Le recensioni della redazione QLibri
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La mitologia greca contro l'antica Roma
I figli di Argo contro i Pretoriani dell'Ordine della Croce d'Argento, altrimenti conosciuti come licantropi e cacciatori: la storia si svolge nel giro di dieci giorni e ci racconta della battaglia tra due mondi profondamente diversi, eternamente in lotta tra loro. Verona è uno dei pochi luoghi al mondo in cui, grazie ad un patto che ha stabilito una tregua, i primi non cedono alla loro bramosia animale e i secondi non uccidono in nome della conservazione e della salvezza della propria umanità.
Ma il patto è stato spezzato e l’antico odio si è riacceso.
In mezzo a omicidi e morti insensate, due anime appartenenti a quei mondi così diversi si incontreranno per non lasciarsi più: Etienne e Sara, lupo di nobili natali lui, umana lei, si troveranno al centro di una battaglia che non possono evitare, ma questo non impedirà al loro amore di sbocciare.
La trama mi è subito sembrata molto intrigante e incuriosita dalla terminologia usata dall’autore per descrivere i licantropi e i cacciatori (ho apprezzato il particolare la trovata de “i figli di Argo”, ma io sono di parte perché sono un’appassionata di mitologia) ho voluto leggere questo libro e approfondire la motivazione che ha spinto l’autore a scegliere proprio il nome di Argo.
Nel libro, Argo viene presentato come il creatore di tutta la razza dei licantropi e viene definito come l’Alfa e l’Omega, quindi come una specie di dio arcano; ora il nome Argo, nella mitologia classica, è attribuito a diverse figure: il cane di Ulisse, la nave che portò Giasone e i suoi Argonauti alla ricerca del vello d’oro, il gigante dai cento occhi e la città di Argo. Ma quello che può aver ispirato l’autore deve essere stata la storia di Zeus che, sotto il falso di nome di Liceo, si trasformò in lupo e venne da allora adorato sotto quelle spoglie proprio nella città di Argo.
La ricerca che l’autore deve aver effettuato mi è piaciuta, ma la mia soddisfazione purtroppo si ferma qui. In generale, tutto il libro presenta la storia in modo troppo semplicistico: la nascita dell’amore tra i protagonisti, l’accettazione di Sara nei confronti della natura di Etienne, il superamento delle prove, gli esiti delle battaglie, lo scontro finale, tutto è stato sviluppato come se gli attimi più importanti e decisivi si potessero risolvere in una riga o due. Di solito la cosa che apprezzo di più in un libro è la strutturazione delle vicende chiave e la profondità dei personaggi, cosa che non ho riscontrato in questo libro.
E’ pur vero che la trama non risparmia la dipartita di diversi personaggi, ma non mi sento proprio di chiamare in causa George Martin per questo.
I personaggi non hanno spessore e le scene più importanti dovevano essere maggiormente approfondite; il finale poi basa la voglia del lettore a proseguire nella lettura dei prossimi libri (“Rebirth” è il primo capitolo di una saga) su elementi troppo blandi e poco consistenti.
Inoltre vorrei segnalare, e non so se si tratti di una coincidenza o di una svista, che la copertina del libro è pressoché identica alla copertina di un altro libro, precisamente di “Shiver” di Maggie Stiefvater, nell'edizione italiana. E non solo: anche questa storia parla di amore e di lupi. Non so, ma questa cosa mi ha un po’ indispettita.
In conclusione l’ho trovato un libro leggero, poco impegnativo, adatto a chi ama le storie d’amore semplici, che si sa fin dall’inizio che finiranno con un happy ending, ma che hanno un tocco di sovrannaturale.
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Il tempo è un'invenzione di Barbara Goti
Dopo essere stata accettata nella redazione di questo portale, ho dato un'occhiata all'elenco dei libri che potevo leggere e subito questo mi ha attirata. Devo dire di avere azzeccato la scelta: e' veramente una bella raccolta di racconti, che si lasciano divorare uno a uno, senza interruzione.
Alla faccia degli scaramantici, si tratta di 17 racconti, i cui protagonisti sono personaggi di diverse età (in ordine crescente), sesso ed estrazione sociale. Diciassette persone che rappresentano i prototipi di drammi umani, tutti scritti in prima persona come monologhi, volti a rappresentare l'evoluzione dell'uomo nel mondo (alcuni di loro sono molto toccanti). Vale veramente la pena lanciarsi nella lettura di questa bellissima raccolta, per immedesimarsi nei personaggi o tentare di sfuggire alle loro esperienze o problematiche, a seconda del caso.
"C'è una storia dietro ogni persona. C'è una ragione per cui loro sono quel che sono..." - scrive l'autrice all'inizio, riportando le parole di Freud - "...loro non sono così perché lo vogliono. Qualcosa nel passato li ha resi tali".
La protagonista della prima storia e' Melania: una quindicenne prima grassissima, poi anoressica, per cercare di attirare l'attenzione di una madre "leggera e facile", che l'ha avuta da un uomo qualsiasi (così come e' successo anche per la sorella Morgana), ma sicuramente ricco. Da questa madre Melania ha imparato anche a "darsi" facilmente, senza pensarci troppo e sta diventando molto simile a lei, anche se è l'ultima cosa che vorrebbe (" Mia madre e' una di quelle persone che credono di vivere perennemente su un palcoscenico, che sono talmente brave a recitare la parte che hanno scelto, che infine dimenticano chi sono realmente" e ancora " Figuriamoci se se ne perde uno mia madre" e infine "Non capisco perché non ci abbia abortite me e Morgana, se poi non ci dedica una briciola di tempo. S'incazza per niente. Invece di amore ci subissa di critiche, rimproveri e scenate").
Piddu e' un diciannovenne un po' ritardato, innamorato da sempre della vicina Siria e geloso di tutti i suoi fidanzati, che non la amano veramente (come invece la ama lui), ma che amano solo il suo corpo. Piddu immagina, un giorno, di poterla sposare e rendere felice.
Caterina e' una ventenne innamorata pazza di un quarantenne, sposato con figli: la classica amante, illusa di essere l'unica che lui ami veramente. Lui, invece, oltre a lei ne ha tante altre e Caterina inganna se stessa, non vedendo ciò che lui è veramente ( "So che sto facendo male a un'altra donna, ma non so rinunciare a lui" e ancora "Non posso sognare il futuro con lui e non so concepirlo senza di lui". Infine "Lui piace e tutte lo vorrebbero. Ma lui è mio. E di sua moglie, naturalmente. Ma non la ama più. Non fosse per i bambini se ne sarebbe andato via di casa da un pezzo"). Caterina ha il classico atteggiamento di chi non vuole vedere ciò che ci può far soffrire.
Raffaele e' un venticinquenne fidanzato da dodici anni con una ragazza che vuole arrivare vergine al matrimonio, quindi lui si fa tutte le ragazze che incontra sul suo cammino. Raffaele ha avuto anche rapporti omosessuali ed è cresciuto con una madre super religiosa. Il problema principale di Raffaele, secondo me, e' la mancanza di amore per se stesso (caratteristica che lo accomuna con molti dei protagonisti di queste storie). "Dodici anni insieme e se le tocco una tetta quella si offende. Illibata, illibatissima. Vergine, verginissima" e ancora "Di sesso non se ne può nemmeno parlare, figuriamoci farlo".
La Tigre e' il nickname di una fanciulla grassissima, ignorata da tutti i ragazzi per colpa del suo aspetto. A causa di questo, si rifugia nella realtà parallela di internet, dove può fingere di essere una ragazza bellissima e con questa identità attira a se' molti ragazzi. Finge di accontentarsi di questo, ma affoga il suo dispiacere nel cibo, continuando ad abbuffarsi. ("Appena dimagrisco, glielo faccio vedere io!")
C'e' anche un trentenne che vive di pittura (Dario) e ne fa lo scopo della sua vita, il suo unico amore. Amore che lo salva, dopo molte vicissitudini negative, che gli avevano tolto la voglia di vivere e di sperare.
Saverio, invece, vive il problema di molti uomini: l'eiaculazione precoce e non lo sa finché la sua ragazza non lo lascia per un altro, rivelandogli il motivo.
Non manca la storia dell'omosessuale, che si sente un po' colpevole di non sapere non amare, ma rivendica il suo diritto di farlo ("Si, mi amava. Mi ama. Ci amiamo. Sono trascorsi molti anni da quel giorno e siamo ancora insieme. Contro tutto e tutti, perché babbo non vuole, la mamma nemmeno. Ma io sono io, non sono mio padre, ne' mia madre. Non sono neppure il sogno di me che loro speravano. Sono solo un uomo che a un certo punto della sua vita ha deciso chi essere e ha scelto di essere se stesso. Senza maschere, senza pudori e senza menzogne").
Lucia da il suo corpo a molti uomini, regalando loro dell'ottimo sesso, ma si sente sola, ha paura d'amare e di donare se stessa nel profondo a qualcuno ("Lecco i loro corpi, dono il mio senza preoccuparmi di me. Che ne facciano quello che vogliono, io sono loro").
Stella e' stata una bambina abusata, da parte del nonno, del padre e di molti altri uomini. La mamma sa, ma non fa nulla per aiutarla, ne' per salvarla.
Gerardo e' un tossicodipendente, che odia il suo stato e vorrebbe che nessun altro ci cascasse ( "Sono vento. Sono aria. Sono roba infetta. Nessuno mi guarda, nessuno si accorge di me" e ancora "Ho perso tutti. Non ho saputo amare nessuno". Inoltre "La gente mi giudica. Non sono lì per colpa di un destino crudele. Sono lì solo per colpa mia").
Schiava e' una cinquantunenne che, lasciata dal marito per una donna molto più giovane, si invaghisce di un uomo sexy che la conquista con un sesso sfrenato e disinibito, che lei con il marito non aveva mai provato. Ma, una volta andato a vivere con lei e la tredicenne figlia di lei, la tratta come una schiava, facendole fare di tutto, maltrattandola e dicendole che, se non dovesse fare quello che lui le ordina, lo farebbe fare a sua figlia. ( "C'è già il mio dolore a rosicarmi l'anima, l'umiliazione di essere ormai solo un contenitore di carne, la disperazione di sapere che mai più finirà questo supplizio, e soprattutto la tragica ironia di essere stata io stessa l'artefice di tutto questo. Io che avevo creduto di aver incontrato un principe e ora ho a che fare con un orco").
Non manca la coppia che fatica ad avere un figlio, ma poi ce la fa. Gioia nasce e la madre è costretta a crescerla da sola, cercando di farlo nel migliore dei modi. La ragazza a sedici anni resta incinta di un ragazzo e qui si pone il dilemma di questo racconto: aborto o meno? La madre deve decidere per lei, la ragazza non può abortire senza il suo consenso. ("Un bimbo che nasce e cresce e' letizia, allegria, stupore quotidiano, lo so. Quanto invece toglierà a lei, questa creatura imprevista e inattesa?" E ancora "Farei di tutto per salvarla da quest'attimo". "E' giusto che una scopata sbagliata pregiudichi il suo futuro?" "Ma rimorsi no, non voglio ne abbia. E' la mia bambina, la mia stessa vita. E' di più. Voglio solo che sia felice").
Margherita e' una giovane cinquantottenne, coloratissima dentro e fuori. Molto viva, vogliosa di vita e di esperienze. Affiancata però da un marito moscio e "vecchio", per cui lei si dedica ad altro, anche se quello che vorrebbe sarebbe essere desiderata ancora da lui ("Personalmente sento di avere ancora tante cose da dire, da fare,da scoprire, da conoscere. "Conosco molti giovani assai più vecchi di me" e ancora "dalla vita voglio prendermi tutto ciò che offre". Inoltre "L'indifferenza negli occhi della persona con la quale trascorriamo la vita e' peggio d'una violenza, peggio d'uno schiaffo o di un insulto". E' gelo quotidiano").
Il mostro e' la storia di un cancro. Queste alcune delle parole del protagonista: "Finché non ho ritirato le analisi ho sperato. Che buffo: il mio cervello sempre analitico e concreto si ostina a rifiutare la realtà, quasi che ometterla sia eliminarla." E ancora : "Finché le forze me lo permetteranno, lotterò. Come nella vita ho sempre fatto, non m'arrenderò". Il protagonista di questa storia all'inizio non vuole rassegnarsi all'idea di doversene andare troppo presto. Poi, strada facendo, accetta la propria sorte e cerca di sistemare tutto, per non scombinare la vita di moglie e figlia. Non si abbandona mai all'autocommiserazione e alle lacrime, fino alla fine della storia, quando spera nell'aldilà di incontrare la propria madre, che lo abbraccerà come faceva quand'era bambino e finalmente potrà piangere.
Molto coinvolgente la storia di una donna che rinuncia all'amore della sua vita per la carriera, per realizzarsi, per i soldi. La stessa riconosce di averlo amato e di volerlo ancora, solo quando ormai è troppo tardi e lui ha preso un'altra strada: l'errore che fanno in molti. ( "Ho fatto carriera. Ho fatto denaro. Avrò una pensione che mi permetterà di vivere da nababbo. Non so cosa ne farò. Forse me ne tornerò nella mia Toscana ad ammirare il mare. Quel mare che quando avevo sotto gli occhi, ignoravo per volgere lo sguardo al cielo").
L'ultimo racconto, energia, vede protagonista un vecchio hippy innamorato della vita, della musica, dell'energia, che non bisogna sprecare ma rinnovare ("Vivere di ciò che più amiamo. E' il traguardo cui ognuno dovrebbe ambire"). Un uomo curioso, folle, desideroso di sperimentare, coerente. ("Il mondo dipinto dei rotocalchi dove tutto è nulla, non fa per me. Il dover sottostare a regole altrui che non condivido, non fa per me. La coerenza e' una delle doti che più amo. La dignità e' nell'anima. Sempre. Se la perdi, perdi l'anima"). Un uomo che ha amato, non una sola donna ma molte, dando a ciascuna di loro un po' di se stesso ( "E io ho amato tanto. Tantissimo. Ho talmente tanto amore in me che a volte mi viene da sorridere agli sconosciuti per strada" e ancora "Chi vuole esibirti, ama se stesso, non ama te". Poi "Dichiarare amore e' un momento di perfezione assoluta. Manifestare amore ci avvicina al cielo". Ancora:"In amore vince chi ama, che amare e' già vincere. Chi fugge perde. Sempre. In qualsiasi campo della vita." Il protagonista di quest'ultima storia parla di energia sprecata il fidarsi delle persone sbagliate, che ti tradiscono, che non meritano il tuo amore, ne' la tua amicizia. Sceglie di non fare un figlio, perché teme di non amarlo abbastanza, di dover rinunciare al suo vero se' per essere una persona diversa da ciò che è. Dice anche di essere pieno di tutto ciò che ha avuto e vissuto.("Tutto ciò che è trascendentale mi accompagnerà nel mio ultimo viaggio").
Bellissimo libro: consiglio a tutti di leggerlo!
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Un testo in buone condizioni?
Spesso quando devo scegliere un libro tra i titoli messi a disposizione dalla Redazione scelgo a pelle ed in base alla copertina.
Qualche volta mi capita un bel libro, non in questo caso però.
Appena mi è arrivato questo “libro”, parola grossa per un insieme di pagine buone forse per accendere il camino, mi sono accorta che non era in buone condizioni, la copertina era molto spiegazzata ed usurata ed inoltre sfogliandolo mi sono accorta che aveva delle sottolineature.
La cosa non mi era molto piaciuta, adoro i libri tenuti bene, ma diciamo che ci potevo anche passare sopra se mi fosse piaciuta la trama.
Quando ho iniziato a leggere la storia mi sono accorta che non valeva un granché.
Prima cosa l’autore ha utilizzato un linguaggio volgare e nel suo testo la donna viene descritta come una ninfomane che vive solo per due cose: i soldi ed il SESSO.
La trama racconta di un certo Erik, un uomo buono a nulla che si fa spacciare per scrittore e paroliere, ma che alla fine della storia è buono solo a bere come una spugna, a dire volgarità ed a portarsi a letto altre donne oltre alla sua ragazza di vecchia data.
Oltre alle volgarità mi sono veramente rallegrata nel vedere la finezza con cui l’autore ha descritto l’espletamento dei bisogni corporali del suo protagonista, da dieci e lode veramente.
Passando allo stile di scrittura oltre alle volgarità l’autore ha deciso di utilizzare un mix di prosa e poesia dove la punteggiatura viene utilizzata a caso.
Sicuramente avrete già capito che non intendo consigliare questo “libro” ed il mio unico dispiacere è per i poveri alberi che sono stati usati per stampare questo scempio.
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PERSONAGGI SOTTO TONO.....
Thriller teutonico che non mi ha pienamente convinta, anche se in Germania uscirà a breve la sua trasposizione cinematografica. Forse perché non è il primo libro che racconta i casi gestiti dalla coppia di agenti Hendrik Verhoeven e Winnie Heller. In Italia è stato pubblicato un libro precedente, incentrato sulle gesta della coppia di detective, dal titolo “Regali mortali” (come lettrice sono partita dal libro sbagliato).
La coppia di agenti, in questo libro, si presenta tratteggiata in modo superficiale, il lettore ha l’impressione che manchi qualche tassello per averne un’immagine limpida e chiara. Quindi sarebbe meglio, iniziare dal primo libro che parla della coppia Heller e Verhoeven.
Qualche appunto però, mi sentirei di muoverlo anche alla vicenda narrata nel presente libro. Lo stupratore seriale definito “artista” (perché mai?) non è ben messo a fuoco. Quali sono le motivazioni che l’hanno portato a compiere questi atti di violenza e sopruso sulle donne (qualche accenno all’infanzia compare nel libro, ma a mio avviso, non ne giustifica la formazione di una personalità così disturbata…).Come si svolge il suo quotidiano, come studia le sue vittime, cosa pensa,che ossessioni ha, come nasconde questo tratto malato del suo essere al resto del mondo?
Già, perché gli investigatori si troveranno a tirare le fila di una serie di stupri, l’ultimo dei quali presenta però un “modus operandi” differente…. Non solo “l’artista” ha violentato la giovane donna, ma ne ha ucciso anche il marito, rientrato a casa prima del solito orario, con diversi colpi di arma da fuoco.
Possibile che l’uomo sia stato colto in flagrante? Possibile che sia in possesso di un’arma da fuoco?
Stranissimo in quanto lo stupratore, utilizza solo un’arma bianca, inoltre studia in maniera meticolosa le abitudini ed i movimenti delle vittime prescelte.
Ed, altro particolare, la polizia non riesce a trovare nessuna analogia particolare nelle donne violate. Tutte hanno età, professioni, stato sociale e inclinazioni sessuali differenti… Cosa le accomuna? Quale caratteristica colpisce “l’artista” tanto da “sceglierle” tra tante?
Non solo queste le domande, ma tante, che solleva una trama ricca di personaggi ed eventi spesso non perfettamente a "fuoco".
Gradisco in particolar modo quegli autori che riescono a presentare personaggi ben delineati, forti, credibili, che rimangono a lungo nella memoria…..
In questo thriller, i punti cardine che dovrebbero presentare le caratteristiche sopra esposte, quali lo stupratore seriale e la coppia di investigatori, appaiono al lettore non perfettamente definiti, con lacune e domande lasciate inespresse, troppo importanti ai fini di una trama completamente avvincente e soddisfacente.
Thriller edulcorato quindi, che può leggere anche chi non gradisce immagini troppo forti. Un libro adatto per passare qualche ora di distrazione, che i veri amanti del thriller dimenticheranno velocemente….
Ringrazio la Redazione per la possibilità che mi ha concesso di poter leggere questo libro.
Devo precisare inoltre, che sempre grazie alla Redazione, ho letto un altro libro della stessa casa editrice,dal titolo “Il sistema” e, in ogni caso, non mi dispiace per nulla la linea di pubblicazioni scelta dalla stessa.
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Nemici pochi ma buoni
Bantine Bagolaris torna a casa, nella sua Sardegna, per ricongiungersi al figlio ed alla moglie.
Ci torna con un proiettile conficcato in testa, le ultime ore per confidarsi con l'amato, sconosciuto figlio da cui si separo' in tenera eta' per darsi alla fuga.
Bantine il ricercato, il delinquente, l'assassino.
Appetitosa la quarta di copertina, C.u.b. chiama Base : we have a problem.
Il problema sta nel fatto che o io non ho capito il libro, o e' il libro che non si presta ad una lecita e fisiologica comprensione . Quale sia la soluzione non saprei, la certezza e' una e tagliente: abbiamo un problema ( in plurale maiestatis, ovvviamente).
In primis vorrei capire - perche' non l'ho capito proprio- se questo e' un libro drammatico o tragicomico, la differenza e' immane, preoccupante il dubbio.
Il clima della narrazione ricorda molto la trattoria del Pozzetto di turno in "Ragazzo di campagna", tovaglia a quadretti bianchi e rossi, due belle fette di salame nostrano, una caraffa di Lambrusco e via discorrendo. Il punto e' che qui si narra del passato di un uomo, di furti, di omicidi, di rapimenti, di violenza gratuita tra scelte e rimpianti, non della partita di Coppa Italia.
Inoltre non si trascuri il fatto che l'io narrante e' un padre sul letto di morte, che si rivolge al figlio in un lungo monologo.
Ho avvertito una sorta di conflitto costante ed ingarbugliato tra contenuto e impostazione.
Gradevole l'ambientazione sarda e le descrizioni ad essa rivolte.
Se dovessi darvi un parere, direi .
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SLALOM
Coinvolgente fin dalle prime pagine questo primo romanzo di Niccolò Vivarelli che l'autore stesso definisce un "giallo non convenzionale". Ambientato nella Firenze
degli anni '80, la vicenda si svolge interamente nell'ambito di un paio di giorni.
Leandro è un giovane ex eroinomane che si sta disintossicando nella comunità di recupero "Il Cantiere" e, dopo otto mesi, ha la sua prima licenza per tornare a casa.
Un paio di suoi compagni di comunità vengono trovati morti all'interno di cassonetti dei rifiuti e Leando, con l'aiuto di un'ambiziosa giornalista, scopre che potrebbero essere stati assassinati proprio in comunità. Leandro dovrà stare attento a non incorrere in numerosi pericoli che si presentano fuori dalla struttura: i ricordi del suo periodo da eroinomane, i vecchi amici, e l'inquietante Ropinoli, un coordinatore del Cantiere, che sembra seguirlo in ogni dove.
Davvero interessante questa ambientazione tutta italiana, uno sguardo sul mondo della droga degli anni '70-'80 e delle comunità di recupero. Il libro mi è parso scorrevole e chiaro, una lettura veloce e piacevole. Un giallo diverso dai soliti, che consiglio a tutti coloro che sanno apprezzare anche i gialli in cui il protagonista non è un profiler dell'FBI....
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Un disastro di strega
Cassandra Lee Adams, 18 anni. Segni distintivi: strega pasticciona.
Ed è a causa di uno dei suoi pasticci che ritrova nel giardino di casa sua un uomo completamente nudo e spaesato; chi sarà mai questo individuo e soprattutto...perché non se ne va?
Con l'arrivo di Sam, la vita di Cass verrà totalmente stravolta: il suo incantesimo andato male richiama su sé stessa anche l'attenzione di un altro soggetto, più oscuro del primo e che da lei non desidera altro che il suo sangue, i suoi poteri e la sua morte.
Con l'aiuto della sua mentore, di un grande amico, dei suoi poteri e del suo imprescindibile sarcasmo, riuscirà la giovane a far fronte alle forze cosmiche che lei stessa ha smosso?
Ho letto questo romanzo alla velocità della luce: davvero, davvero coinvolgente! Il personaggio di Cassandra è ben costruito, non tanto fisicamente quanto psicologicamente. Infatti un tratto distintivo di questo romanzo è che le descrizioni di particolari fisici non ne fanno da padrone, il che lascia molta libertà al lettore di immaginarsi l'esteriorità dei personaggi; la stessa cosa non vale per i tratti psicologici e caratteriali, di cui l'autrice non lascia nulla al caso, dando così un profilo ben delineato che non lascia spazio ad equivoci.
Solitamente faccio fatica a sentirmi coinvolta quando mancano molti dettagli fisici (che non devono necessariamente essere condensati in un unica pagina, ma anche in tutto il romanzo!), tuttavia questa mia "regola" non è valsa affatto per Il potere del sangue: da subito l'ironia pungente di Cass mi ha conquistata e guidata tra le pagine, quasi come se la conoscessi da tempo. Complice questo tratto del carattere che molto si avvicina al mio, ho ritrovato in Cass una giovane me stessa, anche se io non sono mai stata alle prese con qualcosa di più grande di me come la magia.
Sin dalle prime pagine si intuisce che la protagonista ci concquisterà, proprio con il suo sarcasmo ma anche con la sua insicurezza.
Come dicevo precedentemente, Cass si troverà presto in un bel pasticcio, causato proprio dal suo incantesimo. E dopo aver inconsapevolmente legato a sé un uomo proveniente da un altro luogo, per lui nutrirà i più contrastanti sentimenti: dal volersene separare il prima possibile per non avere più scocciature, all'affezionarsi così tanto da non volerlo lasciar andare. Ma i guai, per la giovane, sono appena cominciati: non appena Sam se ne sarà andato, i suoi sogni verranno presi d'assalto da un'inquietante figura, sensuale e terribile.
In un mondo in cui i vampiri hanno fatto outing e lo stesso fratello di Cass, Robert, è fidanzato con una di loro, la ragazza si troverà a dubitare di questa razza, che tanto odia, e a temere che sia proprio la vampira del fratello ad averle incasinato ancor di più la vita.
La lettura è scorrevole e anzi, vi troverete a voler continuamente girare pagina per sapere cosa ne sarà di Cass, dei suoi poteri, del suo grande amore e di quei maledetti vampiri che, scusatemi la spoilerata, una volta tanto prenderanno tanti calci nel sedere!
I temi principali di questo romanzo restano il Bene e il Male, la continua lotta tra l'uno e l'altro, il fascino che l'oscurità usa per vincere sulla luce, ma che ad ogni modo non offusca mai il suo splendore.
Avendo letto altri scritti dell'autrice, non posso che confermare che lo stile di Deborah sia semplice e pungente, il che rende ogni suo romanzo una boccata di freschezza e ironia, coadiuvate sempre da un tocco fantasy originale e mai già visto. La forza dell'autrice sta proprio in questo, secondo me: riuscire a costruire su temi molto ricorrenti già usati (e abusati, da certi autori!), delle trame fresche e originali che lascino sempre al lettore la sopresa di scoprire "cosa succederà dopo".
Consiglio la lettura di questo romanzo a chiunque abbia voglia di staccare un po' la spina e tuffarsi in un'avventura simpatica e ricca di colpi di scena, oscura e sensuale; un'avventura che parla anche di amore, quello vero, forte e doloroso che va al di là di qualcosa dell'attrazione fisica, ma che è complicità e coinvolgimento di cuore, mente e anima. Se dovessi individuare un target specifico, direi che questo libro è maggiormente adatto ad un pubblico adolescente, ma io (che adolescente non lo sono più da un bel po') l'ho apprezzato comunque proprio per il suo essere giovanile ma non infantile, frizzante e simpatico, dolce e sensuale ma mai stucchevole.
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Clonazione di Gesù
Sinceramente ho trovato il romanzo oltre che illeggibile, piuttosto offensivo e superficiale nei contenuti, nel senso che un libro sulla clonazione di Cristo presuppone una certa conoscenza del modo di vedere della Chiesa almeno sui principali temi di etica quali la fecondazione artificiale o l'aborto, visto che sono tirati in ballo.
Invece troviamo una panoramica su cardinali, suore e papi tutti descritti minuziosamente nelle loro abitudini per 350 pagine ma tutti di un tipo, con interessi che variano dal potere al denaro, con l'eccezione del Torero ( sempre un sacerdote) cui fortunatamente interessano pure le donne. Trovo di cattivo gusto che alcuni personaggi del romanzo non siano di fantasia, per esempio i papi. Vengono scomodati ben 4 papi (fino a Giovanni Paolo II) ma tutti o quasi sono equivoci. In certe parti del libro sembra che l'autore non si renda conto nemmeno di descrivere personaggi equivoci, in quanto gente che persegue i suoi interessi personali spudoratamente poi si trova a parlare di divina provvidenza e a sentirsi il tramite per un ritorno di Gesù, che se ben allevato e educato, starebbe dalla loro parte rinfocolando la fede e aumentando le entrate. Ma gente così dovrebbe casomai evitare questa clonazione, gente così ha dovuto fare carte false in passato per levarseLo di torno. In ogni caso questa gente trova lo scienziato giusto, il prof. Geda, naturalmente ex presidente dell'azione cattolica e un po' incavolato con il cardinale che gli ha tolto in passato il monopolio della vendita delle immagini sacre ma che di fronte all'incarico dimentica cristianamente i torti subiti. Anche qui apro una parentesi per dire che mi è tornato in mente il povero Vittorio Bachelet e veramente mi sembra irrispettoso descrivere tutta una serie di attività amorali presupponendo che tutti, dico tutti quelli che si avvicinano alla fede lo facciano per un tornaconto materiale o di potere o simile. Certamente gente simile doveva essere presente in un romanzo del genere ma come fazione, come sottogruppo, non come totalità di persone tipo clan diversi di un unico tipo di mafia. In questo libro si capisce che l'autore non ha la più lontana idea dei contenuti della fede, cosa non indispensabile a meno che non si voglia scrivere un libro del genere.
In ogni caso in una storia simile mi sarei aspettato una trama, dei problemi, degli intoppi, qualcosa di avvincente. Invece niente. L'idea è così buona che piace a tutti. Perchè perdersi l'occasione per rinfocolare la fede nel mondo? Nessun motivo viene in mente a nessuno. Nessun ostacolo si presenta e i nostri eroi riescono senza fatica a procurarsi tutti i reperti sacri necessari all'esperimento. Unico intoppo, lo scienziato laico, l'unico laico coinvolto, si lascia scappare la notizia con i media. Bisogna arrivare a pagina 280 perchè a qualcuno venga in mente di mettere il bastoncino tra le ruote trafugando metodo scientifico e reliquie, ma il disgraziato si metterà a parlare in latino nel sonno e la moglie si precipita a rivelare la cosa in confessione per cui data l'inesistenza del segreto confessionale, la cosa viene subito risaputa destando sospetti.
Superato l'inghippo si passa agilmente alla scelta delle tre Marie una delle quali necessaria come incubatrice. Certo la procedura prevede qualche aborto, ma in fondo si tratta sempre dello stesso embrione (clonato) per cui il problema etico si riduce. E comunque la suora e il cardinale ma pure i vari papi riflettono saggiamente (come avrebbe potuto fare anche Hitler prima di inventarsi i campi di sterminio) che "non cade foglia che Dio non voglia". Per cui anche il problema etico della clonazione è superato con poca fatica. Alla fine l'idea della clonazione piace a tutti perchè ripropone brillantemente la nascita da una vergine. Quindi, perchè pensarci su? Perchè qualcuno dovrebbe opporsi alla megale idea movimentando un po' il romanzo?
No, per 350 pagine sono tutti d'accordo, papi, vescovi, suore, cardinali: la clonazione s'ha da fare!
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Vita da oste
L'editore Wingsbert affida alla penna di più voci letterarie il compito di scrivere storie brevi sul tema del vino.
La prima voce a cimentarsi è quella di Valerio Massimo Manfredi, con il suo racconto intitolato “L'oste dell'ultima ora”.
Si tratta senza dubbio di un piccolo e delizioso cameo, dedicato alla leggendaria e notissima figura dell'oste responsabile della fornitura di vino durante le nozze di Cana, di cui si narra nei Vangeli.
Manfredi dà un volto all'oste, costruendogli una storia familiare e di vita nell'arco di una manciata di pagine.
Si materializza rigo dopo rigo un uomo dai mille mestieri, avvolto dalla solitudine, poco fortunato, abituato ad arrangiarsi nella vita adattandosi alle situazioni.
Il territorio che fa da sfondo è quello della terra di Galilea, soggiogata dal dominio romano, divisa da fazioni politiche e religiose, abitata da ricchi signori e umili lavoratori, artigiani, contadini e pescatori.
Si tratta di un racconto breve, non impegnativo, eppure intenso grazie ad una figura ben tratteggiata e ad altri personaggi che ruotano intorno alla vicenda; ne nascono spunti per parlare di umanità, di generosità, di altruismo, di capacità di relazione.
L'intento di Manfredi è riuscito, mettendo in scena una storia dove il protagonista silenzioso è il vino e non solo, dove seguendo la nascita ed il commercio del vino si parla anche di uomini, uomini di ieri, figli di un passato lontanissimo e nebuloso, eppure potrebbero essere figli di oggi, alla ricerca di un po' di fortuna e di sicurezza economica, alla ricerca di un'attività di cui si ha poca esperienza ma nella quale si è disposti a mettersi alla prova per necessità.
Un po' ingenuo, pasticcione, inesperto, questo è l'oste di Manfredi; però ispira tenerezza e comprensione.
Una lettura da assaporare degustando un buon vino, facendo in modo che il calice dai riflessi rubini nelle mani del lettore, sia il nesso tra il presente ed il salto nel passato narrato dalla storia.
Esperimento pienamente riuscito ovvero mescita fortunata per dare il via ad una collana di storie brevi, dove cantare eventi, tradizioni, favole e leggende che vedono il vino come protagonista.
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Latte di iena: l'animo umano fa così paura...
Antonio Mocciola è un giornalista e scrittore napoletano che ha pubblicato diversi testi, ognuno dei quali, a suo modo, si è guadagnato il posto che meritava all’interno del panorama narrativo.
Latte di iena è l’ultimo lavoro pubblicato dall’autore che differisce da quelli realizzati in precedenza per molti fattori, su cui spicca uno in particolare: il tono tipicamente dark della sua scrittura e delle ambientazioni.
Latte di iena è una raccolta di 21 racconti tutti incentrati sull’odio e sul veleno dell’animo che lentamente viene distillato attraverso i pensieri e le azioni dei personaggi che più che esseri attori presenti sul palco appaiono più come fantasmi, semplici e fluttuanti comparse che volteggiano, ignare, sullo sfondo che appare sempre più oscuro di quanto è in realtà.
Mocciola non ci risparmia nulla. Le storie sono maledettamente fedeli al titolo. Mamme che non amano i propri figli, vecchie che uccidono, uomini che abbandonano le loro donne e poi tornano, preti che si macchiano dei peccati più oltraggiosi, chiese, cimiteri e abbazie dimenticate sono i non-luoghi presso cui le anime di questi dannati si muovono, cercando di affermare in una sorta di dormiveglia, i loro desideri più nascosti.
Si è parlato a questo proposito di catatonia, di sovrappensiero per spiegare o per cercare di spiegare il modus operandi di questi uomini e donne che parlano, scelgono e agiscono senza un apparente motivo. Lo stesso autore si consola pensando che se una persona agisce sovrappensiero, e quindi la sua azione è senza volontà razionale potrebbe dunque essere davvero più spontanea, più vera, più diretta? Priva quindi della meccanicità e della maschera proprie di un’azione pensata e razionalizzata? Non saprei, forse è solo il tentativo di trovare una ragione ad un agire che sotto sotto non è altro che un agire semplicemente cattivo. Esattamente come il veleno, come l’odio, l’uomo, in quanto essere umano, è capace di provare questi sentimenti in modo gratuito anche solo, probabilmente per scaricare le proprie frustrazioni, le insoddisfazioni di un destino che non è mai pronto a darci quello che desideriamo. Non a caso i personaggi di Mocciola sono insoddisfatti, hanno qualcosa dentro che li tormenta, li corrode, li rende rabbiosi, anche quelli che appaiono più tranquilli, sono iene pronte ad attaccare tanto nel silenzio quanto nel delirio.
E allora, ci si chiede, come giustificare questi comportamenti?
Io non cercherei di dare una giustificazione, ma li prenderei per quello che sono. Insomma come siamo pronti a prenderci le belle azioni, i bei pensieri, così dobbiamo fare con le cattiverie, dobbiamo considerarle per quello che sono: manifestazioni anch’esse dell’animo umano. E’ lontana seppur sempre attuale la disputa tra Rousseu e Hobbes. Due grandi filosofi che hanno discusso nelle loro teorie di quanto l’uomo fosse cattivo. Se per il filosofo francese l’uomo nasce buono ma è la società che lo corrompe, che lo incattivisce, per Hobbes invece l’uomo è cattivo nell’animo da quando nasce fino a quando muore. Una visione pessimistica e negativa che prevede un uomo che ha non ha alcuna possibilità di redimersi. Proprio a questo mi hanno fatto pensare i personaggi di Mocciola. Sono cattivi ma lo sono senza intenzione, senza pensarci, senza una vera e propria volontà di fare del male. Sono così e basta, come se fossero condannati ad esserlo. E questo naturalmente fa un po’ paura, non è così? Ci si chiede cosa si nasconde dentro di noi, di così oscuro e perverso, da poter prendere improvvisamente il sopravvento, senza farci comprendere quale sia il limite oltre il quale non possiamo più andare.
La maggior parte dei racconti sono così oscuri da non permettere di intravedere alcuna possibilità di luce. Quello intitolato Latte di iena, ad esempio che conclude il libro, è un racconto in cui sono presenti tutti gli elementi tipici di un horror. Fa davvero paura se si pensa a quella strana vecchia che vive da sola in un paese in cui sono scappati tutti e che alleva iene, di cui beve il latte come fosse la cosa più naturale del mondo. La sua casa è una struttura fatiscente e dimenticata, il paese un ammasso di pietre distrutte e di odore di animali morti e putrefatti. Un silenzio tombale governa le stradine interrotto soltanto dai canti famelici e disumani del branco di iene che tiene rinchiuse dietro la casa. Un presenza inquietante che trasmette terrore e voglia di scappare. Mentre si legge il racconto, c’è un ansia che pervade quei momenti, come se il primo desiderio fosse quello di aprire la porta e fuggire da quella casa e da quelle strane e quasi soprannaturali presenze. Dunque ansia, mistero, oscurità, paura, fino al terrore per questi racconti che non ci risparmiano davvero nulla.
Il linguaggio è perfetto per rendere una scrittura asciutta, priva di fronzoli, fredda e tagliente così come le anime dei personaggi. Lo stile è cattivo, essenziale, fatto di pietra e di tomba, asfissiante e persino blasfemo ed irriverente. Il racconto che ho preferito è Cani in chiesa dove è evidente la polemica dell’autore nei confronti della chiesa e dove è ancora più forte quell’odio gratuito e assurdo che emerge da un fondo come quello religioso che dovrebbe essere invece la culla dei buoni sentimenti. Ma neanche i preti si salvano. Neanche le madri, né i figli, né i fratelli né gli innamorati.
Tutti persi in un vortice di odio e malignità. Una malignità che perde della sua spaventosità perché viene descritta talmente in modo pratico, essenziale, come un “detto-fatto” che alla fine questi personaggi sembrano agire per rimando. Sono fantasmi sospesi nel tempo, immobili, fissi nella loro inettitudine. Il loro è un agire automatico, privo di moralità e di regola. Un agire che potrebbe anche definirsi libero o meglio liberatorio e che li pone al di sopra del caos e delle leggi sociali, perché essi, nella loro folle amnesia di vita, scelgono quasi sempre la morte come anestetico per se stessi e per gli altri. L’odio non merita alcuno sforzo, questo sembra essere il messaggio dell’autore, l’odio è spontaneo.
Le pagine sono cariche di metafore molto belle, capaci a tratti di interrompere quel flusso di negatività e far assaporare seppur per poco tempo l’anima poetica di chi scrive.
Lo stile è spesso carnale, viscerale immediato. Così l’autore riesce a coinvolgere e a far sentire seppur con brevi frasi ed immagini veloci, tutto ciò che vuole, come se usasse piccole pennellate di colori mai superficiali e sempre ben definite.
Alcuni racconti come il Luogo azzurro, sono carichi di sentimenti, non necessariamente negativi. Lì c’è l’amore tradito, quello abbandonato, una donna che ama ancora il proprio uomo e che dentro di se sente il fuoco che le arrovella le membra e non la lascia in pace fino a quando non vedrà lui tornare. Lì le parole diventano metafore traboccanti di significato, talmente forti, così’ animate che sembra quasi la pagina non riesca a contenerle. Quasi come se avessero una vita propria oltre la volontà di chi le pronuncia . Alcune sono cariche di odio altre sono pesanti e profondi squarci sull’amore. Così come certi racconti sono caldi di vita altri sono freddi di morte e solitudine.
Molti sembrano fatti di pietra tanto da far credere che sia impossibile scavare per trovare un sentimento che non sia l’odio. E’ bravo l’autore in questo a rendere chiaro il concetto.
E tutto diventa un tripudio di colori che lottano posizionandosi su due lati opposti: il grigio dell’odio e il rosso e il giallo di ciò che resta dell’amore.
Concludo dicendo che Latte di iena è un testo che può lasciare anche allibiti, volendo. Insomma ci si chiede perché tanta cattiveria gratuita, tanta freddezza. E’ mai possibile tutto questo? I racconti sono talmente brevi che non avrete tempo di trovare una risposta, perché poi una risposta non c’è.
Le pagine scivolano veloci e voi sarete talmente catturati dal non senso dei pensieri e dai non luoghi carichi di fascino surreale e maledetto che alla fine crederete più all’autore che a voi stessi quando dice che sovrappensiero siamo più veri e aggiungerei più liberi.
LadyA
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Introduzione alla lettura di Gabriele D'Annunzio
Un silenzio quasi irreale accoglie l' Uomo nella propria casa, una penombra che lo fa cadere in una profonda tristezza, quasi che il mondo fuori fosse privo di interesse, quasi che tutto intorno perdesse il proprio senso, il proprio scopo.
Il suo sguardo cade sulla vecchia libreria e avendo in mano i molti libri comprati nel pomeriggio si convince ad ampliarla, riordinando, dopo tanto tempo, i molti volumi posti in doppia fila e ammassati; questo pensiero gli regala un po' di allegria e gli permette di trascorrere una notte tranquilla, in compagnia della sua nuova amica: quella Matilde Serao la cui opera, nonché la sua vita lo avevano conquistato.
Il mattino lo coglie ancora addormentato, con il libro chiuso al suo fianco, ma con un'energia nuova e una voglia di correre al lavoro per poi acquistare una nuova libreria dove ordinare tutti i libri.
La giornata trascorre veloce e fatti gli acquisti torna a casa e decide di spostare al piano di sopra tutti i volumi, più vicini a quella che è la parte della casa che vive di più, che sente più sua, più intima.
Il momento in cui una nube di polvere si impossessa della stanza è quello che vede tutti i libri cadere per tetta, uno ad uno ed è così che tra le mani si trova un titolo; un vecchio volume, dimenticato, “Il Piacere” di D'Annunzio.
Quanto aveva amato quel libro, quanto quel lessico così aulico, ma mai inutile e quella prosa così artefatta senza essere pesante lo avevano stregato quando era ragazzo, riusciva a catturarlo e trasportarlo in quegli anni in cui tutta il mondo culturale era in fermento, in cui la filosofia si intrecciava con la letteratura e tutto veniva letto attraverso la lente della psicanalisi, ancora in fasce, ma già presente con tutta la sua potenzialità.
Una riflessione, mentre sfoglia le pagine de “Il Piacere” lo coglie, quanto talento può esserci in un solo uomo, in quanti campi dello scibile può eccellere: D'Annunzio era un letterato che aveva dato alla luce opere memorabili, come scrittore, come poeta, come drammaturgo e in ognuno di esse aveva messo se stesso e la sua epoca, fatta di eccessi e di impeto, fatta di quella voglia di cambiare il mondo e gli uomini.
Le pagine corrono veloci e la curiosità di riprendere i fili della sua vita si fa sempre più pressante, così, rimandato il montaggio della nuova libreria, Uomo cerca nella sua vecchia antologia del liceo la sua biografia e si accorge di quanto anni addietro aveva sottovalutato quella vita così ricca di avvenimenti, quella ricerca spasmodica della felicità e del piacere.
Una cosa sola ricorda con estrema vivacità: fu ritrovato morto al tavolo da lavoro così come fu per Matilde Serao, ma a differenza di questa, vittima della propria depressione, di quella volontà cieca di raggiungere ciò che è irraggiungibile.
La porta dei nostri sogni
Che fareste se aveste la capacità di entrare nei sogni altrui? E’ probabile che l’idea non vi suoni tanto allettante, a pensarci di sfuggita, ma si dice che i sogni indichino le pieghe nascoste del nostro animo, quindi conoscerli equivarrebbe ad avere un grande potere. Ecco il fulcro di questo romanzo che inaugura la nuova trilogia di Kerstin Gier, "La trilogia dei sogni": la conoscenza dei sogni può svelare le paure e i desideri più profondi di una persona, i segreti che non rivelerebbe mai ad anima viva, i dubbi, le incertezze, le fantasie, le aspirazioni di tutta una vita. Immaginate di sapere tutto questo di una persona, specie di una che conoscete o meglio, di una che vorreste conquistare. E’ una sensazione inquietante, ma al tempo stesso esaltante.
Quello che noi possiamo provare ad immaginare, Liv Silver, quindicenne protagonista del libro, lo vivrà sulla propria pelle, o meglio nelle proprie sinapsi: figlia di genitori separati, con sua madre, svampita professoressa universitaria, la sua vivace sorella Mia e la sua bambinaia bavarese di nome Lottie, si ritroverà a Londra nel bel mezzo di un passaggio da vita-da-girovaghe a otto-sotto-un-tetto. Sua madre e il suo nuovo compagno abbracciano l’idea della famiglia allargata e così Mia e Liv, in un batter d’occhio, acquisiscono una sorellastra e un fratellastro gemelli, Grayson e Florence.
Proprio la conoscenza di Grayson sarà il preludio della svolta che prenderà la vita di Liv: una notte, il suo sogno la conduce in un corridoio pieno di porte, tutte diverse tra loro, e in mezzo a queste lei riconosce la sua, quella bizzarra porta verde con la graziosa maniglia a forma di lucertola. Varcarla è un attimo e all’improvviso si ritrova in un cimitero, in cui quattro ragazzi stanno compiendo degli strani rituali in mezzo a pentacoli e simboli inquietanti. E sembra che lei non si trovi lì casualmente, ma per un motivo ben preciso.
Ma il suo è davvero solo un sogno? E se è così, allora perché sogna cose che non sa e che poi scopre di essere reali? E cosa vogliono quei quattro dai lei?
Liv non crede a quelle strane visioni, né all’esistenza di entità superiori, né al fatto che lei sia una pedina fondamentale in quel gioco onirico che Grayson e i suoi amici stanno portando avanti, un gioco pericoloso, con tanto di sigilli e promesse infrante, ma nonostante questo, non esiterà ad accettare di farne parte.
Da quella prima notte e dal quel primo sogno, Liv imparerà a conoscere il suo nuovo mondo fatto di porte, a scoprire cosa c’è al di là di esse e a interpretare il ruolo che le si richiede.
E imparerà anche che la solidarietà femminile fa acqua da tutte le parti (scusate la speculazione, ma ci sta tutta).
Ho trovato l’idea delle porte dei sogni veramente intrigante ed è esattamente questo particolare della trama che mi ha affascinata tanto; peccato però che questa visione non sia stata tanto approfondita nel corso della narrazione, rimanendo in forma troppo embrionale. Posso capire che questo sia il primo volume della trilogia, quindi un libro introduttivo, ma la costruzione della storia e la caratterizzazione del suo punto focale, i viaggi onirici dei protagonisti, dovevano essere meno inconsistenti. La prima metà del libro è blanda e piena di stereotipi, e mentre la seconda metà comincia ad acquisire un po’ di corpo, il tutto rimane sempre piuttosto fiacco.
Se dovessi giudicare questo libro, evocando nella mia mente dei termini di paragone che io ritengo capolavori fantasy, dovrei dare una stella a questo volume; se, al contrario, dovessi valutare il libro considerandolo una storia leggera, adatta ad un pubblico adolescente, simpatica e fresca al punto giusto, allora gliene darei quattro. Non volendo far pendere la bilancia verso l’uno o l’altro degli estremi, ho preso la strada della mezza via. Per lo stesso motivo non mi sento mai di sconsigliare un libro, perché i gusti sono troppo soggettivi e quello che per me potrebbe risultare fiacco, per altri potrebbe essere super eccitante.
D’altra parte Shakespeare diceva che “siamo fatti anche noi della materia di cui son fatti i sogni e nello spazio e nel tempo d'un sogno è racchiusa la nostra breve vita”. Ecco, speriamo allora che il secondo volume rispecchi un po’ di più questa teoria.
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Vita in prestito
Trama:
Milano. Clara Scardi ha perso la memoria a seguito della perdita del marito, un ricco finanziere scomparso da diverso tempo e il cui corpo non è mai stato ritrovato. A causa delle sue condizioni, Clara vive in uno stato di apatia e confusione perenne, vigilata dall'invadente e opprimente governante e scortata ovunque dal suo autista, mentre il suo patrimonio è gestito da un curatore, il dott. Varosi. Contemporaneamente, nella stessa città, l'avvocato Mario Valadier si trova ad affrontare l'inspiegabile scomparsa della moglie Emma. L'ispettore Bertoli, incaricato delle indagini, non riesce a far luce sul mistero della scomparsa di Emma.
Clara, intanto, comincia lentamente a recuperare il controllo di se e scopre con sconcerto di essere vittima del diabolico piano di una ramificata organizzazione criminale. Nel tentativo di sfuggire a un destino oscuro, finirà con intrecciare la sua vita con quelle di Mario e di Emma.
Commento:
Il ritmo della narrazione è dettato dalla brevità dei capitoli, tramite i quali seguiamo alternativamente le vicende di Clara e quelle della familia Valadier.
Se non avessi letto la Prefazione prima di passare al romanzo, i primi capitoli mi sarebbero sembrati molto confusionari: all'inizio, infatti, si perde di vista "chi è chi" e si ha l'impressione che il tempo venga dilatato in modo innaturale. In realtà, come capiremo subito dopo (anche aiutati dalla Prefazione che lascia intuire in anticipo alcuni dei meccanismi principali che determineranno lo svolgimento della storia), tale effetto viene creato di proposito dall'autrice, proprio per la natura della vicenda che ella si appresta a raccontare.
La narrazione in terza persona assume però un tono impersonale: la voce narrante da la sensazione di limitarsi a riferire ciò che sta osservando con i suoi occhi, senza alcun coinvolgimento emotivo, in modo formale e meccanico, descrivendo talvolta anche delle azioni assolutamente irrilevanti, insignificanti e superflue ai fini della storia.
Tutti personaggi si muovono all'interno di scenari patinati, ambienti eleganti e sofisticati, immersi in un'atmosfera di pigra irrealtà. In parte ciò è dovuto al desiderio di voler sottolineare maggiormente lo stato di generale e profondo stordimento in cui versano soprattutto i personaggi principali, tuttavia ha finito col diventare un difetto: i personaggi, infatti, assumono atteggiamenti assai poco naturali, a volte persino inopportuni e inspiegabili considerate le situazioni che si trovano ad affrontare; agiscono in modo frettoloso quando ancora non hanno nemmeno gli elementi per poter trarre determinate conclusioni e giustificare ansie e preoccupazioni, mentre, al contrario, appaiono fin troppo accondiscendenti, sprovveduti e rilassati quando invece è evidente che qualcosa non va.
Le loro vite rimangono in stallo per tutta la prima metà del romanzo: non accade nulla di significativo, nonostante si sia già capito con chiarezza quello che è successo, la natura dei segreti e delle verità nascoste e la piega che prenderanno gli eventi.
Nel capitolo 26 abbiamo un improvviso salto temporale di ben 4 anni, durante i quali evidentemente non è cambiato nulla: nel passaggio tra la scena descritta negli ultimi righi del capitolo 25 e quella che leggiamo nei primi passaggi del capitolo successivo, infatti, sembra siano trascorsi al massimo un paio di minuti,con Clara che versa nel medesimo stato d'animo in cui l'avevamo lasciata e i Valadier immersi in un clima di pseudo tranquillità nel quale però aleggia il fantasma di Emma. In poche parole, se la voce narrante non avesse specificato che era avvenuto un salto temporale di 4 anni non mi sarei accorta della differenza: forse scegliere di far trascorrere degli anni per dare un'accelerata alla storia è stato eccessivo, visto che non si avverte il fatto che sia trascorso così tanto tempo tra le due scene, forse sarebbe stato più logico e plausibile far passare 4 mesi visto come è stata presentata la situazione.
Dal capitolo 27 in poi, la storia finalmente comincia a movimentarsi un po', anche se non si fa altro che avere conferma di ciò che già era possibile prevedere dopo i primi capitoli.
Il finale è aperto e anch'esso prevedibile. Sinceramente speravo almeno qui in qualcosa di diverso. Dopo tanti patimenti, le cose si risolvono (anche se non del tutto) in modo fin troppo semplice e sbrigativo per un'operazione che era stata studiata e portata avanti per anni da un'organizzazione criminale tanto complessa come quella che ci è stata descritta per tutto il tempo.
La fascetta gialla con cui era circondato il libro al momento dell'arrivo in casa mia recita le seguenti promesse:
...SEDUCENTE come un film,
SORPRENDENTE come lavita.
... NON POTRAI SMETTERE...
Purtroppo devo dire che il romanzo non mi ha affascinata particolarmente, che non è riuscito a sorprendermi dal momento che si intuisce ogni cosa con largo anticipo; in quanto all'ultima affermazione, devo dire che ho fatto diverse interruzioni: solitamente, quando un libro della medesima lunghezza mi coinvolge, riesco a leggerlo in un pomeriggio o al massimo in due se ho anche altri impegni, mentre questo non è riuscito a tenermi ancorata alle sue pagine e me lo sono tranquillamente trascinata dietro per diversi giorni, senza nutrire particolare simpatia o attaccamento verso i personaggi, senza alcuna smania di curiosità da saziare.
Concludo dicendo che il libro non è sgradevole, l'idea di base era interessante: purtroppo, però, manca qualcosa di fondamentale, ovvero il coinvolgimento del lettore; lo stile narrativo è piatto, non riesce a trasmettere emozioni, non innesca la scintilla e non crea quel pathos laddove ci si aspetterebbe di trovare ansia, apprensione e paura.
Ho cercato di stilare una recensione abbastanza obiettiva. Tra l'altro, onde evitare dubbi, ci tengo a precisare che il mio giudizio non tanto positivo non è frutto di incompatibilità con il genere letterario cui il romanzo appartiene: anzi, al contrario, i gialli e i thriller (insieme al fantasy e all'horror) sono tra i miei generi letterari preferiti.
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- sì
- no
- sì, se non avete grandi pretese;
- no, se sperate in un intreccio dinamico, impegnativo e ricco di sorprese.
Viaggio in India
L’autore ha già visitato l’India altre volte e proprio perché in lui ha lasciato un ricordo sublime ha deciso di tornarci e di produrre un diario di viaggio su questa terra magnifica e piena di cultura colori e spiritualità.
Questo libro però assomiglia di più ad un saggio che ad un diario di viaggio perché lo scrittore ci racconta tutte le sue impressioni su ogni tema dividendo il suo libro in vari paragrafi.
In questo modo il testo oltre a risultare molto fluido ci descrive alla perfezione la situazione che ci si potrebbe trovare di fronte se decidessimo di intraprendere un viaggio in questo luogo.
Attraverso le pagine di questo libro il lettore riesce a carpire tutti i colori di questo territorio, gli odori delle spezie, “vedere” con i propri occhi il grande Gange, visitare i templi, ottenere curiosità ed incontrare moltitudini di uomini ed animali che passeggiano per le affollate e caotiche strade.
Vittorio Russo ci ha messo di fronte ai sorrisi della gente soprattutto di quella povera o meno fortunata perché afflitta da malattie come la lebbra.
Attraverso il suo viaggio ci ha messo a conoscenza delle sue magnifiche esperienze.
Talvolta ci ha anche disgustato, per esempio quando ci ha raccontato del tempio dei topi, ne avevo sentito parlare in qualche documentario, ma non avevo mai approfondito molto l’argomento perché mi aveva lasciata parecchio esterrefatta.
Che altro posso dire?
È un libro che ci insegna molte curiosità culturali e che ci fa entrare nel mondo della loro spiritualità.
Questo testo è un bellissimo resoconto che mi ha molto emozionata e che vi voglio assolutamente consigliare se vi piace il genere, ma è da leggere anche se vi piace viaggiare attraverso le pagine di un libro.
Vi auguro una buona lettura alla scoperta di questo vasto territorio chiamato India!
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L'arsenico non e' dissetante
Geograficamente piu' portati ad approfondire i crimini contro l'umanita' avvenuti a casa nostra, capita di ignorare letture che riguardino pestilenze piu' lontane.
Succede a me, che in linea di massima quando penso alla Cambogia evoco le bellezze di Angkor Wat.
Superficiale, limitata. La storia recente di quel paese ci dice molto altro, ci urla che ogni centimetro di questa benedetta crosta terrestre ha i suoi sacrosanti orrori. Ricordiamoli. Ricordiamoli tutti.
Tra il 1975 ed il 1979 in Cambogia scomparirono un milione e settecentomila persone, quasi un terzo della popolazione. Vittime del genocidio dei Kmehr rossi : esecuzioni, fame, malattie, torture, deportazione.
Non Rithy Pahn. Lui tredicenne fu deportato, affamato, malato. La sua famiglia, i nipoti, tutti persero la vita ma lui riusci' a sopravvivere a quattro anni di orrore, a rifugiarsi in Thailandia prima ed in Francia poi.
Non Duch. L'insegnante di matematica, il capo dell'S21,il centro di Polizia e tortura e sterminio.
"Annotazione a inchiostro rosso nel registro dell'S21 , accanto ai nomi di tre ragazzini : ridurli in polvere. Firmato Duch."
Il libro e' una sorta di lungo cortometraggio, un montaggio di immagini provenienti da piu' prospettive per condurci ad una proiezione globale.
Memoria : Rithy ricorda il bambino che fu, la fame, le ferite imputridite, la morte, le esecuzioni. La mamma. Il papa'. Un uomo giustiziato dopo avere raccolto una lumaca per la sua bambina affamata. Individualista, la lumaca appartiene alla collettivita', eliminato.
Testimonianze : Pahn contatta torturatori e torturati, raccoglie fotografie, cerca i registri.
Attualita': Rithy Pahn intervista Duch il persecutore, l'eliminatore, la mente di uno degli strumenti aberranti che servirono a imporre un'ideologia dispotica mirante alla disumanizzazione, di fatto. All'annullamento della singolarita' dell'individuo. Alla rieducazione degli intellettuali e di chiunque non accettasse il nuovo principio di societa'.
Lo stile e' asciutto, a tratti ripetitivo, non tra i miei prediletti. Eppure non manca di incisivita', esso non punta tanto sul sentimentalismo quanto sull'ideologia e sulla ricerca della spiegazione, e' un libro molto celebrale, perche' il fanatismo di Pol Pot ebbe un meccanismo complesso. Semplice ma complesso, che ingoio' il popolo in un sistema tempestivo che confuse, che lo plasmo' privandolo delle capacita' fisiche e mentali di anche solo pensare alla liberta'.
Di facile lettura, di difficile sintonizzazione ideologica, agghiacciante a livelli orwelliani, solo non e' un romanzo.
Da affrontare perche' il silenzio ed il negazionismo non vincano, e la memoria sia una lapide per quelle anime senza tomba date in pasto alla terra di fosse comuni lontane.
L'umanita' in fondo non ha confine geografico.
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dormi,di là avrai occhi per un'altra vita
“mettere la consolazione al posto del dolore é opera piu grande della creazione che ha messo l'essere al posto del nulla”
-Sergio Quinzio-
Dopo quattro anni di duro lavoro ecco che la penna pulsante di King incarna la malinconia e la volontà di riesumare i fantasmi passati e con volontà diviene,ancora una volta,una predatrice di psiche.
Incominciare ad assaporare questo romanzo,travestito da sequel, memori e pregni della scintilla di Shining potrebbe essere fuorviante ma credo che qualsiasi amante di questo autore sia già cosciente del percorso Kinghiano tanto da apprezzarlo per svariati motivi,accentando anche la godibile lettura esente dalla spavalderia buia che cavalcava il primo periodo ed é ciò che l'ha reso il più grande autore del suo genere.
Che fine ha fatto il bambino che percorreva i lunghi corridoi dell'Overlook Hotel in sella al suo triciclo? Cosa é rimasto di lui, con lui al di fuori e dentro a quel cancello di paure e angosce?
Oserei domandarmi,più in verità se mi é permesso ,che fine ha fatto l'infanzia ,il legame indissolubile con la sua figura paterna?
(Hai Promesso)
(Le promesse sono fatte per essere infrante)
Pensieri di Danny davanti alla 207
Danny ..un dono,lo stesso dono che imperversa la sua vita,una vita di demoni,di fantasmi,di cordoni ombelicali che costeggiano le ombre.
La sua vita da adulto una schiavitù nell'alcool da bravo erede di Jack Torrance,per mantenere la promessa del suo cordone ombelicale e della sua fragilità.
Rimuovere,sopprimere,azzerare,azzerarsi
Si possono rincontrare ad ogni angolo il ricordo del passsato,il non presente.Le presenze si possono rinchiudere in contenitori più o meno angusti ma in un modo o l'altro ci verranno a salutare tirandoci i capelli mentre la notte é sgombra dei sogni e della volontà.
Un lungo,imperscrutabile corridoio..
Si fa spazio tra le pagine un tragitto,un naufragare labile e inconscio e svariati incontri reali più o meno importanti che lo condurranno al ritrovo chiave:Abra,
Si,Abra lo specchio,la comunione delle menti,il riaffiorare della luccicanza,il colloquio ridondante e la lotta contro il male.
Il male un predatore affamato che si nutre del “dono” per sopravvivere,per esistere e crescere.
Si ha la perfetta idea che tutto si svolga in grande velocità,il ritmo é serrato,c'é qualcuno nella mia mente e tu stai guardando il dolore ma non sono i tuoi occhi.
Esci da me,sono in te,sto sentendo quello che pensi..non pensare,é tutto un trucco,uno scambio mentale.
Tony?
...Tony ?
......Tony,dove sei?
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L'implosione e il "mood writing"
Sua Grazia rediviva. Fulgida e adamantina come mai prima d’ora, proviene dal secolo trascorso a beneficio esclusivo del lettore italiano. Si riveste di una tavolozza chiassosa che non si preoccupa di infuocare le cornee della mente. L’occhio giubila al cospetto di un panorama che, dischiuso il broccato delle parole, non manca di mozzare il fiato e di accendere i sensi. Andorra. Di fronte a noi è il paese dei sogni, in cui perdere noi stessi, chiunque siamo stati, chiunque siamo, chiunque tenteremo di essere. Ed ecco che il miracolo è fatto, ancora una volta Cameron indossa gli allori ed incassa una vittoria meritata per aver evocato un frammento di mondo e averlo rivestito di tutti i gioielli del proprio scrigno, immortalandolo in una indimenticabile diapositiva che ci ricorda le Belle Lettere di un tempo che fu. Il granito rossastro che sfrigola sotto il sole di Andorra, quella torretta dell’Hotel Excelsior dalla struggente vista sul porto, offuscata dalle burle della mussolina. L’aulenta notte estiva che lancia ammiccanti bagliori tra i boccioli di bouganvillea. Un mondo che non esiste, un ideale romantico che perde il gusto per gli orpelli linguistici e che propugna invece l’essenza più pura e strutturale dell’utopia. Il discorrere di Cameron è Impressionismo verbale, pittoricismo letterario gonfio di una serie indicibile di immaginari affini che convergono in una sintesi contemporanea e affascinante.
In questo romanzo del 1997 Peter Cameron è già il nostro Peter Cameron. E’ quasi agli esordi, se si esclude la pubblicazione di una piccola raccolta di storie brevi del 1987 (che ho avuto la fortuna di ottenere dopo una strenua ricerca) e “The weekend”. Eppure egli è già maturo, non mostra indecisioni, non ripensamenti, nessuna pecca giovanile che faccia presupporre, ad un lettore poco informato, il periodo giovanile in cui “Androrra” è stato scritto. Solo il lirismo in technicolor risulta essere una caratteristica che va via via diminuendo con il progredire della produzione letteraria. Caratteristica che in questo romanzo rivela una sua potenza, una sua preponderanza e una sua centralità che risulta paritaria rispetto a quella di personaggi, settings e dialoghi. “Andorra” conferma ancora una volta lo svilupparsi di un filone di romanzi fondati sul nulla, su un minimalismo sinottico che viene redento e confezionato da uno stile inconfondibile, placido e visivo. Una vicenda di convenzionalità estrema come quella dell’espatrio volontario sta al centro di questo romanzo. Alexander Fox è un personaggio farraginoso, prototipico, che si reca ad Andorra con la ferrea volontà di stabilirvisi, al riparo dei frammenti taglienti di una vita andata in pezzi. Compra un diario dalla copertina damascata per riporvi i propri pensieri, fa la conoscenza di Mrs Dent, immigrata dall’Australia col marito, e la ricca famiglia dei Quay, un nucleo sociale tanto inconsueto quanto mielosamente blasé. Alex si insinua nel costume tipico di un paese accogliente ed ebbro di felici promesse, entrando in dinamiche sentimentali che tenteranno di minare la propria volontà di trovare un riparo duraturo contro le insidie del passato e del presente. Il concetto di identità e di relazione col mondo e col proprio posto in esso risulta il lampante messaggio che Cameron lascia tra le righe di “Andorra”. Lo fa, naturalmente, a suo modo. In quel suo modo peculiare che porta ad amare la circostanziata serie di perfezioni distribuite con generosità non solo in questo lavoro specifico, ma in tutte le opere della sua produzione. La figura che va delineandosi in relazione alle peculiarità di Cameron credo che possa essere definita come “mood writer”. Scrittore d’atmosfera. Perché è proprio l’atmosfera, generale e originaria di ogni momento della vicenda, che gioca un ruolo fondamentale nella fascinazione che si prova nei confronti di questi squarci idealizzati di mondo. Egli è un esteta che non rinuncia al tratto poetico, all’opportuno senso di compiutezza atmosferica che compendia ogni scena e ogni dialogo dei personaggi. Tutto è come dovrebbe essere, tutto è come vorremmo che fosse se anche noi ci trovassimo al fianco di Alex e Mrs Dent sul terrazzo panoramico affacciato sul crepuscolo sanguinante. Il senso di attrazione che si prova per quel dato momento, per quel dato istante così meravigliosamente completo è qualcosa di impagabile.
Credo valga la pena leggere qualcosa di questo autore, “Andorra” in primis. Anche solo per dare atto ad uno scrittore fondamentale della generazione contemporanea del grande merito e del coraggio profuso nella presentazione di una scelta stilistica in netto contrasto con le imperanti tendenze moderniste. Cameron, nella sua concezione “implosiva” di ritorno ad una letteratura di matrice ottocentesca, è ciò che si contrappone all’”esplosione” estremizzata che ha caratterizzato le lettere e le arti della fine del secolo scorso. Egli è la Transavanguarda dopo il Minimalismo, il preraffaellita dopo Cezanne, il manierismo che supera la trasgressione. Ed è tutto questo in modo tremendamente semplice, quasi modesto, in una dimensione di Garbo il cui concetto ho già espresso a proposito di “The weekend”.
Inutile dire, dopo tante nubi di incenso, l’interesse profondo che provo per questo autore e per le sue capacità di racchiudere una dimensione di piacevolezza e di diletto in una concezione letteraria che, benché non ne riprenda il lessico, si affianca notevolmente all’ideale romantico del contesto ottocentesco, reinterpretandolo e buttandolo nella tantità dei nostri odierni universi.
Ancora una volta, con rinnovata verve, un sincero invito all’approfondimento.
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Racconti
Einaudi pubblica in questi giorni una raccolta di racconti dello spagnolo Javier Marias, appartenenti
a momenti diversi della sua attività letteraria.
Talvolta il racconto può divenire un genere letterario pericoloso, in cui non tutti gli autori riescono ad esprimersi al meglio, pur possedendo ottime doti narrative.
Leggendo questa manciata di racconti di Marias si avverte da subito la sensazione che il racconto sia congeniale alla sua penna, per le nette capacità espressive e per l'abilità di scavare nell'io più profondo del personaggio nello spazio di poche pagine.
I protagonisti delle storie sono davvero enigmatici, emergono dalle tenebre di esistenze complicate, sono corrosi da dubbi e incertezze, sono marchiati da maledizioni, lacerati nella coscienza, invischiati nelle sabbie mobili del passato, perduti nelle scelte del loro presente.
A Marias non interessa fermarsi ad una fredda e immobile classificazione tra buoni e cattivi; egli travalica questo spartiacque, la sua penna affonda nel pensiero dell'essere umano rappresentato, portando alla luce i semi primigeni della bontà, della crudeltà, della immoralità.
Nello spazio di ogni racconto, Marias racconta una storia densa di umanità, ma lo fa mettendo in moto una girandola di immagini e pensieri, vorticosa, incatenando il lettore al filo del ragionamento.
La penna di Marias è densa, fortemente introspettiva, originale nell'approccio col personaggio; egli non delinea marcatamente i contorni del suo uomo o donna, li lascia camminare avvolti da una leggera nebbiolina che stuzzica la curiosità del lettore, che talora destabilizza, eppure a mano a mano la sensazione iniziale di evanescenza esplode in un'introspezione così acuta e complessa da divenire spettatori muti delle anime descritte.
I racconti di Marias richiedono attenzione, voglia di ascoltare, capacità di attraversare il confine dell'apparenza e del certo, di andare oltre al giudizio netto, richiedono la sensibilità di saper cogliere le infinite sfumature della vita.
Un ottimo preludio per conoscere la scrittura di un autore contemporaneo, riflessivo e raffinato.
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L'amicizia rende più forti
Il libro è destinato a un pubblico di adolescenti, soprattutto adolescenti femmine dell'età delle scuole medie e primi anni delle superiori. La storia è avvincente e ben costruita anche se restano alcuni punti oscuri, probabilmente perchè l'autrice si prepara alla stesura di un secondo volume. Bridget, alla morte del nonno diventa erede della sua vecchia casa custodita da un'arcigna governante, dei suoi libri, e di un coniglietto. Il camino della sua camera è la via d'accesso a un universo parallelo, universo in pericolo perchè minacciato da una terribile ondina. Bridget fa amicizia con un gruppo di ragazzi ognuno con doni particolari che la accompagneranno nel difficile compito di combattere la creatura malvagia e di riportare la pace nell'universo parallelo vendicando la morte del nonno. In questo percorso Bridget dovrà discernere e decidere di chi può fidarsi. Accanto all'avventura troviamo anche una storia di amore e gelosia adolescenziale appena accennata quindi proposta nelle dosi e nelle modalità adatte all'età che farà molto piacere alle ragazzine.
La storia è ben congegnata, avvincente e sottolinea valori importanti quali la fiducia, l'amicizia, il coraggio, la lealtà come ogni fantasy classico.
Un piccolo appunto è l'incipit che andava curato di più nella scrittura e in alcuni errori, parole e descrizioni di situazioni (il funerale del nonno ad esempio) non perfettamente azzeccate.
Faccio qualche esempio: il nonno ha un'età, per dire che è anziano (forse si intendeva che ha una certa età). La descrizione dell'abito nero che non usa più al funerale e che al momento della perdita di un affetto distoglie l'attenzione dalla cosa più importante. La descrizione iniziale è legnosa e certe parole non sono quelle giuste. La grammatica (sarebbe dovuta essere disperata) a pagina 1. Poi è tutto ok, però le prime pagine danno abbastanza nell'occhio. Sto parlando delle primissime pagine (10-20 pagine), per cui riscriverle non sarebbe stato un grosso lavoro.
Nel momento in cui uno non è ancora preso dalla storia queste imprecisioni possono dare un'impressione negativa che non riflette la qualità del racconto. Infatti, la narrazione andando avanti diventa piacevole e scorrevole. Quindi non fatevi scoraggiare dall'incipit perchè la storia è molto carina.
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Il naufragar tra i meandri di Roma.
Ho deciso di affrontare questo romanzo una volta letta la trama, interessante e misteriosa al punto giusto, che ha risvegliato subito in me tutta la mia passione verso le vicende strane, ambigue, enigmatiche.
“La serpe e il mirto” sembra avere, insomma, tutte le carte in regola per essere considerato un tomo avvincente. Ma purtroppo, mano a mano che la lettura prosegue, il senso di delusione aumenta fino a diventare insopportabile.
Anzitutto perché questo romanzo non ha una vera e propria trama: si parte presentando la misteriosa Pensione Internazionale, ubicata nell’insignificante- ma al contempo singolare- vicolo dei Serpari, una delle tante stradicciole che si snodano nella città di Roma.
E’ proprio qui che finisce, per puro caso, Aguilar Mendes, docente universitario in viaggio dall’Argentina.
Fino a qua tutto okay: un buon inizio, peraltro accompagnato da uno stile piuttosto scorrevole.
Ma non è concesso il tempo di esaltare questa prima parte che, subito, appare una delle tante falle che ricoprono la “ struttura-groviera” della vicenda: viene presentato ,infatti, Regenbogen , un personaggio descritto con tanta cura da essere inserito immediatamente tra i personaggi principali. E invece? No, dopo il primo capitolo Regenbogen scompare nel nulla, senza che l’autore ne parli più.
Le pagine scorrono, una dopo l’altra e ci si avvia sempre di più in coincidenze fin troppo casuali per essere credibili. Ma spesso, addirittura, le cose non vengono proprio spiegate! Come il motivo per cui Aguilar Mendes ,dopo essere svenuto e piombato per caso nella Pensione Internazionale, continua a dormire e a passare lì le sue giornate, senza che si parli di alcun motivo che lo abbia spinto a prendere quella decisione.
Continuando a leggere, l’unico che sembra possa essere il vero motivo di tutto –anche se si tratta solamente di supposizioni- è l’atmosfera di mistero che aleggia nella camera 307 e che ammalia sin dal principio il caro professore. Lui in quella stanza inizia a sentirsi travolto dall’infinità del tempo, il Tempo-Uroboros rappresentato dal serpente che si morde la coda.
E’ da questo momento che tutto inizia a confondersi: la trama non è più riconoscibile, c’è un continuo alternarsi di analessi e prolessi, si comincia a non distinguere più quali siano i sogni e quali siano che cose realmente accadute ed eventualmente quali siano successe prima e quali altre dopo!
Le conversazioni si cimentano sullo spiritismo, sullo gnosticismo e su altre correnti filosofiche di cui, lo ammetto, conosco ben poco. E’ tutto molto poco chiaro e anche lo stesso lessico inizia ad essere molto, troppo specifico.
Improvvisamente l’autore inizia a parlare di un enigma da sciogliere ma, tutt’ora che ho potuto riflettere a fondo sul romanzo, non riesco a identificare chiaramente di cosa si tratti. Insomma, alla fine sono ben pochi gli incentivi a continuare una lettura così sibillina, troppo aperta all’immaginazione-interpretazione.
Nonostante tutti questi difetti e nonostante per “La serpe e il mirto” sia stata per me una vera delusione non escludo il fatto che possano esserci persone capaci di apprezzare questo libro. Stefano Valente è uno scrittore molto capace, autore di altre opere che si sono aggiudicate premi importanti. Magari con una conoscenza molto, molto approfondita sui temi affrontati nel romanzo e una buona capacità di interpretazione si possono cogliere particolari e significati che non sono stato capace di identificare.
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Ritrovare se stessi
A bordo di una corriera viaggia un ragazzo di venticinque anni.
Ha lasciato il suo appartamento di Roma per raggiungere Illmitz, cittadina di confine tra Austria e Ungheria.
È solo ma gli tengono compagnia pochi oggetti personali chiusi disordinatamente in uno zaino e tanti pensieri che gli affollano la mente e gli pesano sul cuore.
Questo non è un viaggio di piacere.
È una fuga camuffata da una città e da una quotidianità che lo rendono claustrofobico e inadatto.
È l'allontanamento volontario da un amore che riempie la propria solitudine ma che, talvolta, viene percepito come ingombrante ed invalidante.
È l'andare incontro ad un dolore rimasto sepolto troppo a lungo.
Ripartire dalle origini.
Questo è il proposito.
Nella cittadina dove la sua famiglia ha mosso i primi passi verso una vita migliore, vuole ritrovarsi e ritrovare la luce della vita.
Davanti a lui si proiettano pigre giornate e passeggiate in posti senza volti.
In questa nuova routine la mente è investita dai ricordi di un passato recente, da sensazioni visive pulsanti e dal turbamento derivante dal senso di smarrimento e inadeguatezza che si accompagna ad incomprensibili sogni.
Il viaggio dona risposte.
La sua, non si farà attendere.
In questo romanzo breve e introspettivo, deliziati dall'eleganza di una prosa intrisa di malinconica poesia, ci si affaccia nella vita di un giovane di cui non conosciamo nemmeno il nome.
È un viaggio cieco, ripiegati sull'anima distorta dall'inquietudine ma che si mostra senza veli ad un pubblico attonito.
Durante la lettura si viene risucchiati dal vortice dei suoi pensieri che nella quiete di Illmitz prendono forma trovando la loro giusta dimensione. Il lettore, così, diventa abile fruitore di monologhi interiori, amico di vecchia data che partecipa ai ricordi e muto spettatore di strani sogni.
La narrazione in prima persona, ovattata ma fluida, ci racconta un ragazzo che gradatamente diventa un uomo segnato dalla vita. Se dovessi trovare una pecca, direi che la maturità di questo venticinquenne, risulta troppo dilatata, per certi aspetti inverosimile rendendolo, infine, poco credibile.
La prosa è armonica, perfetta.
La Tamaro torna a distribuire emozioni con il suo tocco delicato ed inconfondibile.
Questo romanzo pur essendo un'opera prima, non delude e, inoltre, lascia spazio alle considerazioni.
Una lettura coinvolgente, da compiere immersi nel totale silenzio per percepire ogni minimo moto dell'anima che questa storia regala.
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Tanto,tanto rosso
E’ sempre difficile recensire un libro di poesia:non sai mai da dove cominciare,però hai un’idea precisa di cosa i versi,a mille a mille,ti hanno lasciato.
Suoni di campanelli negli orecchi,raggi di sole sparpagliati ovunque negli occhi e tanto,tanto rosso.
Qualcosa di magico,come aprire una finestra dal cielo e guardare la terra dall’alto,e focalizzare sempre di più una persona precisa.
Leggere questo libro,leggere questi versi,è stato come scavarmi dentro:arrivare fino al punto nascosto di me e riaprire ricordi,emozioni che non sapevo neppure di avere.
Ho creduto,spero di non sbagliarmi,di iniziare un viaggio di “conoscenza” di me stesso,ovviamente immedesimandomi con l’autrice,come se il libro raccontasse la riscoperta dei valori della mia vita.
Credo di non sbagliarmi dicendo che la scrittrice,Federica Ribis,passa da una descrizione quasi cupa della vita,nei primi versi,ad una quasi abbagliante negli ultimi.
Come se la ragazza/bambina/adolescente fosse diventata donna e avesse scoperto come sgarbugliare la matassa:come se avesse imparato a vivere.
In una delle prime poesie dice:
“Non ho più con me la forza,ho solo,/la volontà di dire al mondo e al sole,/ che posso scegliere se nella mia vita restare una,/o continuare a nascondermi nel rosso.”
Per poi arrivare alla penultima a dire:
“Non capitò,più fra i limiti dei mondi,/non contestava le presenze,/amava le rosse,vite.”
Un uso del passato in ogni composizione credo che faciliti l’immedesimazione:sembra quasi che sia il lettore a ricordare,oppure,altra chiave di lettura,come se fosse l’anima a raccontare.
Filo conduttore la bambina,i suoni dei campanelli,e la forza naturale del sole,quasi arrabbiato all’inizio,poi,alla fine, descritto nel suo più grande splendore.
Concludendo, parafrasando gli ultimi versi del libro, “…prese a far uscire tanti mondi,/ dove gli uomini ,correvano e sapevano di vita”.
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Dodici piccoli capolavori
La prefazione, redatta dell'autrice stessa, rappresenta un perfetto biglietto da visita dell'opera che, a mia volta, mi accingo a presentarvi: tramite essa, Tina Caramanico ci presenta il suo progetto, ci offre una prima analisi interpretativa dei racconti che la compongono, promettendo emozioni, riflessioni ed esperienze autentiche. E così è, infatti.
"Oltre l'incerto limite" contiene dodici racconti, suddivisi in sei coppie tematiche intitolate "Origini", "Identità", "Innocenza", "Conoscenza", "Sogni" e "Futuro" e tutti accomunati dal medesimo filo conduttore, che è per l'appunto il "limite".
Ogni racconto appartiene a un genere letterario diverso o per meglio dire, non essendo propriamente inquadrato in determinati confini di genere, ne richiama alcuni elementi caratteristici, ma in modo piuttosto relativo.
Questi i racconti:
- "S-confini", che con ironica ci fa riflettere sul fatto che "in quanto a pregiudizi razziali, tutto il mondo è paese";
- "Martedì Grasso",amaro, oscuro ma profondamente affascinante;
- "Io no", una battaglia contro se stessi per se stessi;
- "Due", con le inquietudini e i timori di chi si vede derubare del proprio io;
- "Erika e il mare", tragico e carico di malinconia;
- "Maria era una strega", crudo e terribile come la realtà;
- "La casa del padre", indefinito come l'ombra dell'inquietudine e del sospetto;
- "Al Girasole", impregnato del rimpianto per un sogno rincorso ma mai soddisfatto;
- "Adele", con il suo desiderio rincorso a tutti i costi;
- "Al bivio", con le sue indecisioni decisive;
- "La vita nuova", con le incertezze future.
Dodici storie rese affascinanti da tecnica narrativa semplice ma molto efficace.
Benché sia possibile intuire e prevedere la direzione che prenderanno le storie man mano che si avviano alla conclusione, queste non perdono il proprio fascino né la presa che suscitano sul lettore.
La lettura dell'intera raccolta scorre con piacevolezza in un paio d'ore, forse anche meno.
Concludo rivolgendo i miei complimenti all'autrice: ultimamente è sempre più difficile leggere qualcosa di così alto livello.
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Un barlume di speranza? Ma anche no...
L'equilibrio mondiale viene definitivamente sconvolto dallo scoppio improvviso di una devastante guerra nucleare esplosa tra Occidente e Medio Oriente, tra islamici e il resto del mondo.
In nome di Dio vengono spazzate migliaia di vite innocenti, gli accordi di pace tra le nazioni saltano e a farne maggiormente le spese sarà l'Italia e il suo popolo.
Menzogne, intrighi, segreti, cospirazioni, stupri, mutilazioni, squallore, violenze: nessuno sembra possa sfuggire dagli orrori che hanno cancellato dagli sguardi della gente ogni speranza per il futuro.
Non ci si può fidare di nessuno, nemmeno dei preti e di vecchiette apparentemente innocue che si prodigano per la salvezza dei piccoli orfanelli sopravvissuti ai bombardamenti e alle sevizie dei militari arabi che ormai hanno invaso il territorio.
Non si è al sicuro nemmeno tra le mura del Vaticano, che anziché presentarsi come un rifugio, è diventato un covo di spie, assassini e cospiratori che si servono di veleni e armi per liberarsi di personaggi scomodi e manovrare la realtà nel tentativo di ricostruire la grandezza della Roma di un tempo.
In mezzo a questo caos, seguiamo le vicende di alcuni personaggi, prima tra tutte quella di Anna Laura (che in teoria è la principale protagonista del romanzo, ma in realtà dividerà la scena equamente con altri comprimari), assisteremo alloro calvario presente e poco alla volta ricostruiamo anche il loro passato tormentato da accadimenti che hanno segnato per sempre le loro esistenze.
La trama non è originale, tuttavia all'inizio il testo scorre abbastanza bene e gli espedienti narrativi adottati dall'autore invogliano il lettore ad andare avanti con un certo ritmo, spinto dal desiderio di sapere come si evolveranno le vicende presentate nel primo capitolo.
Dopo qualche capitolo, però, si riscontrano alcune difficoltà: la storia è caratterizzata da numerosi flashback, che a volte vengono inseriti nel bel mezzo di un capitolo e per distinguerli dalle vicende che si svolgono al presente sono riportate in corsivo, altre volte interi capitoli informano il lettore di avvenimenti passati, senza che sia adottato alcun tipo di accorgimento, come per esempio l'inserimento di date e annotazioni oppure lo stesso sistema del corsivo che invece viene utilizzato per gli altri flashback. Questo continuo alternarsi tra passato e presente, senza che vi siano indicazioni temporali precise o con indicazioni di tipo visivo adottate in modo parziale a approssimativo generano un po' di confusione: se si è dotati di buon intuito si riesce comunque a destreggiarsi tra i vari passaggi, però in alcuni momenti ci vuole un po' prima di rendersi conto che il periodo che si sta leggendo si sta riferendo ad avvenimenti passati e questo proprio perché a scatenare i flashback dei personaggi sono situazioni analoghe che si ripresentano nella loro vita nel presente.
Ho riscontrato poche sbavature e imperfezioni sfuggite all'editing, per lo più concentrate nei capitoli centrali (18-19). In un passaggio, per esempio, Anna Laura Crespi diventa Maria Laura Crespi.
C'è stata una disattenzione anche nell'impaginazione: il numero identificativo del capitolo 25, per esempio, è finito in fondo all'ultima pagina del capitolo 24, segno che non è stato fatto un ultimo controllo attento prima di mandare il libro in stampa.
Dopo tante disavventure, violenze fisiche e psicologiche, omicidi e tradimenti, la storia sembra avviarsi a una conclusione definitiva e serena per la protagonista: c'è però un particolare poco chiaro, una scelta dell'autore che mi ha destato perplessità e mi ha delusa.
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sì, se vi piacciono particolarmente le storie che parlano di complotti, guerre tra religioni e agenti segreti;
no, se ne avete abbastanza di storie cruente in cui l'uomo da il peggio di se compiendo stermini, stupri ai danni di donne e bambini, mutilazioni e torture, dando sfogo alla propria meschinità e agli istinti più bassi nascondendosi dietro lo scudo di una guerra santa in nome di Dio.
Racconti all'acido muriatico...
Una serie di racconti pervasi di veleno, il veleno che rivela la natura umana, inequivocabilmente corrotta dal male; se come pensa l'autrice il male è quella forza oscura che tesse le fila del destino dell'uomo è anche vero che ogni uomo è secondo lei artefice della propria fine ingloriosa o malvagia che sia...
Il libro è costituito da sette racconti, preceduti da una prefazione assai esaustiva, per preparare l'ignaro lettore a ciò che l'aspetta.
Una vasta carrellata dei vizi umani, delle viscide e odiose azioni umane, perchè non esiste uomo o donna che non possa essere corrotta o invasa dal male, per quanto candida sia la sua natura: "Ai fini più estesi il centro dell'opera è altresì è quello di aprire uno squarcio sulla vena folle e dannata presente in ogni uomo, unicamente nella forma più estesa. Se per alcuni tale follia sarà congenita - colpa della psiche - per altri sviluppata da cagioni capaci di smontare ideali e capovolgere l'esistenza, sarà il caso in cui la follia si tramuterà in soluzione." Cit. dell'autrice estrapolata dalla prefazione del libro.
E, devo dire che in questi racconti, pervasi da un perspicace umorismo macabro e cinismo cosmico, forse peggiore del mio, si può leggere veramente di tutto, connesso naturalmente ai vizi umani.
Ogni racconto è preceduto da una citazione ironica attinente all'argomento in lingua francese per cui ho dovuto, per intenderne totalmente il senso, farle tradurre da un insegnante di francese.
Dal giovane "Narciso" che perde la ragione a causa di una malattia ripugnante, alla beffa ricevuta da un fratello innamorato della sorella per un amore impossibile da consumare, alla moglie ingenua e devota che incontra inevitabilmente verità scomode, al parroco corrotto che predica l'aldilà e poi non ci crede, al ragazzo sedotto dal professore di scuola...ed altre terribili condizioni che inducono l'uomo a compiere ogni tipo di licenziosa scelleratezza.
Tratto narrativo arguto e delineato con grande lucidità, il libro è adatto a coloro che vogliono meditare sull'esistenza umana...e racchiude in sè il desiderio di redimere l'uomo mettendolo di fronte alla sua abissale corruzione.
Vorrei infine esprimere una mia personale opinione: se è vero che l'uomo è pervaso di malvagità, di cattiveria e che spesso è artefice del proprio disgraziato destino, ed io aggiungo anche di quello di altre persone innocenti, se è vero (ed io l'ho sperimentato amaramente nella mia esistenza), che la giustizia è sommaria, superficiale e molte volte protegge i colpevoli, anzichè condannarli...si può però affermare che esistono anche persone buone, persone degne di rispetto che spesso...ti traggono in salvo dal pantano in cui altri personaggi loschi hanno cercato di farti annegare.
E con questa speranza di bontà, di gentilezza, di redenzione ho potuto conservare in me il lato buono della mia natura senza che si smarrisse nel velenoso miasma della follia.
Consigliato.
Saluti.
Ginseng666
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Un esempio di seconda vita segreta...
Le strane lingue dell'amore è un romanzo interessante e ricco di colpi di scena. Anzi pieno di colpi di scena. La prima parte del libro è un pochino lenta e piatta, ho fatto fatica a rimanere concentrata ma da metà libro in poi invece non riuscivo ad alzare gli occhi dalle pagine, ho provato un'altalena di emozioni, era un continuo di: “Ma come? Non potevo immaginare che lei...” e di “Pure questa...”. L'autore ha sconvolto tutta l'idea iniziale che mi ero fatta sui personaggi. Credevo una cosa e poi alla fine Bang! Non era come pensavo, ha intrecciato le storie di cinque personaggi creando una trama fitta e intrigata. Complimenti!
Mi sono molto calata nella storia e ci sono anche rimasta male in uno o due punti. Chi ormai mi segue da un po' sa che ho il vizio di lasciarmi influenzare da ciò che leggo. Ho finito il libro a notte fonda nel letto, mentre accanto a me il mio compagno dormiva profondamente. Sono rimasta a guardarlo chiedendomi se anche lui potesse avere dei segreti. Leggere questo libro mi ha fatto riflettere sui rapporti che si hanno con le persone, penso sia capitato a tutti di avere alcune “amicizie” per interessi, sarei un'ipocrita se non lo ammettessi. Magari anche solo amicizie banali tipo quella confidenza che si può creare tra un barista e un cliente assiduo, amicizia creata per far continuare a venire il suddetto cliente nel bar... Ecco, mentre ero nel letto ho riflettuto su questo, su quanto a volte anche se ho di fronte una persona, a me antipatica, mi sforzo di sorridere e essere gentile. Diciamo anche che questo è quasi d'obbligo in una situazione del genere, ma al giorno d'oggi bisogna fare così per forza... a volte me ne dispiace (nella mia ingenuità) perché i veri sentimenti che provo per quella persona sono molto lontani dall'amicizia. Così per facilitarmi il compito mi sono creata uno slogan che uso per me stessa e che dico anche al mio compagno che non sempre è molto propenso al sorriso di circostanza. Il mio motto/slogan è: Carina e Coccolosa! Carina e Coccolosa! Forse non sarà in italiano perfetto ma ormai è il mio mantra e fa effetto. Se può esservi d'aiuto potete adottarlo... :-P
Come avete ormai capito il romanzo parla di bugie, tradimenti e seconde vite. (Non voglio sbilanciarmi troppo per evitare di rovinare la lettura agli interessati.) Il libro inizia descrivendo le due coppie di amici che vivono la loro tranquilla vita, poi di colpo arriva la tragedia: muore la moglie di una delle coppie e con la sua morte vengono a galla verità mai confessate. Si scopre che nessuno sapeva della vita parallela della donna e mano a mano che si va avanti a leggere emerge che non era l'unica ad avere dei segreti ma che anzi niente e nessuno, in questa storia, sono come appaiono. È un libro intrigante scritto in modo scorrevole e semplice. L'unica pecca, secondo me, è che a romanzo concluso sono rimasta un po' con l'amaro in bocca perché alcuni personaggi non hanno trovato l'epilogo che meritavano.
In conclusione un romanzo che consiglio di leggere agli amanti del genere e anche a quelli che vogliono fare una lettura diversa.
Per quanto riguarda il mio compagno invece al mattino dopo, a mente lucida ho capito che non posso essere sicura al 100%, d'altronde anche io ho i miei piccoli segreti ma mi fido. La fiducia è un sentimento forte ma non facile, io però mi fido di lui quindi posso dire che vivo serenamente ma con un occhio semi aperto :-P Devo però confessarvi che avrebbe ben poche possibilità di avere una seconda vita dato che stiamo insieme 24 ore su 24.
Baci
Erica
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Le anime del Baraonda
Trama:
Selmo Dettori ha scelto di anteporre la sua passione per la musica e il suo impegno sociale alla professione di medico. Si divide tra la sua banda musicale e il Baraonda, un centro sociale della periferia milanese, dove si incrociano diversi personaggi che ben rappresentano la realtà dei quartieri più difficili della periferia milanese. Durante un viaggio solitario verso le montagne, Selmo incrocia alcune figure che gli riportano alla memoria diversi episodi della sua vita, grazie alle quali ricostruisce pezzo per pezzo la sua drammatica vicenda personale e quella della comunità che gira intorno al Baraonda, svelando al lettore, poco alla volta, le ragioni che lo stanno guidando verso una scelta difficile.
Recensione:
Sebbene Selmo sia il protagonista del romanzo, la nostra attenzione viene sin da subito dirottata sugli altri personaggi che gli fanno da contorno con le loro vite disordinate, emarginate, sregolate e piene di problemi.
Quelle che frequentano il Baraonda sono anime costrette a combattere ogni giorno contro i pregiudizi, l'ignoranza e l'indifferenza, che scelgono di rivendicare il proprio diritto a esistere e prendersi ciò che viene loro negato dalla società e che spetterebbe di diritto a tutti, ovvero un "posto nel mondo", anche se scelgono di farlo in modo discutibile e con mezzi non propriamente legali.
Sono persone che cercano di difendere a modo loro quella poca dignità rimasta, che hanno conosciuto e conoscono ancora la miseria, l'umiliazione e la stupidità.
Hanno occupato abusivamente un edificio di proprietà del comune, che tuttavia era abbandonato e prima del loro arrivo versava in condizioni pietose: lo hanno rimesso in piedi, hanno apportato diverse migliorie e ne hanno fatto il loro rifugio. Il fatto che sia situato proprio accanto al cimitero maggiore (prima, infatti, era utilizzato come una sorta di magazzino per le bare) gli conferisce un significato ben preciso: il Baraonda, infatti, è come un limbo sospeso in cui il tempo ferma il suo corso, un porto in cui attraccano quelle anime travagliate che non trovano posto né tra i vivi né tra i morti e scelgono di annegare se stesse nell'alcool e abbandonarsi alla nebbia ipnotica del fumo d'erba prima di rituffarsi nel mondo esterno. In questo limbo, continuano a essere isolati dal resto dell'umanità che non li accetta, eppure ciascuno di loro non si sente più solo perché sa che lì ci sono altre anime come la sua, con storie altrettanto complicate e ingarbugliate come la sua.
Tuttavia, in seguito si accorgeranno che in fondo, con quel loro combattere restando isolati, non hanno fatto altro che contribuire ad alimentare il distacco tra loro e la società: nelle loro battaglie, in fondo, non sono riusciti a farsi capire e amare da quegli "altri" che li tengono a distanza, hanno ricambiato l'indifferenza con la ripicca e la violenza con altra violenza.
Selmo appare come il buon samaritano, sempre pronto a farsi avanti per difendere i deboli e i diversi dalle ingiustizie, ad aiutare i fratelli stranieri e a elargire carezze agli animali, eppure anche lui cade in errore svariate volte e si ritroverà a pagare un prezzo alto per le sregolatezze e i bagordi ai quali si è abbandonato.
Non scenderò ulteriormente nei dettagli, per lasciarvi il piacere di approfondire il resto con la lettura.
Il romanzo offre un'interessante visione di ciò che è diventata la società italiana (ma non solo), con le sue ipocrisie e contraddizioni, tuttavia per quel che mi riguarda non è uno di quei libri che rileggerei una seconda volta: personalmente ritengo che la prima lettura sia stata sufficiente per cogliere i messaggi nella loro interezza.
Il testo è scorrevole e ben scritto e l'editing è stato abbastanza accurato (sono sfuggiti all'occhio dell'Editor soltanto un paio di insignificanti errori di battitura, il che è un gran risultato vista la quantità di errori e sviste che si trovano ultimamente nei libri).
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Sì se vi piace il genere, se vi stanno a cuore le tematiche sociali e le storie personali.
No se preferite la lettura d'evasione proprio per dimenticare i tanti problemi stressanti della vita.
On the road by bus
Sin dai tempi più antichi la letteratura di viaggio è stata popolare e amata. In fondo l'Odissea scritta dall'immortale Omero intorno al VI secolo A.C. altro non è che il resoconto di un viaggio sia pur lunghissimo, fantastico e allegorico e un altro viaggio può essere quello di Dante nei tre regni dell'oltretomba ne La Divina Commedia o ancora quello di Lucifero dal cielo alla terra e dei nostri progenitori dall'Eden alla vita reale secondo quanto descritto da John Milton in Paradiso Perduto. Per giungere in epoca più recente si passa a narrazioni sicuramente più realistiche come quelle di Defoe per il suo Le avventure di Robinson Crusoe o a narrazioni paradossali ma egualmente minuziose come si addice alla redazione di un diario di viaggio secondo quanto accade ne I viaggi di Gulliver. Facendo un salto cronologico non indifferente si arriva a Sulla strada di Jack Kerouac, Bibbia autentica per i giovani della Beat generation. Sulla strada è "il viaggio" in assoluto e consacra la moda di attraversare gli Stati Uniti Coast to Coast e di percorrere la mitica Road 66.
L'autore de I diari della tartaruga, novello Kerouac e novello Chatwin quest'ultimo il non plus ultra della travel literature, più modestamente a bordo di un vecchio e scalcagnato bus della compagnia Tortuga verde, descrive la sua esperienza di traversata degli Stati Uniti.
Il viaggio è una metafora della vita, come dava a intendere Chaucer ne I racconti di Canterbury e i compagni di viaggio sono allegoriche figure indispensabili alla crescita spirituale dell'individuo. I sodali di Nones quasi tutti giovani e quasi tutti europei, vengono descritti nei loro difetti, ma anche nei momenti di solidarietà espressi nella catena per preparare il cibo o nella selvaggia gioia durante le pause nei pressi di laghetti e fiumi celati ai più.
L'autore non manca di fare delle riflessioni sugli Stati Uniti: territorio vastissimo che passa da centri fortementi urbanizzati, a metropoli estese e a vaste aree dove è quasi impossibile vedere anima viva.Ma a parte la sua concentrazione sulla relazione uomo-natura che fortissima si avverte osservando boschi e laghi, Nones parla anche del contradditorio way of life degli abitanti. Un paese dove le differenze di reddito creano dei forti divari, un paese che confida in Dio come si legge sulle banconote e al contempo si lascia andare al lusso sfrenato o a atteggiamenti decisamente lontanissimi dall'essere cristiani.
Un libro che si legge rapidamente perché interessante nella descrizione e che sicuramente merita un posticino accanto ad altri tomi di letteratura da viaggio malgrado qualche ingenutà di stile da parte del Nones, alla sua prima esperienza letteraria.
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Guerra di trincea
Trovo sempre encomiabili le iniziative volte a riportare l’attenzione sulle pagine più drammatiche e fin troppo spesso dimenticate della nostra Storia. Ancora di più, quando si tratta di offrire a una voce del passato la possibilità di comunicare a un pubblico più ampio, di raccontare le proprie vicissitudini, le esperienze vissute. Ho avuto il piacere e l’onore di lavorare per alcuni anni in un Museo della Memoria e sono particolarmente sensibile all’argomento.
Quanti di noi, in un cassetto o in qualche scatolone riposto in cantina o soffitta, conservano ancora i cimeli e le lettere dei nostri nonni e bisnonni, soldati di guerre che sembrano al contempo lontanissime negli anni e drammaticamente attuali?
Franco Garrone si concentra sul diario di un sopravvissuto alla Prima Guerra Mondiale, un Bombardiere del Re che ha trascorso gli anni dal 1916 al 1918 sul fronte a combattere contro gli austriaci e poi sul Caucaso, chiamato sul nuovo fronte per meriti di guerra. Il soldato Augusto Fantato tenne un diario dettagliato delle sue avventure, sfruttando al massimo l’istruzione elementare ricevuta, lasciando ai suoi nipoti un’eredità inestimabile di vita vissuta.
Scritto in stampatello e corredato di disegni e di numeri ben delineati, come per una passione nascosta per la gradevolezza grafica della pagina scritta, il diario di Fantato è rimasto per molti anni un semplice cimelio di famiglia, ma l’impegno di Garrone ne ha fatto un libro vero e proprio, intitolato “Un uomo a metà” ed edito da Edizioni Amande.
Il giovane Augusto, lasciati i campi per lavorare nelle ferrovie, ritorna a casa per vedere la madre spirare nel suo letto. Traumatizzato dal lutto, il ragazzo si licenzia e si arruola nell’Esercito, in totale disaccordo con il padre e gli amici. Il trauma è stato troppo forte e la perdita incolmabile gli ha instillato nell’animo la voglia di morire. Combattere per la Patria gli pare il modo migliore per farlo onorevolmente.
Di stanza alla caserma di Novara, Fantato si distingue durante l’addestramento per la propria mira. Una dolce simpatia per una ragazza del posto non mitiga le sue drastiche intenzioni ed essere scelto come Bombardiere del Re lo riempie d’orgoglio.
Inizia così la sua drammatica esperienza al fronte, ove viene a contatto con la morte e la disperazione. Il fato, però, sembra volerlo privare del destino che si è scelto. Piano piano, il suo cuore torna a vivere suo malgrado. Le lettere di Lisa, la morte di tutti i suoi ex-colleghi di lavoro, l’aver salvato e accudito due bambini scampati per miracolo a un bombardamento, gli restituiscono il valore della vita e lo portano a sperare nel futuro.
Il testo, strutturato come un racconto aperto rivolto al nipote, si conclude con la copia di alcune pagine del diario originale, che consiglio di non sfogliare pigramente ma di leggere con attenzione, per gustare la vera scrittura di Fantato, con gli errori ingenui e i termini desueti della sua epoca, commovente traccia del passato.
Per quanto abbia apprezzato l’idea e l’impegno profuso in questa iniziativa, resta qualche appunto da fare all’autore. Purtroppo la prosa scivola via con eccessiva velocità, consentendo ben poco di soffermarsi sugli avvenimenti e sui sentimenti del soldato Fantato. Per quanto un’operazione di pura inventiva sarebbe stata poco rispettosa, una maggiore analisi del diario avrebbe sicuramente offerto spunti per conferire più profondità alla narrazione.
Anche il linguaggio ha le sue pecche. Piuttosto spesso l’autore sceglie di mettere in bocca ai personaggi frasi troppo costruite per essere credibili. L’analisi della scrittura del soldato attesta che il giovane si esprimeva in maniera corrente, non con un linguaggio a volte troppo intellettuale. Inoltre, di quando in quando, l’autore utilizza alcuni termini in maniera impropria o imprecisa. Piccoli difetti che non fanno apprezzare appieno la lettura di questo testo; rimane comunque un bellissimo documento per tutti gli appassionati.
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PRENDERE LA VITA A MORSI PER SOPRAVVIVERE.
Perchè graffiare e prendere la vita a morsi?
E per fortuna che lo fai...è stato il modo di rapportarti che hai imparato, il modo che ti ha garantito di esistere e di sopravvivere.
Marco è un ragazzo poco più che ventenne, che vive in un quartiere degradato del sud, dove dilagano e continuano imperterriti il crimine , lo spaccio e l'uso di sostanze stupefacenti , l'iniziazione prematura al sesso,la realtà del carcere minorile ...dove giustizia e legge corrono strade diverse.
Ogni giorno diventa una battaglia da vivere; riuscire a vivere senza superare quella linea di demarcazione tra regola e sregolatezza è un' impresa assurda.
Marco è appena uscito dal carcere e decide di andare con l'amico Luca al nord, dove risiede il padre, e proprio in occasione di quel viaggio, Luca muore.
E' una morte che diventa motivo scatenante di reazioni diverse : di inazione da parte del padre, di vendetta da parte di Pietro ,fratello di Luca e rimasto al sud.
Marco , ritornato a casa, come sempre per sopravvivere può contare sulla frequentazione assidua della palestra, unico ambiente che gli permette di ritrovare e rinnovare la propria forza di sopportazione e di carica energetica.
L'amicizia e la famiglia sono i suoi punti di riferimento, da sempre.
Ma la vita continua tra lavori illeciti e sregolatezze continue.
Non è facile riscattarsi da un modo di vita che ti ha segnato sin da piccolo, che ti ha insegnato ad affrontare di petto tutto e tutti , ad arrangiarti alla meno peggio, nella totale incapacità di dare fiducia, nella convinzione che sarà forse impossibile uscirne.
Ho seguito il racconto con partecipazione , consapevole di stare ad ascoltare il vissuto di uno spaccato di società , che oggi vive così.
Il racconto si conclude con un fatto del tutto inaspettato, dove l'autore ci sorprende, lanciandoci un forte e crudo messaggio: il male alberga ovunque, a sud così come al nord , rivelandoci una realtà perversa, che lascio al lettore desideroso di scoprirla, trovarla, grazie alla lettura di questo romanzo, di uno scrittore che, sia pur esordiente, dimostra una buona capacità di narrazione con l'inserimento di note acute e molto profonde.
Leggere per credere!
Buona lettura da Pia.
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A chi pensa che il male alberghi al sud ... solo al sud.
Le memorie di Brenno Alzheimer
Alzi la mano chi è “eretto”!
Quanti di noi siamo eretti? Certi e sicuri di non sbagliare mai? Di fare sempre le cose giuste e di dire sempre le cose perfette e condivisibili con il resto del mondo nei secoli dei secoli?
E gli “sdraiati”? Chi sono li sdraiati di Serra?
Sono quelli che sbagliano, che urlano, che ciabattano, sono i disordinati, i disubbidienti, i maleducati, i nevrotici, gli insolenti, gli apatici, i fancazzisti, gli stanchi, insomma i giovani odierni!
I giovani adolescenti non hanno le ombre che si adagiano al suolo ma è tutta la loro persona e il loro essere che si sdraia, sono “divanizzati”, sono gli appollaiati che si connettono col mondo solo se sdraiati, con le dita impegnate su una tastiera alla ricerca di domande e risposte nel web, mentre altre dita contemporaneamente sfogliano un testo scolastico e altre ancora fanno zepping tra un reality e un altro, masticano merendine e spargono cenere di sigarette ovunque stando sempre sdraiati, connessi con le cuffie di un ipod e sempre meno collegati con la realtà.
L’involuzione della specie o l’evoluzione della società di domani?
Bando alle altre domande e passiamo alle risposte che mi sono venute spontanee una volta finita la lettura di questo libro.
La voce narrante è quella di un padre che mette nero su bianco il suo fallimento di genitore, la sua conversione al concetto di “dopopadre” e i suoi tentativi di intraprendere il dialogo con il figlio partendo dalla visita tanto desiderata del monte Nasca. Un desiderio nato per sancire e godere dell’incontro generazionale tra un padre che sa cosa vuol dire dialogare, stare in famiglia, godere di una passeggiata , assaporare la vendemmia coi propri cari e il figlio, che diversamente non capisce e non vuol capire tutto questo senso di appagamento paterno.
La lettura parte bene, diverte per la schiettezza di come certi eventi vengono raccontati “una fragilità materna non preventivata, rammollisce il mio aplomb virile. Mi rendo conto di sommare le due debolezze: la smania protettiva della Madre, le pretese di rettitudine del Padre. (Quante volte invece di mandarti a fare in culo avrei dovuto darti una carezza. Quante volte ti ho dato una carezza e invece avrei dovuto mandarti a fare in culo.)” O il riverbero “penso a come è stato facile amarti da piccolo. A quanto è difficile continuare a farlo ora che le nostre stature sono appaiate.” O i luoghi comuni “lei deve parlare di più con suo figlio.”
Dopo l’ilarità delle prime pagine la lettura si è trasformata in una martellata sugli zebedei, pur essendo un libretto di 108 pagine, il monologo è sfociato nella noia più insofferente, perché la storia si dipana in una guerra futuristica di incomprensibile valore, si fa presto ad arrivare alla parola fine e rendersi conto di aver letto l’apoteosi del nulla. Una lettura breve ma faticosa che mi ha innervosito perché la tematica è sicuramente interessante e discutibile per molti aspetti, però se tra un concetto e un altro ci sono due pagine vuote e tra un paragrafo e un altro interminabili spazi, il librettino non è più di 108 pagine ma molte meno.
Ma soprattutto è irritante il protagonista/autore che s’impone con l’atteggiamento di professorino che impartisce lezioni con messaggi stridenti che sanno di unghie strisciate sulla lavagna, che con i suoi piagnistei logorroici, la sua amara ironia cadono sul banale col risultato che il gusto di aria fritta di questo vademecum per genitori falliti si concretizza prepotentemente senza scampo.
Mi viene da pensare che forse Serra prima di scrivere questo pseudoromanzo era partito con l’idea del saggio pedagogico sugli adolescenti o semplicemente un articolo giornalistico ridondante o peggio ancora un romanzo intimo lasciato a metà.
A mio parere ho letto un requiem inconcludente.
Abercrombie& fitch… o Polan&Doompy e la Apple ringraziano.
C’è sempre una società di sdraiati agli occhi di chi li ha preceduti.
Wow… forever young.
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genitori, quante colpe!!!
"d'altronde le ansie e tutte le turbe dei figli non sono altro che la conseguenza dei tragici errori genitoriali..."
Ferdinando, Lorenza e Matteo con le loro esistenze fragili, tendenti all'autodistruzione sono il frutto dei tanti errori, reiterati nel tempo, commessi dai propri genitori, incapaci di interpretare tale ruolo.
Genitori anaffettivi, immaturi, opprimenti o assenti, si materializzano dalle pagine del libro scritto da Gianfabio Florio, che ripercorre la gioventù dei tre ragazzi.
Gli effetti disastrosi sono ben visibili in loro.Tre soggetti che apparentemente forti, non sono riusciti a togliersi quel vestito di infelicità cucito addosso. E così, affiora la solitudine nelle loro vite, desiderosi di amare ma nel contempo paralizzati dalla paura, verso ogni forma di amore. Traspare l'incapacità di ribellarsi verso alcune scelte, non sempre prese in autonomia, che vede come ancora di salvezza l'allontanamento, volontario, dai rapporti familiari. Trionfa l'egoismo di chi gli sta accanto, responsabile nell'aver frantumato i loro sogni.
Una bella storia, apprezzabile soprattutto nella prima parte, ma che si perde nelle restanti pagine a causa di un brusco, nonché fastidioso cambiamento nella trama, che secondo il mio personale parere, penalizza di molto la gradevolezza del libro. Gli innumerevoli errori di battitura non mi hanno reso la lettura facile, ad ogni modo promuovo l'autore che è riuscito a trasmettere un messaggio su cui tutti siamo invitati a riflettere perché:
Diventare genitori è facile ma esserlo risulta alquanto difficile...
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Ossa
L'opera è composta di più di 400 pagine ma l'autore avrebbe potuto utilizzarne molto meno.
L'idea iniziale è già abbondantemente utilizzata, cadaveri di donne ritrovati sulle rive di una palude, naturalmente la polizia USA indaga brancolando nel buio...nonostante ciò la lettura diviene incalzante seppur prevedibile nella trama. Ma ora basta con la quarta di copertina.
Sinceramente pur essendo un genere più poliziesco che thriller mi aspettavo un livello di tensione più alto, seppur in un certo qual modo l'autore ha uno stile che può attirare un lettore non propriamente incline ed abituato al genere.
L'autore avrebbe potuto creare una trama più tesa ed elaborata ma in questo libro purtroppo manca molto il mordente e la tensione è molto scarsa...anche nel finale l'autore si arrampica un po' sugli specchi lasciando il lettore un po' a bocca asciutta.
La Time Crime purtroppo questa volta ha proprio preso una cantonata seppur il libro promettesse maggiormente visto l'inizio.
Buona lettura al libro.
Syd
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Non tutto risulta come appare...
Un thriller avvincente e macabro, adatto per le persone "con lo stomaco forte".
Si tratta di una storia controversa che all'inizio appare come risultato di una tragedia familiare, e in seguito rivela contorni inquietanti di un giallo noir con finale del tutto inaspettato.
La vicenda è avvincente e trattata con estrema maestria: ritmo serrato, descrizione psicologica dei personaggi molto acuta...in modo che si riesce quasi a visionarli mentalmente.
Per essere un autore emergente si muove molto bene e dipana il groviglio della storia con logica spietata seguendo i movimenti dei personaggi, si riesce a seguire la vicenda con un certo pathos, orrore...nelle scene sanguinose, nelle torture delle vittime, come a voler sancire anche i sentimenti dell'assassino...e le sue complicate elucubrazioni mentali...
Qual'è il colore della paura? Quale scatenamento delle pulsioni psicologiche conduce un killer ad uccidere? Quale ragionamento, quale condizionamento porta un individuo a fare dell'omicidio la sua motivazione di vivere e un altro all'emulazione?
Innumerevoli sono le ragioni...
Vi può essere anche colui che manda messaggi per annunciare una fine ormai prossima, un profeta della morte, al quale non interessa particolarmente la paura delle vittime, ma le sue ragioni sono ancora più contorte.
Non tutto è come appare e quando tutti i tasselli della vicenda avranno ritrovato il loro posto nel puzzle intricato della vicenda, il lettore comprenerà di essersi sbagliato completamente nelle sue valutazioni iniziali.
Consiglio vivamente questo libro agli amanti del genere thriller, a me è piaciuto molto.
Saluti.
Ginseng666
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Il Labirinto d'Ambra: fantasy italiana di qualità!
In una torre lontana, così recita la quarta di copertina de “Il labirinto d’ambra”, Plesio Editore 2013 (seguito de “La radice del rubino”, sempre Plesio Editore, 2012), attende, prigioniero in una torre, un giovane principe dai capelli bianchi che Manfredi, cacciatore di taglie di poche parole ma dalla volontà ferrea, deve riportare a casa per incassarne la ricompensa: non potrà farlo da solo, e dovrà dunque affrontare il difficile viaggio attraverso montagne invalicabili, sentieri nascosti, città in rovina e mari misteriosi in compagnia di un gruppo eterogeneo.
La trama non smentisce la premessa: “Il Labirinto d’ambra” promette e mantiene, riuscendo a catturare l’attenzione del lettore grazie alla bravura che l’autrice ha avuto nel costruire un mondo complesso e vario in cui il presente s’intreccia abilmente alla tradizione, alla storia, alla filosofia e alla magia.
Il linguaggio ricorda quello di un’antica fiaba popolare, con un’atmosfera a metà strada fra il mito d’ispirazione greco-romana e gli antichi racconti medievali. Belle ed efficaci anche le caratterizzazione dei personaggi, descritti in pochi ma incisivi tratti. Molto accurate anche le descrizioni dei luoghi e degli ambienti: leggere è come chiudere gli occhi e vedere la scena comparire davanti ai tuoi occhi, complice una geografia studiata meticolosamente e toponimi originali, frutto di uno studio preciso.
Anche i tempi sono concepiti benissimo: molto spesso il racconto s’interrompe per delle digressioni e per introdurre storie di altri personaggi, ma le sottotrame non insabbiano mai la storia, semmai la arricchiscono, la fermano al momento giusto per poi farla ripartire proprio quando deve.
A Gloria Scaioli piace scrivere (e leggere) e si vede, a volte anche troppo: se proprio devo trovare un difetto (il pelo nell’uovo, insomma), è l’eccessivo crogiolarsi nella forma e nelle figure retoriche rischia di rendere in qualche punto poco fluido e un po’ troppo “solenne” il linguaggio. Questo accade più spesso nei discorsi diretti, che a volte risultano poco realistici e non immediati, assoggettati al tentativo dell’autrice di far dire ai personaggi sempre qualcosa di “storico”. E i personaggi, o meglio, il gran numero di personaggi, rappresenta secondo me un altro piccolo problema, non di struttura ma logistico: i personaggi sono tanti, come i cambio scena, e questo a volte disorienta (ma in realtà l’autrice ha pensato anche a questo, infatti ha inserito un riassunto del volume precedente e un un’appendice dei personaggi, pensando, giustamente non solo a se stessa ma ai suoi lettori che così riescono a districarsi nella marea di volti e storie).
Insomma, “Il labirinto d’ambra” è un romanzo scritto molto bene, che merita di essere acquistato e letto, curato nei dettagli e confezionato a dovere: a questo proposito un plauso va alla Plesio Editore, per la qualità dell’editing e in generale della collana, che ne garantisce la serietà come Casa Editrice! Infine una piccola nota sulla grafica: finalmente una copertina di buon gusto (personalmente la trovo bellissima e molto evocativa), nella marea di bruttissime copertine che si vedono in giro!
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L'INCONTRO TRA UNA LEGGENDA E UN BRAVO SCRITTORE
Narra la leggenda che a cavallo del 1800, un uomo bianco, proveniente dall’Europa, divenne re sull’isola di Madagascar. Alla sua morte, lasciò un deposito di 75 milioni di sterline presso la Banca d’Inghilterra, a beneficio dei suoi discendenti.
L’ultima traccia di questa leggenda è del 2001 e appare sul quotidiano “La Gazzetta di Mantova” . Numerose infatti furono le famiglie, soprattutto italiane, che reclamarono la parentela con il re ma, almeno fino ad oggi, nessun cospicuo lascito è stato riscosso e a nessuna di queste famiglie è stato riconosciuto neppure l’onore del legame di sangue.
A Francesco Grasso, autore del libro, questa leggenda ha fatto compagnia durante tutta la gioventù, raccontata da genitori e nonni, più o meno convinti della futura eredità che un giorno potranno dilapidare.
E’ in una piovosa Calcutta, nel 1828, che Francesco Claudio Maria Bonetti, giunto prossimo alla sua fine, decide di lasciare testimonianza dell’incredibile storia della sua vita. Nato in una famiglia di contadini, ma senza attitudine al lavoro fisico, compensa le sue mancate prestazioni con una dialettica straordinaria. Intelligente, furbo e affabulatore, senza un’ idea precisa del proprio destino, si farà semplicemente catturare dalle mille occasioni che gli si presenteranno, trasformando gli amici in compagni di ventura e i nemici in complici.
Grasso con questo romanzo crea una spiegazione plausibile alla leggenda del re bianco, sviluppando una storia a mio giudizio non solo credibile ma anche estremamente avvincente.
Ci racconta la figura di un uomo coraggioso e spavaldo che non avendo radici né pace, rischia inconsapevolmente di modificare per sempre le terre fertili di tradizioni e miti che lo hanno accolto.
P.S. Guardatevi il book-trailer su Youtube, un’idea geniale!
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La gestione dell'alieno
Biografia di una donna, fortissima, che, a fronte di un tumore, che è come un alieno nel suo corpo, decide di combatterlo con la medicina naturale, ricercando personalmente le cure che ritiene migliori per sé, andando contro a tutto ciò che la ragione consiglierebbe, andando contro anche alle persone che ha vicino. Rischiando, perché la partita era aperta e tutta da giocare. E vincendola. Segue le sue inclinazioni, segue la natura, segue se stessa, segue il suo istinto. Il tutto è descritto attraverso le pagine di un diario, alternate alle pagine di un diario di un anno prima, che lei stessa ha scritto durante la sua esperienza di pellegrinaggio lungo il Cammino di Santiago. Proprio in queste pagine capiamo che esiste una forte correlazione tra mente, corpo e spirito, e capiamo che il suo percorso di ricerca di equilibrio era nato molto tempo prima e che ha trovato nell’esperienza di vita che è le è capitata e che è stata in grado di affrontare e superare, il compimento e completamento. Complimenti all’autrice. E soprattutto complimenti alla donna, per la sua forza e per il senso di pace che riesce a trasmettere.
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Evapora tristezza
Due giovani donne, due giovani amiche, due giovani mamme. Questo libro racconta la loro storia, le loro paure, le loro emozioni, le loro scelte di vita. Il linguaggio e lo stile sono freschi e giovani. Nei dialoghi fra le due ragazze si percepiscono sbalzi di umore e sbalzi di emozioni che sono tipici della gioventù. Michela lotta contro un tumore al seno. Silvia scopre di aspettare un bimbo indesiderato e sceglie di non volerlo. I temi trattati sono forti, molto forti: forse in alcuni punti addirittura sono presi troppo alla leggera per come è strutturata la storia. Però la lettura è molto piacevole. Dalle pagine evapora tristezza, soprattutto nell’ultima parte del libro. Ma ciò che resta di più scolpito nella mente dopo questa lettura è la forza di un’amicizia vera.
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UN BIMBO E UN CANE.MESTAMENTE INSIEME.NN E’UN CASO
Un piccolo volume che raccoglie cinque brevi racconti.
Ciò che più colpisce è la mancanza di una seconda possibilità. Non concessa a questi squallidi personaggi, ma neanche da loro cercata o agognata.
Non sono tutti squallidi e tristi; alcuni sono soli, abbandonati e si fanno vicendevolmente compagnia.
In “La giostra davanti al mare” ci imbattiamo in Lindbergh. "Il cucciolo, rimasto solo, fiutò in un secondo il vuoto. ... Chi si sarebbe mai accorto del suo malincuore? ... S'incamminò mestamente..."
Con Valentino figlio dell'amore si incontra una sera di maggio sulla Riviera Adriatica ancora più triste e sola di loro. Diventano una coppia perfetta questo cagnolino e questo bimbo, soli insieme. Di loro sappiamo subito già tutto. E anche della solitudine delle giostre d'inverno, quando cessano le urla e l'assembramento e il divertimento, e ciò che resta è un freddo ammasso di ferro e ruggine. E capita, in quei posti, di notte, quando nessuno li anima, di vedere Irina fuggire disperata e Linbergh e Valentino figlio dell'amore, spiare nascosti e spaventati questo che scambiano per un nascondino finito male.
E il loro “nascondino”?...
“Barrìo notte” mi è sembrata una rivisitazione del primo racconto..... Insomma non vi ho trovato alcun arricchimento né interesse.
"E per dolce mangia un cuore" è sicuramente quello più stuzzicante, sia per lo stile, molto più veloce, snello, asciutto, non forzatamente ingrigito da ambientazioni puzzolenti di urina e spazzatura di stretti vicoli, ma comunque tale, da rendere molto bene l'idea del dramma che si stà consumando.
Da un lato la Roma bene, solo di facciata; dall'altro, il mondo di Teo, Livio, Ruben, fatto di lavoro e sudore, invidiosi...si, ma forse chi non lo sarebbe per un verso; ma soprattutto sprezzanti nei confronti di ciò con cui nel loro lavoro assistono ed entrano in contatto.
Io l'avrei messo come apertura al libro, perchè incoraggia nel procedere alla lettura.
E' un noir dall'esito sicuramente e finalmente non scontato anzi sorprendente, insomma si legge e accende la tua curiosità.
Del "Il rumore bianco dell'inverno" non dico nulla. Sarà che dopo poche righe avevo purtroppo letto proprio tutto.
Diciamo che leggere racconti di cui spesso sai dove si andrà a parare non è il massimo. Certo non siamo di fronte a un thriller, ma non penso sia questo il punto.
Infine un simpatico racconto, "Al Cafè Atlantico", dove assistiamo a cosa fa per vivere Luis Dimas....certamente un’idea originale….ma forse è più originale e colpisce il comportamento che l’autore vuole che i suoi personaggi abbiano. Manca completamente la solidarietà, l’empatia.
Ti resta a fine lettura davvero un sano senso di…essere solo al mondo.
Chissà se era questo l’intento dell’autore….
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Da mamma Disabilitata a mamma Perfetta
“Mamma disabilitata (…) una mamma che non può dimostrare affetto a suo figlio, una mamma interrotta, incompleta, disabilitata a trasmettere amore, l'unico vero compito previsto dal suo ruolo.”
Il titolo del romanzo è il nome che la protagonista assegna al suo diario, dove ogni giorno annota i vari progressi del figlio. Poco per volta quel diario diventa il suo migliore confidente, l'unico che l'ascolta. Lei è una donna che deve portare sulle spalle il peso di essere genitore di un bambino autistico.
Qui voglio prima chiarire un punto, che nel libro traspare pagina dopo pagina:
Un bambino autistico ha problemi nell'approcciarsi con il mondo esterno (se non ho capito male), NON è STUPIDO, NON è DA EMARGINARE, anzi e da aiutare (nei limiti delle proprie possibilità). Questi bambini, come vediamo anche nel romanzo, non amano il contatto fisico con le altre persone, non parlano molto, si fissano su determinati giochi, musiche, colori, cibi, etc... Questi sono solo alcuni esempi che ho appreso leggendo Mamma Disabilitata di Chiara Milizia.
Ogni pagina è un passo verso la consapevolezza da parte della protagonista che avere un figlio autistico non è la fine del mondo e che è inutile tentare di curarlo, di cambiare la propria famiglia per renderla perfetta. Ma qual è la famiglia perfetta? Qual è il figlio perfetto?
Iniziamo il racconto con una depressa e stressata mamma che cerca di lottare per vedere confermata con una diagnosi la “malattia” del figlio, poi interagiamo con una mamma che si sente disabilitata perché non è in grado di trovare una cura per l'autismo del figlio che non rientra nei canoni della perfezione secondo la famiglia del padre, per poi finire con una famigliola felice che ha trovato la sua serenità e che vive l'autismo in maniera diversa cercando semplicemente di rendere la vita il più semplice possibile al figlio trasformandosi nella mamma perfetta mettendo da parte i propri sogni per il benessere delle persone che ama.
Lo stile semplice della scrittrice ha reso questa storia scorrevole e per niente noiosa. Una piacevole lettura che consiglio di provare, per vedere le difficoltà che a volte la vita mette di fronte alle persone. Persone che devono essere forti, coraggiose e volenterose di darsi da fare per poter vivere serenamente.
Ho voluto leggere questo romanzo perché sono entrata in contatto con un bambino autistico. Questa famiglia viene ogni mese più o meno a fare merenda nel bar dove lavoro. Il bambino parla bene, distorce le parole solo ogni tanto ma ho visto che è fissato con le sedie, le sposta, le risposta e poi le risposta ancora. Mi sono anche accorta che non gli piace essere toccato e che tende a stare chiuso in se stesso escludendo tutto il resto del mondo. Ero curiosa di sapere che vita potevano avere quei genitori che vedevo sempre stressati, che si scusavano continuamente per i comportamenti del figlio e che (penso) per vergogna non mi guardavano mai negli occhi. Non comprendevo in pieno l'atteggiamento del bambino, ma leggendo questo romanzo mi sono resa conto che la loro vita deve essere difficile e capisco quindi lo sfogo di quella mamma con me, un'estranea, davanti ad una bella tazza di cioccolata calda con panna, la sua piccola dose di dolcezza necessaria per ricaricarsi le pile.
Ora posso dire che capisco la necessita e l'importanza di quella bevanda e ammiro quella donna che è in grado di godere di una semplice cioccolata per risanare il suo spirito e tornare a guardare con un sorriso sulle labbra suo figlio che nel frattempo stava spalmato tutta la sua cioccolata sul tavolo... è vero, dovrò poi pulire tutte le superfici, ma cosa vuoi che sia? È il mio lavoro.
Ringrazio Qlibri e Chiara Milizia.
Erica
Recensione presente anche sul mio forum.
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Sentimenti sopiti
Solo due racconti.
Appena 45 pagine.
Ma un’infusione di bontà.
Il primo dei due racconti è di Carlo Collodi, che ci mette un po’ del suo Pinocchio anche qui, ma è più immediato, diretto, sintetico, nel raccontare, in forma breve, quello che per lui è lo spirito del Natale, ossia la carità, la solidarietà, l’altruismo. La sua storia di generosità resta memorabile, così come sembra di vederli quei tre fratellini (Luigino, Alberto e Ada), figli di una famiglia più che benestante, i quali approdano verso la vita reale con una nuova consapevolezza, che si tramuterà in maturità soltanto per uno di loro.
Mentre nel secondo racconto, la storia, sempre natalizia, scritta da Eleonora Mazzoni, nota attrice italiana, introduce un tema diverso: l’integrazione. È dunque un racconto più attuale, contemporaneo. La protagonista è una donna anziana, forse un po’ troppo sola che la sofferenza e le vicissitudini della vita hanno indurito. Ma non è totalmente insensibile al cambiamento. È come se ci fosse uno spiraglio, una porta che può essere abbattuta dalla tenerezza di un bambino, troppo nero.
Un libretto che parla al cuore di ognuno di noi, risvegliando sentimenti sopiti dalla fretta della quotidianità.
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L’UNO, L’INIZIO E L’INDIVISIBILE.
Un cadavere completamente nudo, con un sacchetto di plastica sulla testa.
Una scala.
Un libro, Bel Ami.
Una frase.
La scena si ripete per ben quattro volte davanti agli occhi della polizia di Bologna, l’unica cosa che cambia è la frase lasciata dall’assassino: frasi apparentemente non legate tra loro, che si riferiscono a cose e persone lontane nel tempo, semplici citazioni o meri indizi?
In una calda e afosa estate bolognese, il commissario Scozia, coadiuvato dalla giovane dottoressa Fiorentino, si trova a dover indagare su un caso particolare, che inizialmente sembra legato a futili motivi passionali, ma poi, piano piano, assume connotati del tutto inaspettati.
Una storia di vendetta, risentimento e odio, covato per lungo tempo ed esploso in tutto il suo fragore con una freddezza di anima e di spirito da parte dell’omicida, equiparabili solo ai killer più spietati.
I capitoli brevi e il loro alternarsi nel descrivere la vicenda fulcro dell’indagine di polizia e i fatti personali dei principali protagonisti del libro, portano il lettore a immergersi piacevolmente nella lettura di questo poliziesco noir a tinte giallo e rosa.
Una nuova piacevole scoperta tra i nostri autori italiani che può tener piacevolmente compagnia per qualche ora! Buona lettura!
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No Time No Space another Race of Vibrations
Una copertina raffigurante un bambino con un mantello e il suo scudo fatto di occhiali da sole scintillanti,come un piccolo eroe in incognita.
Un passato rimosso per un futuro vergine.
..e giunse una nave,due persone con un presente riscrivibile e l'unico barlume del passato in una lettera perduta..
In un luogo indefinito,misterioso,incollocabile ed in un tempo altrettanto sfuggente approdano David,ragazzino perspicace ed un uomo, Simón , che si prenderà carico di proteggerlo,di accudirlo come un padre.
In questa nuova terra aleatoria chiamata Novilla,in cui entrambi arrivano disadorni del passato,privi di ricordi,storditi dalla spoliazione della conoscenza di ciò che il tempo ha creato in loro, cercheranno di adattarsi e di ricostruirsi una nuova identità nella ricerca della madre.
La cittadina si presenta come un vero e proprio porto di mare ma nel contempo come una società radicata in una razionalizzazione dei valori che la sostiene e con una struttura organizzativa a cui tutti partecipano in maniera quasi surreale,metodica,con un etica asettica e priva di istinti,di passioni e della fragilità umana che potrebbe metterla in discussione.
Anche se in teoria cominciano una nuova vita la sensazione che aleggia é che questa nuova vita sia un limbo momentaneo,una stazione che da tempo li aspettava ma nel contempo una tappa frugale
David si presenta come un bambino che con il suo acume metterà in discussione e scompiglierà chi gli é accanto e nel suo dispotismo,a tratti scalpitante,terrà le briglie di gran parte del racconto.
Navilla,forse, é un luogo dentro di noi dove il bisogno di chiederci chi siamo è forse la più grande spinta verso una vita più intensa,la forza motrice della nostra nave,il bisogno di non accettare passivamente la realtà imposta senza poter prendere il respiro errante che meritiamo
Nel suo porto,nel nostro embrione quel bambino indisciplinato,curioso,insaziabile che non vuole accettare regole,una creatura da accudire per il futuro,per la libertà di pensiero.
Lui con il dito in bocca e il vivace mantello diviene mago del nostro l'immaginario e l'eroe coraggioso a cui vorremo appellarci per destrutturare i nostri stessi schemi e volare verso una luce più autentica per noi stessi.
E visto che il nostro ribelle paladino ha imparato a leggere con il capolavoro di Miguel de Cervantes,a me piacerebbe leggere con lui e con voi questo passaggio..
“Anche oggi? – Chiese Sancho.
- Anche oggi. – Rispose Chisciotte.
Il vento spazzava le terre brulle, sembrava quasi che ululasse i loro nomi.
I mulini iniziarono a delinearsi all’orizzonte, Chisciotte si aggiustò il catino in testa. – E andiamo un’altra volta.
- Mi perdoni vossignoria.
- Sì, Sancho?
- Ecco, io sono ignorante e non conosco troppo le cose, ma mi chiedevo… Ecco… Insomma chi ce lo fa fare?
- Cosa?
- Tutto questo: ripetere eternamente tutti i giorni lo stesso giorno.
- Ma noi non ripetiamo tutti i giorni lo stesso giorno, ieri abbiamo ripetuto ieri, oggi ripetiamo oggi e domani ripeteremo domani, è questo che facciamo tutti i giorni.
- Quello che intendevo dire è che ieri abbiamo cavalcato fin qui, voi avete visto il mulino, avete urlato ‘Un gigante’, lo avete caricato e siete stato colpito dalla pala. E questo è successo anche l’altro ieri e il giorno ancora prima e sta per succedere anche ora, non negatelo.
- Ma quello non era ieri o ieri l’altro, era… Beh oggi, ma prima.
- E’ quello che dico io, continuiamo a rivivere sempre la stessa storia, mai un cambiamento.
- Noi non viviamo una storia, viviamo una vita."
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Cartoline e frammenti di una storia da ricostruire
Ottimo romanzo giallo, inizialmente ambientato a Torino e dintorni, ma destinato a spostarsi nella storia della città eterna.
Mi è piaciuto molto il giallo L’UOMO CON LO ZAINETTO di Luigi Schifitto che ha saputo calibrare la suspense, orchestrando ad arte le strategie narrative.
Il romanzo inizia seguendo un uomo misterioso con, in spalla, un evidente zainetto rosso. Sarebbe subito stato notato se non si trovasse a Torino, città universitaria, ormai abituata a ogni stravaganza. L’uomo è un feroce assassino, pur non avendone l’aspetto. Al lettore è data l’opportunità di seguirlo nelle sue malvagie azioni premeditate, ma non di comprenderne il perché, fino a quando gli omicidi non sono ormai diventati troppi.
Non è soltanto il numero a fare di lui un serial killer e, quindi, a colpirci, ma la fantasia e il modus operandi personalizzato di ogni efferato delitto a lasciare un segno e ad acuire l’interesse del lettore che si trova davanti a un personaggio negativo, complesso e a tutto tondo. Anche l’aspetto psicologico non è sottovalutato.
L’omicida, grazie alle sue “doti”, domina la scena ma, a ruotare intorno alle sue azioni, c’è il commissario di polizia Stefano Cavalli, affiancato dalla sua squadra.
A legare subito tra loro omicidi che appaiono tanto diversi, ci sono delle cartoline di Roma che tracciano un percorso che ricostruisce una storia nella STORIA.
Ingegnoso il modo di narrare le vicende, le indagini del presente per ricostruirne il passato, mentre uno strategico filo conduttore analizza con occhio critico le azioni dell’enigmatico serial killer.
Un romanzo scritto con competenza tecnica e dovizia di particolari, che riesce a risultare avvincente e coinvolgente. Un’ottima lettura anche per i lettori più esigenti del genere giallo contemporaneo.
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L'analfabeta che sapeva contare
Avvicinandosi a questo libro ci si avvicina alla follia, all'irrealtà e al divertimento più puro.
Fin dalle prime pagine si respira un'aria strana, ci si rende conto che ad essere raccontato è qualcosa che trascende la realtà e che si pone in quella dimensione in cui stazionano i cartoni animati, dove ogni legge della fisica è dimenticata e dove i personaggi sono al limite dell'umano, in cui le caratteristiche peculiari di ognuno sono portate all'estremo creando delle situazioni esilaranti.
Jonasson riesce a scrivere un romanzo nel vero senso della parola, poiché non è presente solo l'intricatissima trama all'interno dello spesso volume, ma è raccontata la storia di almeno due paesi, il Sudafrica e la Svezia con alcuni accenni ala Cina e ad Israele.
Già da questi pochi elementi si può intuire quanto sia necessario sospendere l'incredulità, se poi si aggiunge che la protagonista, una analfabeta nera si troverà su un camion di patate con il re e il primo ministro di Svezia in compagnia di una bomba atomica e due fratelli gemelli, allora si capisce che il rischi di creare un disastro letterario è più concreto, troppi elementi, troppa carne al fuoco, troppa fantasia; ma il miracolo, invece si compie e pagina dopo pagina si delineano dei personaggi che nella loro estrema unicità riescono a risultate veritieri se posti in quella particolare dimensione e i rapporti tra essi divengo fluidi, così come i dialoghi raffinati e veloci che regalano un ritmo serrato. I personaggi minori sono comunque ben tratteggiati, i Mossad, il presidente della Cina, sono descritti con una lievità che non possono non suscitare l'interesse e l'empatia nonostante tutto.
Quindi il lettore fa un lungo viaggio che lo porterà a conoscere il Sudafrica dell'apartheid e la Svezia in un arco di tempo che compre cento anni e più.
La carta vincente di questo romanzo oltre alla trama che non può non coinvolgere è l'ironia con cui l'autore riesce a infarcire ogni singola parola, ogni dialogo e attraverso questa leggerezza racconta i drammi che hanno attanagliato il mondo, esprime le sue opinioni nascondendole tra gli spazi bianchi delle righe.
Una lettura piacevole, che non vuole innalzarsi un livello superiore di ciò che si prefigge, insegnare qualcosa intrattenendo e divertendo.
Consigliato per trascorrere qualche giorno divertendosi.
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E INVECE NO...
“La cosa meccanica” lo trovo un gran bel titolo. E’ versatile. Potrebbe riferirsi ad un saggio sulla rivoluzione industriale o ad una metafora sull’uomo….
Sulla copertina appare l’immagine di un tosaerba e leggendo la trama del romanzo si scopre che Carlo trascorre le sue notti rincorrendo questa cosa meccanica sui pendii della montagna, seguendo le sue chiazze di olio e il forte odore di bruciato. Potrebbe quindi essere che alle spalle di tutto questo mistero ci sia un’accusa ambientalista….
E invece no…
Poco distante da Carlo abita Anna. Bibliotecaria e mamma, è sposata con un uomo violento, ossessivo e totalitario che nel corso degli anni ha dissolto i desideri della moglie lasciandole solamente la gioia di una casa bellissima. La gelosia di Nicola si riversa su di lei fisicamente e psicologicamente e come anticipato dalla trama, sarà proprio Carlo a salvarla. Pensi dunque ad una coinvolgente e travagliata vicenda romantica.
E invece no….
Mario Lagostina ha scritto un libro senza genere, senza casella nei miei pensieri dove archiviarlo. E’ quel tipo di storia in cui quando pensi “ho capito…”, giri pagina e il mondo si sovverte.
Il rischio di un autore che sceglie di scrivere una storia che si trasforma e che evolve sino a diventare tutt’altro è elevato. Può incontrare i gusti di chi ama la sorpresa, il fascino dell’improbabile e l’abilità di risultare comunque credibile ma allo stesso tempo scontrarsi con le critiche di chi potrebbe trovare questo intento assurdo e di poco valore.
Io amo molto i libri che mi spiazzano, ma esclusivamente se scritti bene. E questo libro lo è. Lo è l’ambientazione e lo sono i personaggi. Avrei solamente preferito che la parte del romanzo che modifica la percezione della lettura, fosse stata più lunga, pur riconoscendo che le poche pagine dedicate a questa parte contribuiscono alla sorpresa stessa.
Se l’autore deciderà di scrivere altrI romanzi, di certo lo seguirò.
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Passione senza moderazione
“Wolf’s Eyes” racconta la storia del giovane Stray, un italiano dal passato misterioso. Esperto di arti marziali e pratiche orientali, logorroico e simpatico appassionato di heavy metal, il ragazzo porta con sé i semi di un disastro planetario, ma ancora non lo sa. Il suo viaggio negli Stati Uniti, in una California che non lo accoglie esattamente a braccia aperte, gli porterà l’amore ma, soprattutto, la scoperta delle sue vere origini. Il potere risvegliato dentro di lui è però il veicolo dell’Apocalisse, una guerra divina iniziata prima che la memoria dell’Uomo potesse registrarla. Riuscirà a impedire la catastrofe e a salvare le persone a cui tiene?
La scrittura di Antonio Moliterni è acerba, ancora adolescenziale. Frequento il mondo delle fanfictions (storie scritte dai fans basate su fumetti/film/libri già esistenti) da molti anni, e il livello qualitativo medio nell’ambiente è proprio quello che ho ritrovato in questo libro. Una storia scritta con passione ma ben poca maestria.
Il lato positivo di questo romanzo è che è stato scritto con sincerità. E’ palese in ogni riga come l’autore ami la sua storia, la senta propria e la racconti senza artifici letterari, per il puro piacere di condividere la propria invenzione fantastica. Questo, purtroppo, non rende meno pesanti i difetti di “Wolf’s Eyes”.
La trama si fonda su cliché ormai conosciuti, benché sia interessante l’idea di creare una mitologia primordiale precedente la creazione del genere umano. I personaggi principali, per quanto simpatici, più che seguire la propria psicologia si piegano agli eventi per come li ha decisi l’autore. I personaggi corollari, poi, sono incarnazione di “tipi” talmente prevedibili da poter essere etichettati senza sforzo al primo incontro.
Gli errori sintattici sono molti e ingenui, e su questo punto la mia critica va anche all’editore, che non ha evidentemente fatto alcun lavoro di editing sul romanzo. Si nota anche dai numerosi segni di “a capo” rimasti in mezzo al testo dopo l’impaginazione finale e altri refusi sparsi qua e là.
I dialoghi oscillano pericolosamente tra due estremi che hanno ben poco a che spartire e che rendono frammentaria l’atmosfera di questo fantasy.
Nei momenti scanzonati, infatti, le battute si sprecano, in un insistere su un sense of humor molto personale che non avrebbe dovuto essere così imposto, in quanto non tutti i lettori possono viaggiare sulla stessa lunghezza d’onda dell’autore, né aspettarsi ironia (per quanto simpatica) ogni volta che uno dei personaggi apre bocca. La storia è ambientata quasi per intero negli Stati Uniti d’America, ma il gergo, le frasi fatte e gli atteggiamenti sono decisamente italiani.
Quando l’autore abbandona il dialogo pungente e amichevole, si cade in una serietà da saggistica portata all’estremo. Il più grave difetto di questa storia, infatti, sta nell’uso che Moliterni fa delle proprie passioni, infilate a forza all’interno della trama. L’interesse per la matematica, per la statistica, per l’heavy metal, per il significato dei nomi, per le discipline orientali…Tutto è stato riversato nel romanzo come in un grande calderone.
Ora, lungi da me criticare la decisione di parlare di ciò che si sa. Ho sempre pensato che sia un’ottima strada da seguire, soprattutto per uno scrittore emergente, in quanto più facilmente darà sapore di verità alla sua prosa e concorrerà a farlo esprimere al meglio. C’è modo e modo di utilizzare le proprie passioni ai fini della storia, però, e Moliterni si concede il peggiore. Il protagonista, infatti, diventa un’enciclopedia vivente che ad ogni minima sollecitazione ambientale si lascia andare a filippiche lunghe pagine intere in cui sciorina con dovizia di particolari nozioni specifiche slegate dalla narrazione, anche se in parte applicate poi allo sviluppo della trama. Il fatto che persino i personaggi corollari lo prendano in giro per questo suo modo di fare, non aiuta a renderlo meno pesante.
Ingenuità di chi forse scrive per la prima volta e deve ancora fare molta esperienza come narratore.
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Dopo la caduta la rinascita
Rita Riboldi insegna Lettere all’università.
È una donna perfettina, che non sgarra mai in niente, non si veste mai in maniera vistosa, non esce con nessuno, non ha amiche su cui fare affidamento, un uomo con cui parlare e la sorella minore le ha lasciato la madre in casa.
Rita è rimasta zittella per colpa della madre che la fa letteralmente impazzire con le sue domande sulla sua vita privata, troppe volte la tratta come se fosse ancora una ragazzina, ma Rita non ne può più ed un giorno accade un fatto strano.
Rita un brutto giorno cade rovinosamente all’università e con questo fatto la sua vita cambierà.
Si sentirà umiliata e derisa, ma in lei scatterà qualcosa che le farà capire i suoi errori.
Capirà il perché di tutta la sua rabbia repressa, agli occhi degli altri potrà anche sembrare una pazza, ma in realtà Rita non è pazza è solo arrabbiata con tutti perché nessuno riesce a capire la sua indole.
Incontrerà nuovamente il suo ex ragazzo il quale scoprirà le varie sfaccettature di questa donna che prima conosceva solo superficialmente.
Rita si arrabbierà con tutti ed una notte avrà anche un incontro al buio con una donna.
Questa nuova avventura che la ha riserbato il suo destino le farà comprendere molte cose del suo carattere.
In fin dei conti Rita anche se è una donna, dentro di sé si comporta ancora come una bambina e spesso tutto ciò non viene compreso da chi le sta intorno.
Si tratta di un libro ironico, scritto con brio e semplicità.
La storia è divisa in quattro parti, le stesse sono divise in capitoli brevi che incoraggiano il lettore a terminare il libro nel più breve tempo possibile.
Che altro posso dire?
Rita è un bel tipino non c’è da scherzare con lei perché quando c’è qualcosa che non va le cose te le dice in faccia ed ultimamente è diventata anche un po’ sfacciata, ma sicuramente è un personaggio molto interessante.
Sicuramente vi consiglio la lettura di questo breve romanzo.
Buona lettura!
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Soffi spinosi
La raccolta consta di 45 poesie, componimenti molto brevi che - seppur non rispettando la rigorosa metrica nipponica- riconducono all'effetto di un haiku giapponese.
Pochi versi, asciutti, puliti, semplici, incisivi.
Ma se la lettura e' estremamente rapida, potrebbe essere anche naturalmente infinita : la necessita' avvertita dopo una prima contemplazione e' di ripetizione, si ha voglia di tornarci, di riassaporarle.
Non sono esperta di poesia e non so dare un giudizio critico sull'opera ma un giudizio umano, dei sensi sì.
Il mio parere si condensa come fiato caldo sul vetro freddo nell'immagine di un soffio.
Un soffio innocuo che come queste poesie riesce pero' ad avere un effetto concreto : un soffio al cuore e' doloroso, un soffio negli occhi e' fastidioso, un soffio all'orecchio e' eccitante.
Un soffio di poesie per raccontare l'amore che graffia, l'amore che sotto a petali scarlatti lima le sue spine appuntite.
"Rimase
solo la luna
pesante e grassa.
E il dolore
Da gettare ai cani."
Buona lettura.
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IO CI PROVO... UN RISCHIO ?
Cosa succede se decidi di trasgredire a delle regole che accomunano il gruppo di persone in cui vivi? Quali i rischi? A cosa si può andare incontro?
Ecco una bella e semplice favola che ci parla proprio di questo.
E' una piccola Alborella del lago di Como, il pesciolino che sarà portato a comportarsi diversamente dal suo gruppo, perchè attrattatto da qualcosa di interessante.
Non è che stesse male...no! Voleva solo provare piacevoli sensaziooni...ma la presenza di un Cormorano metterà in discussione la scelta del povero pesciolino...quale la sua fine?
Interessante la figura umana che compare nel racconto con una saggezza davvero inaspettata e importante...e che ho veramente apprezzato.
E con questa semplice favola, i bambini possono riflettere sul fatto che non sempre si può avere tutto, che è fondamentale accettare e rispettare le regole e che per realizzare un obiettivo o un sogno bisogna saper aspettare.
Molto belle per me le favole che hanno come protagonisti animali...è sicuramente un modo d'insegnamento accattivante e attraente per i bambini, specialmente per i più piccoli.
Ringrazio la qredazione e l'autrice Paola Righetti, per questa gradevolissima lettura!
Pia
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