiacchere e facezie che avrebbero dovuto costituire le fondamenta su cui erigere la struttura narrativa; così non è stato, il paese è popolato solo dei personaggi descritti, se si escludono concerti rock in cui, però, la folla è costituita da giovani, che non creano quell'atmosfera tipica e determinante se si vuol scrivere un intrigo di paese. Le strade sono vuote, non esistono figure caratteristiche, non conosciamo il paese con i suoi figuranti, esistono solo i personaggi che lo vivono e lo popolano, ma soprattutto e cosa più importante, non si approfondisce la tematica sociale che sarebbe stato un valore aggiunto, non un accenno agli anni di piombo o alla politica e neppure alla rivoluzione musicale, dato che nel succitato concerto il massimo del rock è una cover di “Non è Francesca” nel tripudio del pubblico, una storia come questa sarebbe potuta essere scritta in qualunque periodo senza subire sostanziali danni.
Mentre le pagine scorrono veloci la mente non può non andare a Guareschi, gli occhi si riempiono, in assenza di altro, delle sue fitte descrizioni della società del tempo, dell'ironica lievità con cui un'Italia fragile, ma combattiva si è fatta icona nell'immaginario collettivo, non viene chiesto un capolavoro a Vitali, non viene chiesto di eguagliare il grande Guareschi, ma di prenderne spunto e utilizzare la ricchezza che possiede, fatta di quotidianità ambulatoriale per lasciare traccia di ciò che crea un piccolo agglomerato, ciò che ne è l'essenza, i suoi tanti abitanti che ne creano la spina dorsale.
In conclusione una lettura piacevole, perfetta per trascorrere un pomeriggio rilassante, ma un'occasione persa per la realizzazione di un buon romanzo popolare.

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Fantascienza
 
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Yoshi Opinione inserita da Yoshi    23 Mag, 2013
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VAMPIRO CATTIVO!

Vivi in un mondo notturno, dove il sole uccide, ci si ciba di carne sanguinolenta e il piatto più raro e prelibato è la carne di Eminide.
Gene non è come Loro.
Quando il sole cala deve smettere di sudare, tenere sotto controllo qualsiasi emozione, rasarsi perfettamente perchè la loro pelle è liscia e glabra, deve sbiancare i denti, cospargersi di burro per mascherare l'odore inconfondibile di umano e oltre tutto NON deve mai dimenticare chi è.
Un passo falso lo ridurrebbe in una preda succulenta perchè Loro sono spietati, ti azzannano al collo e ti riducono in brandelli senza neanche darti il tempo di capire cosa sta succedendo.
Gene, cresce da solo, nel costante tentativo di non attirare l'attenzione su di se, finchè un giorno riceve la notizia che è fra i vincitori di una lotteria: La caccia all'Eminide.
Ci sono 5 umani, gli ultimi rimasti e questi saranno il premio per il vampiro più veloce.
Tutte le sue certezze vengono a mancare, fondendosi con rischi sempre più grossi di farsi scoprire.

Non sapendo bene cosa aspettarmi da questo libro, l'ho aperto, letto circa 30 pagine e chiuso subito.
Mi sono rifiutata di leggere storie sui vampiri che per ridere si grattano i polsi (...ebbene si!!!) e ammetto che ho cercato per i giorni seguenti, scuse (più o meno valide) per non prendere il libro in mano.
Poi, la curiosità era insolitamente salita e mi sono ritrovata a leggerlo tutto d’un fiato.
La scrittura è scorrevole, a parte qualche errore di battitura, la narrazione è veloce con la capacità di incuriosire e tenere sulle spine il lettore fino alla fine e oltre perchè è il primo libro di una trilogia.
(Sono sempre meno gli scrittori che hanno la capacità di scrivere qualcosa di autoconclusivo. MA PERCHE?????)
Ad ogni modo mi ha sorpreso perché non è la classica storia sui vampiri stile Twilight e surrogati, anzi è completamente diversa e piacevole da leggere.
I vampiri di “The Hunt” sono cattivi, veloci e spietati.
Si sciolgono alla luce del sole ed escono solo di notte.
Niente “sbarluccichii” vari, nessuna possibilità di rendersene amico uno, tanto meno amante a meno che no si voglia fare parte del suo prelibato banchetto.
La costante lotta tra il bene e il male, la notte e il giorno.
Salvare gli ultimi sopravvissuti della specie umana.
Sentirsi a casa dopo anni di mancati abbracci.
Il cuore che palpita e la voglia di sconfiggere il nemico insieme.
Fa quasi pensare che l’umanità in fin dei conti ha qualcosa di buono da dare..
A me è piaciuto moltissimo e ve lo consiglio.

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Libri per ragazzi
 
Voto medio 
 
4.8
Stile 
 
4.0
Contenuto 
 
5.0
Piacevolezza 
 
5.0
Sharma Opinione inserita da Sharma    23 Mag, 2013
Top 500 Opinionisti  -   Guarda tutte le mie opinioni

Tanto,tanto amore per tutti

Sara D’Amario con questo suo nuovo libro, è riuscita a catturare l’interesse di una donna che decisamente non è più teenager - come la sottoscritta - ed ai quali è rivolto questo romanzo. Leggendolo è come entrare nella macchina del tempo, catapultata in un periodo della mia vita, passato da molto, e che decisamente ricordavo con angoscia. Ed invece…
Il romanzo ha come protagonisti due ragazzi quattordicenni Zucchero e Gas che con il loro aspetto veramente molto ingombrante per le dimensioni, uno mangia dolci senza freni inibitori e l’altro beve coca cola come se fosse acqua, affrontano il primo anno di liceo. Un anno vissuto insieme a loro con le incertezze, i turbamenti, le indecisioni e milioni di domande che cercano una risposta. Ma soprattutto racconta di Zucchero che, pagina dopo pagina , snocciola il disagio di essere obeso, e quindi diverso dagli altri, il suo compare ed amico Gas reagisce in maniera differente ma sempre in relazione alle tante problematiche ed ai disagi famigliari che loro due vivono, ai palpiti d’amore che per la prima volta sentono ed avvertono più forti che mai. Ma i due amici si faranno amare meglio e più degli altri perché loro oltre ad avere un giro vita dove possono accogliere tutti ma proprio tutti, hanno un cuore e tanto amore da donare a coloro che costellano la loro vita. Zucchero ama la sua compagna di banco, per molto tempo non ricambiato; la sua famiglia accoglie un fratello di cui non aveva la ben minima conoscenza. Gas vive con la nonna e deve fare i conti con i suoi genitori che vivono e lavorano a Londra, e non ritornano, anche quando lo promettono. Una classe di adolescenti che, uniti nelle loro diversità, affrontano le interrogazioni, i compiti, le malattie che non ti avvisano quando arrivano, insomma, la vera vita. Ma loro sapranno affrontarli con maturità e introspezione. Dialoghi profondi e meditati, che sinceramente dalla mia arroganza - oramai da adulta consolidata - pensavo che gli adolescenti non possedessero. Ed è proprio questo il punto del romanzo, non scritto solo per i ragazzi, ma soprattutto per noi che ci riteniamo grandi e non capiamo più i nostri adolescenti. Il romanzo ci dona una riflessione amara per il tempo che fu, ma nonostante tutto, ci regala la cosa più bella, il ricordo della spensieratezza e la leggerezza d’animo e di cuore con cui si affrontavano i problemi senza malizia e senza preconcetti. Che periodo meraviglioso abbiamo trascorso, e di cui ricordiamo solo i dubbi, le incertezze e le perplessità del momento.
“ Un cuore XXL” è un grande libro per grandi sentimenti, ringrazio l’autrice di avermi donato qualche ora per viaggiare nella macchina del tempo.

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