Le recensioni della redazione QLibri
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Conquista i Reami
È una storia che prende spunto dalla quotidianità dell’autore, AUSTIN GROSSMAN, esperto game designer, e la carica di una dominante componente virtuale con atmosfere thriller.
Russell, il protagonista alter ego di Grossman, in YOU CREA IL TUO DESTINO, parla in prima persona e ci porta nel mondo dei designer di videogiochi. Non ci può credere nemmeno lui, quando la Black Arts Games, società informatica, lo assume ed entra nel mondo creativo dei videogames, un luogo di programmazione virtuale che lo travolge e lo entusiasma. Superare le frontiere della tecnologia e dell’intrattenimento è il credo del gruppo di creativi, veri e propri, eccentrici nerd, con i quali Russell dovrà fare i conti. Il mantra della società è: superare le frontiere della tecnologia.
Come in ogni romanzo, c’è un “ma”. Non tutto è perfetto. La curiosità di Russell lo rende vulnerabile in quel mondo che tanto ama. L’ammirazione per Darren, uno dei due designer fondatori della società, porta Russell in una inaspettata situazione di pericolo. C’è qualcosa che non torna nella misteriosa morte del socio di Darren, Simon, e la curiosità di Russell lo porta a volerci vedere chiaro. Russell conosceva entrambi, prima che fondassero la società che li ha portati al successo.
C’è un problema anche nei piani della società. Infatti, il rivoluzionario titolo next-gen, su cui la Black Arts lavora, è minacciato da un enigmatico glitch del software, e Russell si ritrova in una corsa contro il tempo per salvare il suo posto di lavoro, l'eredità della Black Arts e le persone a cui si sente sempre più legato. Questo bug è il primo indizio di un mistero che risale a vent’anni prima e che attraversa mondi reali e virtuali, sale riunioni e computer camp del liceo, fino a sfociare in un segreto che ha cambiato un’amicizia e la storia del gaming. Più il protagonista scava a fondo più il glitch appare pericoloso e presto Russell finisce per rendersi conto che in ballo c’è molto di più del futuro dell’azienda di software.
Mentre il mistero si infittisce, il lettore viene catapultato in una realtà “aggiunta”, quella dei linguaggi di programmazione e del mondo virtuale, di cui ha solo sentito parlare, ma che appare incredibilmente fantastica.
Questo romanzo, dallo stile scorrevole, dalla trama semplice, ma intensa, appassiona. Come prodotto finale, risulta avvincente perché ben scritto. Rappresenta una descrizione emozionante, uno spiraglio privilegiato nel mondo degli addetti alla creazione dei videogame, tracciato con un tratto ironico e autentico.
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Senso umano: zero
Il dolore non è un fine, ma un mezzo per esercitare il potere dell’uomo sull’uomo: è la lezione di George Orwell, che ormai non possiamo più dimenticare e che ritroviamo in questo romanzo dall’obiettivo ambizioso: raccontare il passaggio dalla teoria alla prassi, dall’atmosfera rarefatta della scienza alla quotidianità. Il dominio, soprattutto nei confronti del corpo e della psiche femminili, è l’autentico protagonista della storia, anche se la storia brulica di personaggi che intrecciano una trama complicata di età e vissuti.
Fin dai suoi primi anni, la psicoanalisi ha ispirato una vasta produzioni lavori e capolavori artistici, non solo in ambito letterario: non ha importanza se la materia è molto più complessa di quanto possa sembrare, e se troppo spesso gli autori si illudono di padroneggiarla. Il romanzo esordisce brillantemente su questi presupposti, attraverso due personaggi femminili che agiscono e vivono ai lati opposti della violenza: la ricerca della consapevolezza attraverso lo studio e la riflessione da parte di Clara; la sottomissione e la sofferenza di Wanda. Riuscirà Clara ad aiutare Wanda? La teoria si trasformerà in pratica? La scienza può esprimersi in forma narrativa?
La storia ci offre una gran varietà di spunti e di ambienti, di epoche storiche e di personaggi, di raffinate citazioni e di crudezze, che promette molto ma non mantiene fino in fondo. I personaggi femminili, in particolare, risultano opachi, spesso contraddittori, incapaci di suscitare l’identificazione del lettore. La narrazione è discontinua, povera di connotazione: non arriva a costruire un ritmo definito e ad assecondare la drammaticità degli eventi. Il sangue c’è ma non si sente: il passaggio dalla teoria alla prassi rimane incompiuto.
C’è troppa carne al fuoco in quest’opera che spazia dallo studio di Freud agli interni di una pizzeria, dagli orrori del nazismo ai problemi dell’invecchiamento: questo è il limite ma anche il pregio di un’opera che non scorre facilmente, ma ha il pregio di stimolare la curiosità e la riflessione. Un romanzo da provare, non soltanto per i suoi pregi.
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La ferocia di Nicola Lagioia
“L’agnello crea la tigre facendosi mangiare da lei” – queste le parole che Michele, uno dei personaggi salienti dell’ultimo romanzo di Nicola Lagioia “La ferocia”, rivolge alla sorella Clara, ed è in queste parole il vero significato dell’opera.
Non è forse facile per chi ancora nutra delle illusioni sulla condizione in cui versa l’umanità oggi, accettare il quadro che Lagioia dipinge di una parte di quella società che costruisce sull’inganno, sul raggiro, sulla disonesta gestione dei fondi dello stato, il proprio benessere e la propria ricchezza, senza esitare a servirsi persino della complicità di alcuni rappresentanti delle istituzioni.
La storia della famiglia Salvemini, di Vittorio e Annamaria e dei quattro figli, Ruggero, Clara, Michele, Gioia, si svolge in una delle parti più belle del territorio pugliese, sottoposto troppo spesso alle speculazioni e allo sfruttamento da parte di imprenditori senza scrupoli, dei quali Vittorio è importante esponente.
Il dramma che travolge l’intera famiglia ha radici antiche, nasce dal desiderio di elevarsi nella scala sociale, acquisendo potere attraverso il denaro. In questo ambiente, dove i figli nascono e crescono nell’abbondanza, l’inarrestabile ambizione dei genitori cancella ogni manifestazione d’amore e di rispetto. Annamaria, moglie tradita e offesa di Vittorio, accetta di allevare il figlio illegittimo del marito, celandosi dietro un atteggiamento di grande generosità che susciterà la gratitudine del coniuge e sarà sicuramente la carta vincente che le consentirà di conservare gli agi e i privilegi ai quali si è abituata.
Ed è proprio intorno alla figura di Michele, il bastardo, e Clara, la sorellastra poco più grande, che si scatenano le tensioni più laceranti. Tra loro si instaura un rapporto di intima complicità, un vincolo affettivo profondo e controverso.
È sempre l’amore a essere messo in discussione. Laddove esso non riesce a esprimersi o non può realizzarsi, non c’è speranza per l’individuo. Ciò determina la disperazione e lo squilibrio psichico di Michele, privato dalla nascita dell’amore materno, ciò determinerà il disperato autolesionismo di Clara, che si perderà in rapporti avvilenti e degradanti, non per vizio, ma per una spasmodica volontà di punirsi.
Fondamentale in questa storia è il rapporto padre-figli: un padre che mente a se stesso e si convince di aver sempre agito solo per il bene della famiglia e non spinto dall’ambizione e dall’avidità e dei figli che lo disprezzano, ognuno a suo modo, ognuno per ragioni diverse.
Sullo sfondo di questa tragica storia, il degrado ambientale, le verità taciute, le connivenze sospette e celate.
La realtà descritta da Lagioia , tuttavia, oltrepassa i confini del nostro paese, essa diventa, io credo, metafora della condizione verso cui il mondo va rovinosamente e progressivamente dirigendosi. Più che un romanzo di denuncia che si serve abilmente della tecnica del noir che coinvolge e appassiona il lettore, “La ferocia” è un vero grido d’allarme, perché si possa cambiare rotta, finché si è in tempo. Un romanzo che ci riporta al significativo, quanto angosciante Urlo di Munch.
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La più perfida delle soluzioni
Fa rima con cuore, è la più perfida delle soluzioni e la più liberatoria delle trappole: stiamo parlando dell’amore, ovvio. Si lascia leggere senza troppe difficoltà questo romanzo in cui predominano i toni rosa, grazie alla narrazione gradevole, sostenuta da un ritmo vivace e dalle solide fondamenta di una storia autentica, trasformata in romanzo da una passione sincera.
Nonostante la passione e lo stile fluido, la qualità della scrittura è discontinua: si inciampa nelle contraddizioni, nelle inverosimiglianze. Abbondano inoltre i corsivi, che sottolineano il peso di riflessioni e suggestioni e morali di una fiaba dal finale dolce e che troppo spesso cadono nel caramello scontato:
“Quando ami davvero qualcuno, sei in grado di scalare una montagna, superare un oceano, digiunare per giorni o gettarti nel fuoco, pur di averlo vicino”.
I sintomi dei malesseri adolescenziali sono stati già scritti e già visti, ma non mancano le sorprese, gli spunti forti. Forti le inserzioni che fanno riferimento alle vicende reali che hanno ispirato l’opera e che contribuiscono a dare spessore alla trama. Forte il personaggio di Enrica, con le sue barzellette scientifiche e la sua vivacità. Forti le descrizioni delle crudeltà burocratiche: il lettore può assaporare il gusto amaro e devastante dell’ingiustizia.
La storia comunque trascina, anche se l’interiorità dei personaggi è spesso opaca, anche se infastidiscono le ingenuità tra cuore e amore e ricordi e fughe e sogni. Una lettura comunque consigliabile, soprattutto a chi ama il rosa e la commozione, l’azione e il sentimento, la lacrima pesante e l’ironia lieve.
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Cuore primitivo
Da pochi giorni è possibile leggere l'ultimo romanzo di Andrea De Carlo, “Cuore primitivo”.
Ad una primissima analisi, il romanzo appare proseguire le riflessioni dell'autore intorno alla società attuale, le cui basi sono state ben gettate con il precedente “Villa Metaphora”.
Tuttavia in questa prova narrativa De Carlo sembra perdere il bandolo della matassa o meglio, sembra avventurarsi lungo un percorso senza averne delineato a sufficienza le tappe.
Siamo veramente lontani un abisso dalla complessità di costrutto del precedente romanzo, siamo in una terra di mezzo in cui s'intravvede luce all'orizzonte ma si fatica a veleggiare.
Antropologo lui, scultrice lei, sono le due figure trainanti dell'intero racconto; una coppia il cui rapporto si è raffreddato, un piccolo paese ligure, una vacanza estiva, incontri imprevisti.
La narrazione langue fin dalle prime pagine, gli eventi sono stereotipati e prevedibili, le incursioni dell'autore su tematiche antropologiche e sociali sono fredde e didascaliche.
Un romanzo mal congegnato, in cui i personaggi anziché seguire un processo di evoluzione, sembrano involvere arrancando sul terreno melmoso della mediocrità.
Tra gli argomenti seminati tra le righe ma incompiuti vi è quello della propensione naturale dell'uomo a determinati comportamenti, insomma quel cuore primitivo che dà titolo al romanzo e di cui sarebbe stato interessante approfondirne gli aspetti sul piano umano e sociale.
Un'occasione perduta per De Carlo per continuare a raccontare un pezzo di attualità, per scavare in profondità nel cuore primitivo dell'uomo; l'operazione non vuole essere semplice tuttavia il lettore cerca questo tra le pagine di un libro, cerca vita e calore, cerca sentimenti ed emozioni.
La stesura di questo ultimo romanzo appare figlia della fretta, generando una mole di pagine che se passate al setaccio lasciano pochissimi granelli di riflessione.
Attendiamo De Carlo alla sua prossima prova, in quanto le sue capacità narrative non si esauriscono qua, ma possono confezionare romanzi di ben altra fattura.
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I giorni dell'eternità.
Il tanto atteso “I giorni dell’eternità” è l’ultimo capitolo della nota e complessa trilogia “The Century” di Ken Follet. In 1224 pagine il britannico si mette a dura prova, lecito è il quesito: sarà all’altezza delle aspettative dopo la realizzazione di due altrettanti tomi sulla storia del ‘900, romanzi di altissimo livello, dettagliati nel midollo, argomentati con maestria e delineati con la penna di uno dei più grandi autori del nostro tempo, o sarà vittima; come per molti altri scrittori, della maledizione del terzo e conclusivo volume con epilogo relativamente soddisfacente?
Sin dalle prime pagine il ritmo è incalzante e scorrevole, Follet non lascia spazio ai dubbi e per il lettore è esattamente come rimettere il play nel dvd messo in pausa durante la visione per quella piccola interruzione che come sempre giunge sul “più bello”; il romanzo riparte senza sbavature a pochi anni di distanza dal punto in cui si è interrotto con la ormai ventinovenne Rebecca, insegnante di lingua Russa in un istituto scolastico, convolata a nozze con Hans, un uomo che credeva essere un funzionario del Ministero di Giustizia tedesco. L’impostazione è la medesima: le 5 famiglie che conosciamo sin da “L’a Caduta dei Giganti” ci accompagnano anche in questa avventura ma diverso è lo scenario poiché sono abbandonati i temi delle Grandi Guerre presenti rispettivamente nel primo e secondo capitolo dell’opera e sono abbracciate le tematiche della Guerra Fredda, dei diritti dei neri, la caduta del muro di Berlino, la guerra del Vietnam, la dipartita del regime comunista fino ad arrivare ai giorni nostri.
Le problematiche non sono affrontate singolarmente, anzi! Lo scenario costruito riesce ad abbracciare più realtà, ad esempio, mentre da un lato l’autore narra della vicenda dei missili di Cuba del 1962 introducendo il personaggio di Fidel Castro e riportandoci a ritmi serrati le decisioni del presidente Kennedy e quelle del Primo Segretario Nikita Sergeevi? Chruš??v alternando la narrazione tra i due universi, dall’altro ci descrive la lotta dei diritti mediante la spiccata personalità di Martin Luther King (sin dalle piccole conquiste quali il sedersi liberamente su un autobus o l’aver diritto agli stessi bagni delle persone non di colore) o ancora ci offre un panorama senza mezze misure delle due Germanie così come ci mostra una Gran Bretagna dinanzi alle sue prime riforme post conflitti mondiali; una Inghilterra dove la ormai settantaquattrenne Ethel Williams poi Leckwith, lei che era una semplice governante ragazza madre, fa il suo esordio da pari promuovendo i diritti degli omosessuali, il tutto con la premessa ed il ricordo di Robert Von Ulrich il carismatico ed apprezzato gay tedesco scappato ne “L’inverno del Mondo” dalle persecuzioni naziste. Molti di voi che hanno letto le precedenti opere diranno che Follet ha sempre trattato più scenari contemporaneamente, è vero, ma in questo caso diversa è l’impostazione con cui si accinge a farlo. Non sono più i grandi paragrafi che conoscevamo, non intercorrono più un centinaio di pagine tra ciò che accade in Germania e ciò che accade negli Stati Uniti, le decisioni del presidente Kennedy sono alternate immediatamente a quelle di Nikita Sergeevi? Chruš??v: il lettore non si trova nel 2014 quando legge ma nel 1962 e percepisce sulla pelle le difficoltà di quel periodo e di quelle disposizioni.
Per semplicità di inquadramento l’opera può dirsi simbolicamente suddivisa in tre blocchi: una prima parte dove la tensione si taglia con la lama di un coltello ed è la predetta fase iniziale della Guerra Fredda, una seconda dove si crea una sorta di apparente situazione di stallo in cui tutti gli avvenimenti salienti degli anni ‘70/’80 scorrono incalzanti e dove sembra che mai potrebbero crearsi i presupposti per la fine del silente conflitto ed una terza dove muta completamente lo scenario e si aprono le prospettive della rinascita da un lato e di quei conflitti che porteranno all’attuale situazione mondiale dall’altro. Non solo, Follet riesce a mettere in evidenza anche i limiti delle super potenze che da molti sono idealizzate (es. la forte ritrosia nutrita nei confronti delle persone omosessuali e le lunghe ed osteggiate lotte per l’affermazione di qualsiasi diritto riconosciuto non da meno la cura dell’AIDS).
E’ dunque un romanzo in cui tutti possono rispecchiarsi; dai più giovani che hanno il vago ricordo di quel che è stato “Il Muro”, ai più grandi che non possono dimenticare gli anni delle censure musicali e letterali ma nemmeno dei conflitti che si sono spostati sul versante asiatico o ancora del Primo uomo sulla Luna.
Pur restando la inequivocabile penna di Follet il linguaggio si depaupera delle formalità tipiche dei primi del Novecento e degli anni ’40 giungendo ad essere più vicino alle epoche in cui è ambientato: muta in relazione allo scorrere del tempo.
A mio modesto giudizio il romanzo è ben costruito, completo ed esaustivo. Rallenta leggermente nella parte centrale, cosa che credo sia comprensibile vista la mole e le “questioni” trattate. Ne consiglio la lettura a tutti, non solo a chi ha letto i precedenti volumi perché lo scrittore riesce a spiegare la storia in modo da farla apprezzare anche a chi non è amante del genere e soprattutto perché permette al lettore di farsi un’idea sua, non influenzata dalle parole di chi scrive. La persona che si accinge a sfogliare le pagine di questa trilogia, riscopre passaggi del nostro passato a cui non aveva dato peso o che semplicemente non erano stati trattati nel percorso scolastico formativo o che meramente non era ancora in grado di notare a quel tempo. E’ un’opera minuziosa nella sua costruzione ed emblematico è il finale: il romanzo si conclude nel 2008 con le elezioni del primo presidente di colore. Dove? Nella retrogada America. Il traguardo più grande della storia americana.
La risposta al quesito iniziale? Si. Follet mantiene alto il livello della Trilogia anche nel suo epilogo e non delude le aspettative del fedele lettore.
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- L'inverno del Mondo
- A tutti.
Donna Fòscari
Sicilia negli anni Cinquanta, Viola Fòscari signora benestante ha il dono della bellezza che ancora prorompe nei suoi quarantanove anni. Esempio di eleganza e rettitudine, non c'e' donna al piccolo paese che non osservi velata d'invidia quei morbidi capelli neri e gli occhi blu e quel corpo sinuoso di giovinezza.
C'e' una solitudine che assale una donna lontano da ogni apparenza, si insinua segreta nelle giornate di silenziosi singhiozzi, nelle notti in cui il marito ronfa stancamente, nei momenti di consapevolezza di figli grandi che se ne vanno.
Viola si tinge ogni giorno di cenere, finche' un diavolo innocente non si impone nella sua vita. E con la forza e la testardaggine di ragazzo distrugge ogni barriera, ogni difesa verso un appassionato oceano di futuro mozzo.
Belle da impazzire le ambientazioni di Tea Ranno, ci sono luoghi che incantano dai limoneti al mare; la casa di donna Fòscari pare uno scrigno nella grotta di Alì Baba' coi suoi arredi di vecchia dimora dove legno, porcellana, argento, pupi e broccati si fanno anima. Una grande stanza che si affaccia sul mare, il cielo e gli aranceti.
La storia tende spesso a rallentare e soffermarsi troppo a lungo sugli stessi concetti, anche se quanto il troppo sta per storpiare, l'autrice aumenta il ritmo e salva il lettore stagnante.
Ottima e affascinante la stesura dei personaggi secondari che si infilano nella vicenda e la arricchiscono in continuazione, incantando.
Sarei stata pienamente soddisfatta del libro non fosse per quelle ultime pagine orribili. Ma i bilanci si fanno a libro finito e se una piccola parte annulla tutto cio' che e' stato prima, io ne devo tenere conto, non sono un critico, sono un'emotiva.
La violenza gratuita mi accende di rabbia anche in narrativa, specialmente quando e' assolutamente inutile ai fini del racconto perche' alla follia eravamo gia' arrivati, sull'altare della giustizia sarebbe sensato mettere uomini contro uomini, giudici di fronte a colpevoli. Di un'inutile, stupida, cruenta cattiveria e' gia' sazio il mondo.
Interdetta ed iraconda dopo lo sviluppo finale, di questo libro che mi pareva buono e dal cui epilogo ero pronta a tutto fuorche' all'imperdonabile, ora posso dire che non solo non lo ricomprerei, non solo non lo rileggerei, ma nemmeno manterro' questa copia nella mia libreria.
Lontano il piu' lontano da me.
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- sì
- no
Il male non dimentica
Il male non dimentica è l'ultimo capitolo della trilogia del male di Roberto Costantini.
Sicuramente, essendo il libro di conclusione, andrebbe letto dopo i primi due e anche con molta concentrazione ed attenzione perchè tutto quello che è cominciato in Libia con l'avvento di Gheddafi e quanto occorso ad un giovanissimo Michele Balistreri, protagonista assoluto della trilogia, viene snocciolato e portato a nudo con la consapevolezza di dover aver letto l'intero progetto dell'autore. Intricatissimo avvicendarsi di epoche e di avvenimenti che spaziano da contesti molto intimi ad altri di rilevanza pubblica ed internazionale di cui tutti siamo a conoscenza, vedi il ribaltone che portò al comando della Libia il suo dittatore ed alla sua caduta, nonché di tutti quegli intrighi internazionali che hanno visto l'Italia e lo Stato del Vaticano con la Sua Banca oscura, lo IOR.
All'interno di tutto questo contesto Balistreri si ritrova a dover fare i conti una volta per tutte con il suo passato, con la sua famiglia, con i suoi amici ma soprattutto con se stesso e la sua coscienza.
Un libro molto intimistico nel tratteggio dei personaggi che risultano ben descritti e delineati nell'ambito del romanzo.
La struttura dell'opera è rappresentata da capitoli brevi che ci fanno rivivere avvenimenti della fine degli anni '60 ai quali si annodano quelli del 2011.
Unico vero neo è rappresentato, per chi non conoscesse la trilogia, dal fatto che sono richiamati innumerevoli personaggi ed avvenimenti su cui si basano i primi due capitoli della saga sapientemente organizzata da Costantini, una saga le cui trame sono così intricate che possono richiamare il nido di una rondine pronto ad accogliere il lettore che vuole trovare pace e ristoro o la tela di un ragno che aspetta inesorabile la cattura del lettore stesso che si ritroverà divorato da una storia al cardiopalma, una storia che non da tregua, ricca di colpi di scena fino all'ultimo... e che purtroppo si conclude con la parola FINE.
Le mie impressioni sono condizionate dal fatto che quest'autore mi piace tantissimo per il suo stile narrativo, certo la storia è complicata ed a volte quasi al limite, conclusa la lettura mi sento esausto ed ho avuto bisogno di 24h per metabolizzarne la valutazione.
Rimane anche questo un gran bel libro se lo si inserisce nel quadro generale della trilogia, letto singolarmente non avrebbe senso.
Complimenti all'autore ITALIANO Roberto Costantini, con questa trilogia rende omaggio ai suoi natali libici e ci consegna un elaborato romanzo della storia italiana.
Buona lettura a tutti.
Il Syd
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Paura della paura
Mamma un cane nero. Un grosso cane nero in salotto. Io lo ho visto, credimi mamma.
Dormi, e' stato solo un sogno.
Mamma corri, bussano alla finestra. L'uomo in giardino bussa alla mia finestra.
Dormi Harvey, era un ramo, il ramo ed il vento.
Lei scende le scale e intravede una luce in cucina, suo marito forse e' rientrato in silenzio.
La striscia illumina il pavimento sotto il frigorifero. Sei tu ?
Si intravedono le caviglie magre, troppo magre nel completo di Stephen, i pantaloni corti, troppo corti. La voce si soffoca in gola, una frase che e' un tremolio, Chi e' lei ?
Amore sono io . Non avere paura Sarah.
Paura della paura.
La piastra incandescente, le mani in avanti, l'unica cosa che resta di me sono le mie impronte.
Ora non piu'.
Se siete precoci nell'ira potreste riuscire a surriscaldarvi gia' alle prime pagine, quando l'esordio propone il soggetto piuttosto ritrito del marito estraneo che si insidia nella pacifica famigliola benestante. Se invece siete nella media, il tempo della rabbia verra' depennato con lo scorrere delle pagine, dove Wulf Dorn ci dimostra che quello non era il fulcro , ma uno dei tanti elementi della vicenda. La trama infatti si infittisce scorrendo ad un ritmo serrato, coi capitoli brevi che alternano scene diverse, un incessante accavallarsi di prospettive che convergono ad un unico scopo che sembra sembre piu' sfuggente : la soluzione.
Amo il romanzo psicologico di Dorn, che riesce a scrivere di nuovo un libro di ottima qualita' senza ricorrere alla violenza esplicita, senza la cattiveria esponenziale, senza inondarci di sangue.
Quando la voglia di un buon thriller assume la concentrazione del glucosio nel sangue di un diabetico, Phobia e' l'insulina che trattengo nella siringa trasparente. Una goccia panciuta guizza dall'ago, lo appoggio sulla pelle della fronte, affondo e inietto. Ora sono molto soddisfatta.
Buona lettura.
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Chi piu' ne ha, piu' ne metta
Non chiamiamoli racconti, chiamiamoli momenti.
Momenti di passato remoto o recente, ma sempre e solo orientati nella medesima direzione: quella delle donne.
Donne in carne e ossa certo, donne realmente incontrate sicuro, ma non solo. Del resto nel cuore di ogni lettore compulsivo, si tratti di uno di noi o del qui presente Andra Camilleri , quante donne sono racchiuse, scovate nei meandri delle righe. Dei romanzi, dei libri di storia.
Una raccolta di brevi capitoli, ognuno porta il nome della sua protagonista.
Antigone, come quella ragazzetta siciliana che di fronte all'omicidio senza giustizia del padre e del fratello, senza enfasi, senza mutare il tono di voce afferma che la resa dei conti ci sara', per mano sua. E la determinazione di Antigone non concede spiragli al dubbio.
Desideria, bella come poche e assorta in un mondo sconosciuto, che non ha desideri se non quello di avere un figlio.
Nefertiti, il cui busto al Cairo lo ha stregato, il fascino di una regina non regina e quelle piccole invisibili rughe scolpite attorno agli occhi che lei non ha voluto cancellare, la consapevolezza della bellezza. Fugace.
Ninetta l'anonima, che parla con gli occhi, sgobba con la schiena e aspetta. Aspetta che finisca la guerra, aspetta che cada il fascismo, aspetta la grazia. Poi il tempo passa e arriva il 1961, Ninetta che non aspetta piu', sorride.
Trentanove nomi per trentanove donne, raccontate con una penna frizzante e leggera, a tratti spiritosa e a tratti commovente, il carattere autobiografico incuriosisce e alletta in una sorta di memoir tutto al femminile di questo ottuagenario inarrestabile. Se poi qualcuna se l'e' solo immaginata, questo e' un romanziere, se non tutto molto gli e' concesso.
Un volume estremamente scorrevole e di piacevole intrattenimento, piuttosto originale nel suo genere, di tutto un po' la provenienza femminile e' priva di confine tra gioco e passione, amore e ammirazione, nella storia di un uomo quante donne sono passate.
Buona lettura.
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Diario di 365 giorni
Attraverso la Redazione ho avuto la possibilità di leggere questo libro che è un “diario” non troppo personale dell’autore.
Una raccolta di taccuini con pensieri, idee, fatti giornalieri, ma mai troppo personale.
La scrittura, anche se si tratta di un diario, non è semplice perché molto spesso lo scrittore parla di opere musicali di importanza mondiale oppure di politica.
Non mi ha particolarmente rapito anche se l’ho terminato in poco tempo, ma devo dire che non è un libro che mi è entrato dentro anche perché molto spesso raccontava cose che non mi interessavano molto.
Diciamo che non mi sento di dare un brutto voto a questo libro perché è scritto bene, ma non posso neppure mettere cinque stelline perché credevo fosse diverso.
Mi dispiace per l’autore, ma il suo progetto di scrittura quotidiana non è riuscito ad impressionarmi.
Probabilmente sono io che non riesco ad apprezzare il suo lavoro, ma spero che l’autore continui a produrre qualche altro libro che magari possa catturare maggiormente la mia attenzione.
Auguro allo scrittore buona fortuna per il suo lavoro!
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Il diritto di vivere
L'esordio letterario di Stefano Valenti è stato premiato dalla giuria del Campiello 2014 come miglior Opera Prima.
E' un romanzo doloroso che tratta un tema forte, come quello delle morti causate dalla contaminazione da amianto in fabbrica.
Partendo da una valutazione del contenuto pare subito fuori luogo utilizzare la definizione di “romanzo” o parlare in questo caso di “pura narrativa”.
E' indubbio l'intento dell'autore di denunciare, come hanno fatto in precedenza altre voci negli ultimi decenni.
La peculiarità con cui Valenti affronta il suo racconto sta nella pacatezza dei toni, niente grida né commiserazione tra le pagine, ma un'analisi degli uomini e delle famiglie, uniche vittime di interessi economici ed egoistici aberranti.
Immagini nitide di un lavoro infernale e bestiale, di una vita logorante scandita da turni massacranti in ambienti di morte, tra sostanze ben conosciute come altamente nocive.
Lavorare in fabbrica per portare a casa il denaro necessario a sostenere se stessi e la famiglia, il corpo che muta giorno dopo giorno corroso fin nella linfa dalla fatica prima e dal veleno poi.
Uomini con un sogno nel cassetto; non può essere la fornace della fonderia il sogno, bensì divenire un pittore, catturare i colori del mondo e lasciare al prossimo un pizzico di sé, oppure avere la possibilità di veder crescere e realizzare un figlio o un nipote.
I protagonisti del racconto hanno perso sogni e speranze ed i familiari insieme a loro; uomini e donne strappati dai profumi e dai colori della vita a causa del lavoro.
Fabbrica, fabbriche, luoghi di morte e di sfruttamento omicida dal momento che chi sa non si adopera per salvare la vita a tutti coloro che vi prestano servizio.
La voce di Valenti è asciutta mai melliflua e retorica, eppure carica di quell'intensità ed intimità di chi narra fatti vissuti sulla propria pelle, di chi ha perso un padre a causa del demone amianto, di chi si è trovato a vivere un dolore che col tempo si è radicato dentro covando rabbia e angoscia.
Un figlio che rimane ed un padre che se ne va; sul pavimento rimane solamente ingiustizia, sofferenza e ferite indelebili.
Stefano possiede una buona mano narrativa, portato all'introspezione sa trasmettere al lettore pathos e toccarne le corde emotive; ha contribuito a scrivere una pagina di storia italiana che deve rimanere monito per tutti, perché gli errori e gli orrori restano e non si cancellano con un colpo di spugna.
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Non sempre il progresso è al servizio dell'uomo...
E' un libro insolito, genuino certo e di sicuro non fa parte dei miei generi preferiti, ma l'ho scelto perchè mi ha incuriosito.
Primo volume della serie "Genesi" nasce dall'esigenza dell'autore di riflettere sul destino della scienza, ormai vicina a un declino di appurata autodistruzione.
Questa la trama a grandi linee: un gruppo di soldati ricevono la missione di indagare sulla "Cignus", una nave da crociera che è perduta ormai nello spazio portandosi appresso i suoi morti.
Nello snodarsi della vicenda i soldati verranno a contatto con verità inquietanti e che non possono essere rivelate, segreti oscuri sulle sorti incerte in cui versano loro stessi e i loro discendenti.
Non sempre il progresso è al servizio dell'uomo, ma a volte ne diviene il mezzo di distruzione.
Come la natura, inquinata e maltrattata dall'uomo si rivolta contro di lui, rigettandogli addosso i suoi veleni, così il progresso potrebbe diventare in un prossimo futuro, una trappola mortale per coloro che ne hanno abusato.
Argomento controverso e trattato con un linguaggio ricercato e competente, mi ha veramente stupito.
L'uomo è alla deriva, cerca di dirci l'autore, prigioniero della tecnologia, schiavo del progresso...cammina verso un destino incerto, di devastazione e di morte.
Da parte mia, spero vivamente che non sia così, che siano solo ipotesi fantasiose.
"Una caduta all'inferno da cui non ci sarà ritorno finchè non sia chiaro se il progetto della Scienza abbia un suo futuro o sia soltanto una terribile chimera" cit. estrapolata dal libro.
Un'illusione pericolosa, la scienza, che può costarci molto cara se non avremo l'equilibrio e la capacità di saperla gestire..
Consiglio questo libro a coloro che sono appassionati di fantascienza.
Saluti.
Ginseng666
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IL CAVALIERE DI SAN GIOVANNI
Contea di Belluno, autunno 1171. Marco è di ritorno da un viaggio d'affari a Venezia con la famiglia, quando viene aggredito da un gruppo di soldati che violenta brutalmente e massacra sua moglie, e quasi uccide il loro neonato. Da quel momento in poi la vita del piccolo Jacopo e del padre Marco, saranno strettamente legate alle vicende politiche della loro terra.
E' infatti un'epoca di aspre battaglie per la conquista dei territori di Treviso e Belluno, mentre in Terrasanta si combatte l'ennesima crociata per liberare Gerusalemme dagli infedeli.
L'educazione di Jacopo viene affidata ai monaci del monastero di Zumelle che faranno di lui un giovane colto e ricco di ingegno. Il sogno del ragazzo è diventare un Ospitaliere: un monaco cavaliere che difende i poveri e combatte in nome della Croce di Cristo... ma nella vita del giovane non tarderà ad arrivare l'amore.
Ho trovato questo romanzo storico veramente avvincente. L'ambientazione medioevale nell'Italia settentrionale è originale e dettagliata e, seppure romanzato, arriva al lettore uno spaccato della vita, delle credenze, delle crude battaglie e della vita politica di quell'epoca ormai lontana.
Il finale è inverosimile, ma d'altra parte di romanzo si tratta...
L'unico neo è che le basi per un seguito della vicenda sembrano gettate con un pò troppa attenzione e le sorti di alcuni personaggi chiave della vicenda non vengono sviscerate e svelate.
Comunque un libro avvincente, sicuramente consigliato agli amanti dei romanzi storici ed a tutti coloro che amano calarsi negli oscuri meandri della vita medioevale.
A questo punto aspetto con ansia il seguito della storia...
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Il cappello più favoloso che ci sia!
La copertina di questo romanzo è favolosamente colorata, davvero intrigante e divertente a tal punto che sfido chiunque a non prendere il libro in mano anche solo per sfogliare qualche pagina. Ma non si tratta solo di copertina! Uno stile frizzante ed entusiasmante è quello che sprizza gioiosità da tutte le pagine e che vi regalerà attimi di spensieratezza ma anche di una dolce amara riflessione sull’amore e sul tradimento. Quella che leggerete è una storia che racconta l’impossibilità di coronare il proprio sogno romantico perché l’uomo giusto non è ancora arrivato ma arriverà in quella che appare una lunghissima attesa che ci lascia crogiolare e persino conquistare dai sapori magici e gustosi della cucina perché la protagonista, di nome Viola, è un’aspirante sceneggiatrice che mentre sogna di realizzare il film che le aprirà le porte del mondo del cinema, si cimenta, insieme alla sua amica Cecilia, in un’attività fantasiosa e accattivante: la preparazione di piatti speciali grazie all’aiuto e ai consigli miracolosi di nonna Miriam.
Il suo appartamento al centro di Roma diventa punto d’incontro prelibato e sofisticato per una ristretta cerchia di clienti per i quali le due donne organizzano cene fantastiche sulla splendida terrazza, al chiaro di luna. Lo stile narrativo è frizzante, non annoia mai, rendendo questo romanzo una spassosa lettura da fare tranquillamente sotto l’ombrellone per passare qualche ora in piacevole compagnia. C’è molta ironia, una valanga di sorrisi e tanta positività tanto da rendere anche i momenti più tristi e drammatici dolcemente smorzati da toni squisitamente leggeri che infondono un’intensa voglia di vivere.
“La ragazza vulcanica e solare di un tempo era stata defraudata della sua identità. Quella che sognava di partecipare alla maratona di New York, di scrivere un film da Oscar, che brillava di una luce adamantina, come diceva Filippo, aveva ceduto il posto alla nuova Viola: la Signora delle tenebre. ”
Insomma la situazione iniziale non è delle migliori. Viola scopre i tradimenti del suo uomo, oltretutto sposato ed in perenne crisi di distacco dalla moglie, dalla quale non riesce proprio a separarsi, rimpinzando Viola di tutta una serie di condite bugie tra l’amaro e il salato che portano la protagonista a lasciarlo perché satura di tutto quel mondo di menzogne senza alcun futuro. Ma la vita di Viola sembra improvvisamente svuotarsi. Ormai è sola ed è ancora innamorata. E allora cosa le rimane? Soltanto due cose: la sua amica Cecilia e il suo lavoro di cucina insieme alle improvvisate esilaranti della veterana Miriam. E’ da questo momento in poi che la storia inizia davvero e si svolge incastrandosi perfettamente tra incontri, risate e le immancabili lacrime.
Su tutto questo però ombreggia sempre il cappello più famoso del mondo, quello di Audrey Hepburn, a cui la protagonista è follemente affezionata. Il suo sogno è indossarlo e la sua presenza ineffabile l’accompagnerà anche nel primo colloquio importante della sua carriera, grazie al quale entrerà a far parte della redazione di uno dei più importanti programmi televisivi del momento.
Il romanzo è dunque un connubio perfetto tra moda e cucina e le descrizioni dei piatti come quelle degli abiti sono sempre accurate e dettagliate, come sfogliare una rivista di stile!
Così il mondo della televisione apre le sue porte alla nostra eroina ed è tutto un fiorire di amore e tesoro, probabilmente perché “nessuno si ricordava il tuo nome.”
Un mondo fatto di trucco, tante parole ed infinita euforia, ritmi sfrenati e Viola si trova si da subito avvolta in un clima di festa e di speranza. E’ un personaggio delineato molto bene, ha sempre la battuta pronta ed è tremendamente reale. Sembra sbucare fuori dal libro ogni volta che parla e prenderti per le spalle e trascinarti dentro. Vietato distrarsi! La vita di Viola è così carica di vicissitudini, di sorprese e di piccole follie che è impossibile non lasciarsi prendere dal suo entusiasmo e vivere con lei ogni esperienza, anche quella più triste, mantenendo sempre un sorriso sulle labbra. Ben truccate, mi raccomando!
Ma il punto focale di tutto il romanzo non poteva che essere l’Amour.
E come spesso avviene in storie come questa, il destino dei due innamorati è sempre affidato ad un’incontro scontro che vede Viola alle prese con un’improbabile fidanzato che nientemeno è il direttore della rete televisiva presso cui lavora. Lorenzo dal cognome impronunciabile, erede di una famiglia di aristocratici, giovane rampollo pieno di soldi ma dal carattere taciturno, prepotente e con una spiccata e fastidiosa attitudine al comando. Se all’inizio il loro rapporto sarà caratterizzato esclusivamente da battute al vetriolo e chiari intenti vendicativi, l’atmosfera di mancata sopportazione e accettazione verrà poi smorzata da una silenziosa ed infida attrazione che entrambi proveranno l’uno per l’altra. L’autrice riesce a creare un contrasto divertente tra il carattere di Viola e quello di Lorenzo che all’apparenza sembrano davvero incompatibili, sotto molti punti di vista. Lei è ironica, dinamica, pronta a tutto pur di superare qualsiasi difficoltà mentre lui è misterioso, duro, silenzioso e apparentemente sempre arrabbiato. Lui e lei sono il nero e il bianco e le occasioni per scontrarsi non mancano. Il loro rapporto fa impazzire entrambi perché oscilla continuamente tra l’attrazione e una sottile e velata antipatia.
Il Grande Capo, come lo chiama lei, sembra avere due facce: una dura e insopportabile che usa nel lavoro e nella vita pubblica e un’altra che viene fuori quando è solo con lei e che le lascia intravedere un uomo divertente, capace di farla ridere e che soprattutto sa cucinare! Preparandole gustosi piatti giapponesi con le proprie mani. Ma Viola ha paura. Paura di innamorarsi nuovamente e di soffrire com’è avvenuto in passato e questo rende il loro cammino insieme ancora più arduo e difficile. Ma la vita della nostra eroina tutta cappello e fantasia è talmente piena di sorprese che è impossibile resisterle. Viola è spontanea e spassosa e la bellezza del romanzo è proprio questa: la freschezza, la solarità e la prontezza di spirito. Nonostante i complicati scherzi di Cupido, riesce a conquistarsi il tanto agognato successo ottenendo una rubrica tutta sua il cui titolo è un omaggio all’indimenticabile Audrey.
Ho trovato la lettura sorridente e delicata. Essendo abituata a romanzi molto più riflessivi e per certi versi tragici, Volevo essere Audrey Hepburn è stata una ventata di freschezza proprio come una doccia fredda in una giornata di calda afa. Un romanzo pieno di colore, risate e battute che guarda in faccia la vita, sfidandola direttamente negli occhi e che ti conquista per la sua semplicità ed immediatezza. Non ci sono giri di parole, non esistono riflessioni complicate, è tutto a portata di mano, lì per essere preso e fatto proprio. E’ come una grande sceneggiatura in cui la parola d’ordine è non abbattersi mai. La vita di Viola è un incoraggiamento a sorridere sempre, perché lagnarsi non porta a niente. E come dice Lorenzo: “sarà divertente insieme, saremo divertenti!”
E potete giurarci che vi divertirete dall'inizio alla fine, perché quei due non smettono mai di sorridere e credetemi, sorriderete anche voi.
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Un italiano allo specchio
Con il suo “Il desiderio di essere come Tutti”, Piccolo ha vinto la competizione dello Strega 2014.
Ha vinto un non-romanzo, un racconto figlio di una stratificazione narrativa tra diario, memorie e saggio.
Piccolo ha trovato una sua chiave espressiva per raccontarsi e per raccontare la crescita di un giovane italiano che oggi sta per raggiungere i cinquant'anni; è la crescita di un uomo in parallelo ed in simbiosi alle vicende politiche italiane degli ultimi quarant'anni.
E' tanta la politica tra queste pagine, dove destra sinistra e centro sono raccontate sempre e solo da un punto di vista unilaterale, quello dell'autore, attraverso momenti di riflessione e di analisi personale e sociale anche complessi.
Piccolo non cela il proprio pensiero ma lo manifesta da subito, inanellando descrizioni particolareggiate sulle correnti politiche e soprattutto sui protagonisti della politica.
Sfilano Berlinguer, Moro, Berlusconi, raccontati attraverso riferimenti di eventi e momenti certamente cruciali e di notevole interesse per la collettività.
Ma l'autore ricerca un'analisi di sé, degli ideali divenuti zoccolo duro della propria formazione, convogliando ricordi, ispirazioni, insegnamenti, momenti privati e pubblici in un unico contenitore.
A lettura terminata è impossibile non soffermarsi su determinate riflessioni.
Apprezzabile il coraggio dell'autore di mostrare il proprio pensiero in maniera diretta con la consapevolezza che le proprie considerazioni, anche forti, possano non risultare gradite ad una fetta di pubblico.
Ottima la capacità di analisi sul piano personale, toccando riferimenti del mondo della psicologia, della filosofia e dell'etica.
Rimane un grosso “ma”; in un momento storico e sociale come quello attuale, il libro di Piccolo rischia di far sorridere o annoiare, dipende dai punti di vista, perchè associare la parola “politica” a valore, esperienza di vita, credo, moralità, amore, sembra un'operazione fuori luogo e fuori tempo.
Il valore letterario di quest'opera è labile, fermandosi ad una penna curata ed ad un linguaggio efficace e raffinato, buone le intenzioni di contenuto ma a tratti logorate da un soggettivismo estremo e monotematico.
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Le particelle di Dio e le "Confraternite religiose
A dire la verità, mi aspettavo qualcosa di più : la copertina e il titolo mi avevano irretito con la vaga promessa di un thriller affascinante.
In realtà per me è stata un'impresa molto dura leggere questo libro, ma con un impegno costante e non privo di una certa caparbietà vi sono riuscita.
Ecco la trama, a grandi linee: nell'incantevole cornice dell'isola di Procida avviene l'incontro tra Giami discendente di Giordano Bruno e Leonardo Baldassarri giornalista, incaricato di compiere un'indagine sul papa Giovanni XXIII.
Al contrario la ragazza è impegnata a stilare una tesi sulla vita del Cardinale Roberto Bellarmino.
Qualcuno, dietro le quinte, ha favorito il loro incontro pensando di guadagnarci qualcosa.
Gli interessi della Chiesa e quelli controversi dello Stato...
Nella storia d'amore che nascerà tra Giami (diminutivo di Giovanna Maria Bruno) e Leo, si troveranno invischiati, loro malgrado in una vicenda di intrighi, misteri e delitti.
Nell'isola di Procida vi sono ancora confraternite, una delle quali denominata "La consorteria del sacro segreto" che si occupano dei tesori appartenuti a san Michele, il patrono dell'isola e i loro intenti non risulteranno poi così onesti come dovrebbero.
I pregi del libro sono secondo me: lo snodarsi di alcuni eventi macabri descritti in un modo gustoso e pittoresco, una ricostruzione storica accurata, che inserita nella storia come robusta impalcatura ne diviene a volte l'unico vero, concreto significato.
E ancora...la morte di Giordano Bruno è stata un tragico errore della Chiesa?
Cosa si poteva fare per evitarlo?
I difetti del libro sono la trasposizione storica, che può risultare alla lunga per il lettore pesante e astrusa: ciò che può sembrare interessante al primo impatto, lo è molto meno se pervade tutto l'arco del libro...
Le particelle di Dio, avrebbe potuto essere un libro più accattivante, secondo me se avesse limitato al minimo le parti storiche preferendo una più larga stesura di quelle dedicate agli intricati delitti.
Lo consiglio, comunque con qualche riserva, agli amanti del thriller storici.
Saluti.
Ginseng666
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Inferno per Ricciardi
L'inferno non è per il Commissario Ricciardi ma anche per il lettore.
Cominciamo con grado...
Siamo a al cospetto di una nuova avventura che vede protagonista il Commissario Ricciardi ed il suo fido Brigadiere Maione. Attorno a loro ruotano le consuete figure della tata Rosa, Lucia moglie di Maione, la bellissima vedova Livia ed Enrica, il contesto è Napoli e tutta la sua varietà paesaggistica e culturale...in questa occasione tutto avvolto da una indicibile calura, con i preparativi per i festeggiamenti della Madonna del Carmelo.
Ormai chi segue le avventure del Commissario Ricciardi sa che raccontano di storie le cui trame si sviluppano su binari paralleli, da una parte la vena prettamente gialla e dall'altra parte quella rosa.
Un Ricciardi perennemente in tumulto sia per le sue indagini che per il suo cuore combattuto sull'esporre definitivamente i suoi sentimenti ad Enrica.
Caro De Giovanni, stiamo perdendo evidentemente colpi, per chi si aspetta un giallo come i precedenti questa volta si ritrova a leggere un romanzo rosa e per fortuna perchè ormai ritengo più interessanti gli sviluppi della vita privata del nostro protagonista che quelli professionali. In quest'opera anche "il fatto" ha assunto un ruolo marginale, domanda all'autore: si è stancato di raccontare Ricciardi e cominciamo a deporlo?" Non ci credo e non voglio crederlo, Ricciardi è ormai un'icona della Nostra letteratura come Montalbano per Camilleri o Guerrieri per Carofiglio o il Barlume per Malvaldi...
I ritmi sono da subito molto blandi, più del solito come se si stesse percorrendo una salita sotto un sole cocente che affanna il lettore. Si denotano troppe e lunghe divagazioni con poco interessanti introspezioni.
I voti dati all'opera sono assolutamente dovuti agli antichi allori della serie di De Giovanni perchè non posso bruciare un autore encomiabile, un protagonista affascinante, una Napoli così sublime e pur dannata.
Sempre di livello le descrizioni della città partenopea, con i suoi vicoli, i suoi locali con i loro caffè e sfogliatelle, i suoi "boss" di quartiere, gli artigiani unici al mondo e lo sono ancora oggi, la fede incondizionata verso una sacralità viscerale di speranza nei confronti della Madonna e della cristianità, la sua musicalità che scandisce ogni azione e sentimento, bello sul cambiamento di umore del brigadiere Maione che prima non sopporta nenache un fruscio e poi nel pieno tumulto caotico della città lo rappresenta melodioso.
Questa Napoli rende godibile quest'opera che altrimenti affogherebbe negli inferi con la speranza che anche la Madonna del Carmine aiuti a far ritrovare all'autore una vena più ispirata nel proseguo della serie dedicata al Ricciardi ed ad una Napoli del ventennio fascista.
Buona lettura a tutti.
Syd
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Il grande luna park della vita
I cavalli delle giostre di Antonio Gentile, vincitore del premio letterario InediTO-Colline di Torino 2013 e il premio Mondolibro di Roma, è un libro che mi ha colpito sin da subito. Adoro il titolo, come mi ha immediatamente attratto la copertina, che sembra esprimere la forza del pensiero, una voglia intensa di respirare, un respiro che vale il riappropriarsi della propria vita.
I cavalli delle giostre racconta dell’infanzia di due fratelli, Letizia e Lorenzo e lo fa con descrizioni profondamente intense sin dalle prima pagine. I protagonisti sono alle prese con i loro sogni e la loro immaginazione che sfida la realtà che fin troppo spesso provoca grande dolore. Nella fiaba nascosta agli occhi degli adulti e dispersa nei boschi nei quali i due fratelli si rifugiano, le loro menti sognano di salvare Bianca e Nerone, i cavalli della giostra che li tiene prigionieri in un luna park abbandonato.
Per chi legge è subito evidente lo stile narrativo, così carico di immagini poetiche accompagnate da un lirismo che raggiunge livelli molto alti e che poche volte cade in contrasto con la descrizione narrativa dei fatti. Il linguaggio è dato dall’inserimento di frasi brevi, l’uso di andare a capo frequentemente definisce la scrittura “a scatti”, veloce, intensa che però non perde profondità. Le parole sono poche ed evocative, attraversate da metafore che permettono alla storia di iniziare come per magia, come un fantastico incantesimo che ci apre le porte del mondo in cui l’autore vuole immergerci.
Non è facile con poche parole riuscire a trasmettere l’essenza delle situazioni e degli stati d’animo ma Antonio Gentile ci riesce subito. Molte scene iniziali sono raccontate dal punto di vista dei bambini ed è attraverso quelle visioni a metà tra il fantastico e il reale che la scrittura non diventa solo poesia o lirismo, ma nasconde una profonda conoscenza dell’animo umano, delle sue ferite, dei suoi dissidi interiori, delusioni, angosce vissute nell’infanzia che scavano nell’animo fino all’età adulta ed è così che si resta scavati, annientati da una presenza oscura che ha preso posto dentro di noi e che non riusciamo a cacciare via.
Nel rapporto tra Letizia e Lorenzo, lei appare più forte e più disposta a trovare un compromesso con l’irruenza e la durezza della realtà che intacca continuamente il loro fragile mondo, soprattutto quello del fratello che sin da subito appare come un solitario ed un incompreso, con grandi difficoltà nell’apprendimento e nel relazionarsi con gli altri. Va male a scuola e la madre gli regala un pianoforte, convinta anche dal medico, che possa essere d’aiuto per farlo venire fuori dal suo isolamento.
Lorenzo suona il piano in modo sorprendentemente naturale, egli non segue nessuno spartito, nessuna regola ma crea una musica che proviene direttamente dal profondo dell’anima. La musica diventa salvezza, un modo per ricongiungersi con il mondo ma la morte alza ancora il suo sipario e i titoli di coda scorrono inesorabili ad imbrattare le pagine bianche dei nostri piccoli protagonisti. Le parole si confondono con i suoni ed esprimono l’arte di ricreare emozioni con poche lettere sparse ed equidistanti l’una dall’altra in una perfetta simmetria che permette a chi legge di cogliere l’incanto delle note in netto contrasto con il dolore fisico lancinante di chi regala quella melodiosa sinfonia.
I protagonisti non sono solo Letizia e Lorenzo, ma anche Matteo e Lucia alle prese con la nascita del loro primo figlio e Cecilia, una musicista che vive una relazione abbastanza disastrata.
Lo stile dell’autore si connota di un sottile compiacimento poetico nell’usare un linguaggio ritmico, cadenzato. La stessa frase può ripetersi più volte come un dolce ed intenso leitmotiv, come i versi di una poesia, come il ritornello carezzevole di un’intima canzone dell’anima. All’autore piace narrare e lo fa in un modo poco convenzionale. Sappiamo poco dei caratteri dei suoi personaggi perché preferisce donarci solo sfumature che cambiano colore continuamente. Non sappiamo chi sono ma sappiamo cosa ci trasmettono a tal punto che di essi ci arriva il succo, il nocciolo della loro anima che sfuma ed evapora attraverso le poche parole per incastrarsi in frasi brevi da cui nascono immagini, riflesso di una profonda interiorità umana.
C’è delicatezza e silenzio, un gusto elegante e raffinato di sentire la vita oltre la ruvida scorza della quotidianità. Momenti reali che appaiono come trasfigurati, sacralizzati ed innalzati oltre la superficie del profano in cui tutti siamo immersi e in cui rischiamo di annegare. Ci sono sapori e odori raccolti in frasi condensate che seppur piccole e rinchiuse in biglie di vetro colorate, profumano di vita, amore e solitudine. La solitudine di un amore spezzato come quello di Cecilia che si sente usata come un’amante qualunque, di cui è solo il corpo ad attrarre mentre la sua anima rimane appesa ad un filo, schiacciata sotto un vestito nero inzuppato di vino “davanti alla tovaglia delle grandi occasioni.”
C’è una capacità straordinaria di rendere tangibili le emozioni come quelle della perdita di un figlio negli occhi di chi è madre e padre, come Lucia e Matteo. Dolore e follia lucida degli attimi perduti e mai vissuti. Immagini scioccanti come quella di una donna che culla tra le braccia un asciugamano raccolto, fingendo che sia il suo bambino di cui non c’è voce, pianto, né vita. La nenia senza volto che sussurrano le labbra di Lucia ad un fantasma mai nato. Anime in pena che tremano di fronte ad una tragedia che tempesta la vita rendendo la speranza una culla vuota senza un domani.
“La pace invade la stanza. Poi va in frantumi, contro quegli esseri in piedi accanto alla culla. Contro quei naufraghi che hanno affrontato la burrasca, ma che alla fine si sono arenati sulla spiaggia. A sognare di ripartire come i relitti di una tempesta.”
Il ritmo delle frasi che si ripetono è incalzante così come le scene vivide, sapientemente raccontate, carnali, immediate. La semplice scelta di un verbo che racconta più di una frase, le pause, gli aggettivi che creano mondi di colori e meraviglie. Ma anche solitudini grigie, bianco e nero di dolore e pozzanghere gonfie di pioggia che diventano uniche isole per scappare dalla delusione.
Molte pagine mi hanno commosso, soprattutto quelle dedicate alla storia tra Matteo e Lucia, la loro sofferenza che si trasforma lentamente in distanza perché la follia è già troppo vicina per contrastarla. C’è una silenziosa e dura dignità in quel dolore e in quella pazzia. Non c’è l’ignoranza di chiedersi il perché sia capitato a me, c’è solo la consapevolezza che da certe tragedie non si torna indietro. Lucia ha perso il suo bambino e neanche quel “Ti amo ancora” può salvarla dalle porte dell’inferno fatto di piedi nudi e vestaglie bianche, di grida e cantilene, per ricordarci che oggi si è pazzi fino a domani. Oggi non ce n’é per nessuno quando si perde un figlio. L’autore è fin troppo bravo ad insinuare tra le sue parole le immagini di una madre che non si riconosce più, di una donna che fugge anche dall’uomo che ama, lontano dai fantasmi morti rinchiusi nell’orrore dei suoi stessi occhi.
Spesso il lettore è impreparato nel trovarsi di fronte campi sterminati di sentimenti, boschi che cullano e proteggono suoni, mani che disegnano nell’aria i movimenti di un timido pianoforte che fa tremare le grida della terra. Ogni elemento naturale come il bosco, l’erba, la pioggia diventano il fulcro e l’alcova di emozioni espresse come valanghe, come discese sconfinate davanti alle quali è impossibile arrestarsi.
La penna dell’autore scava dentro gli uomini e le donne di cui racconta, mettendoli a nudo senza vergogna. Essi tremano, piangono, ridono, sognano, tutto rigorosamente in stile puramente umano. E’ un romanzo intriso di umanità che esalta l’interiorità della felicità e del dolore senza necessariamente chiamarli con quel nome. Sulla sfondo di queste storie che s’intrecciano, in cui sconosciuti si riconoscono e condividono momenti che servono per dare un nuovo senso alla vita, il tempo “è diventato vuoto, scuro, tremendo, su cui si è abbattuta una tempesta, che ha graffiato quei visi con la rabbia e ingrigito quei sorrisi con la nebbia.”
Le percezioni che emergono dalla lettura sono nitide, intime, sembra di sentire lo spirito di queste anime indifese e scoperte da noi che abbiamo sete di emozioni e carezze. L’interiorità è espressa attraverso la natura e l’arte della musica e del disegno, le essenze eterne che sfidano il tempo, che diventano culle di sentimenti che accogliamo come le uniche note che vogliamo ascoltare.
Come la musica creata da Lorenzo è accesa, viva, calda, furiosa così anche la scrittura dell’autore è armonia e melodia di parole e di oltre.
“La vita incompiuta rimane nell’aria. A disegnare percorsi sonori sconosciuti, dal pulviscolo dell’aria, direttamente nella mente. E aspetta che qualcuno vada a liberarla. A lasciarsi cullare dal fluire incontrastato delle note, che s’impregnano nella materia, come gocce d’acqua sulla terra nuda. La mano le afferra e le mette in fila, le incastra in una successione perfetta.”
Questo è quello che Lorenzo fa con la musica e che incarna perfettamente ciò che l’autore crea con le proprie parole.
I cavalli della giostra è pura poesia che trasuda sensualità dei corpi e delle menti di questi esseri mortali e tragicamente umani che solo cercandosi da lontano, si accarezzano attraverso il vento fino ad unirsi in un unico tocco.
C’è un lieto fine per ciascuna di queste storie, non voglio nasconderlo. Storie d’amore e di dolore, perdono e sollievo, partenze e arrivo. Ma cos’è l’amore se non il centro di queste pagine che si raccoglie intorno all’unico concetto veramente importante: “Non siamo nulla se non ci prendiamo cura di qualcuno”.
E allora lottiamo contro l’amore non dato perché esso
“rimane nell’aria. Aspetta che qualcuno vada a liberarlo. L’amore non dato impazzisce nell’aria. Si mette a urlare, a prendere a calci le inferriate della sua prigione, fino a quando non riesce ad uscire. L’amore non dato è sottile come l’aria, s’infila nel petto, rimbomba, non dà tregua, rimbalza nel cervello senza sosta, sospende il ritmo vitale e diffonde l’impalpabile sensazione di morire.”
Antonio Gentile sa come farsi capire, sa essere delicato e profondo, consapevole incantatore della sua giostra di parole. Ogni parola è un cavallo che danza fatto di penna e di carta che sogna la libertà oltre le mura strette di una stanza.
Vorrei dire all’autore che non dimenticherò questo libro che mi ha fatto tremare grazie soltanto alla semplicità dell’emozione che tra queste pagine scivola fuori come la seta che non si trattiene sulla pelle nuda del cuore.
I cavalli delle giostre, legati ad aste, prigionieri del luna park della vita, delle gabbie del mancato perdono e del senso di colpa, sognano la libertà di volare nell’aria.
Il romanzo inizia con un tono delicato e leggero, poi si trasforma in angoscia e abbandono, in rabbia, morte ed impotenza. Ma i cavalli sono sempre lì ad aspettare, sporchi e trafelati in attesa di cambiare. Ne sono passati di titoli di coda ma la giostra prima o poi sarà vuota.
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Quando il giallo diventa giallognolo
L’idea di fondo non è male: un condominio milanese con una variegata galleria di personaggi, un tappezziere in pensione appassionato di indagini fai da te e cronaca nera, un presunto rapimento negli ambienti della Milano bene.
Seguono molteplici siparietti sul filo degli equivoci, alcuni un po’ stiracchiati a dire il vero (stile Pierino e la maestra, per intenderci), ma tutto sommato gradevoli.
Lo scrittore si diverte a muovere le fila degli eventi sviluppando la narrazione su diversi fronti, tutti più o meno collegati fra loro. Peccato che la situazione da un certo punto in poi gli sfugga di mano, trasformando l’insieme in un polpettone farraginoso che annoia e non convince. Imbastire una trama più lineare (ed anche meno inverosimile) avrebbe giovato al romanzo, che nella prima parte promette bene: apprezzabile, per esempio, l’omaggio alle potenzialità inespresse ed ai sentimenti spesso ignorati degli anziani, custodi di un genuino sentire. Il tutto all’insegna di un certo humour e senza concessioni al lacrimevole.
Gustosa anche la figura della pettegola patologica, la falsa invalida del condominio che si picca di sapere tutto di tutti: “Occorreva rinforzare la sorveglianza, incrociare i dati, non dormire mai”.
Niente è ciò che sembra, almeno nelle intenzioni dello scrittore che però non riesce a stupire, sia per le conclusioni sconclusionate che per i ghirigori con cui si arriva alle stesse.
La necessità di riepilogare più volte i fatti per chiarire quello che nel libro stesso viene definito “un guazzabuglio” ne mette ulteriormente in evidenza i limiti e lo rende per giunta prolisso. In questo quadro scarno di efficaci colpi di scena - giallognolo più che giallo – un errore di sintassi del periodo ipotetico (capita evidentemente anche nelle case editrici più solide) non fa che confermare un lavoro di revisione un po’ approssimativo.
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Una Banana poco matura
Shizukuishi è una giovane donna che vive con la nonna in Giappone, in una remota zona di montagna.
La nonna, guaritrice di grande saggezza e professionalitá, prepara tè miracolosi per aiutare chi soffre. Per fare questo si avvale della collaborazione della nipote a cui ha insegnato tutto.
Il loro quotidiano è fatto di piccole cose, di grandi gesti e di simbiosi totale con la natura circostante.
Un giorno, però, questo equilibrio quasi perfetto viene bruscamente interrotto dalla decisione della nonna di lasciare il Giappone e trasferirsi a Malta, inseguendo l'amore per un uomo conosciuto in rete.
Shizukuishi non può opporsi ma solo accettare.
Salutatala all'aeroporto, abbandona le amate montagne, custodi del suo cuore e della sua anima, per trasferirsi in città.
Ricominciare non è semplice, così come abituarsi alla nuova realtà.
La sua "perdita" le lascia vuoti enormi e sentimenti contrastanti, come riuscire a non lasciarsi sopraffare? L'amore e l'amicizia potranno restituirle la perduta serenità?
Primo incontro per me con la scrittura di Banana Yoshimoto, un'autrice di cui, sin da subito, ho potuto apprezzare la delicatezza, tipica orientale, di una narrazione che sfiora l'onirico ma, ahimè, non lo spessore dei contenuti.
Leggendo questo romanzo, sottotitolato "Il regno" e primo di quella che dovrebbe essere una quadrilogia, ci si immerge in una dimensione surreale dove natura, sentimenti, uomini e quotidianità si fondono fino a creare un contesto di grande atmosfera ma, il tutto, resta in superficie, non si scava nel profondo.
La trama è scarna, inconsistente e priva di una struttura precisa; si ha la sensazione di intraprendere un cammino che non conduce a niente se non in un vicolo cieco.
In questo libro si parla d'amore ma è un amore dal sapore stantio; si parla d'amicizia ma non emergono nè i presupposti giusti, né storie precedenti al quale ricongiungerla; si parla di ricordi ma non sono consistentemente evocativi e, per finire, si racconta un brevissimo percorso di vita ma che non ha nessun valore formativo a dispetto di ciò che viene sottolineato nella quarta di copertina.
La scrittura, semplicistica, poco accurata, sviluppata in poco meno di cento pagine, non fa altro che renderci un romanzo di serie b.
La cultura orientale, così ricca, elegante, intrisa di leggende, di storia, di atmosfere può arrivare a supportare storielle di questa portata?
Dovremmo darle delle attenuanti solo perché è il primo libro di una quadrilogia?
Di questo non sono affatto convinta e se è vero il detto che "il buongiorno si vede dal mattino...beh, traete voi le conclusioni.
Auguriamoci che la Yoshimoto faccia un esame di coscienza e migliori con le prossime uscite.
Oggi, però, chiamata in causa, mi sento un po' Mara Maionchi e dico: "per me è no".
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Un'ungherese a Istanbul
Nouchi ha un viso leggermente asimmetrico ma la freschezza dei neanche diciotto anni fa morir d'amore, lo sguardo pungente, le caviglie sottili e il grande petto candido. Si spoglia con innocenza, come se invece di un uomo ospitasse nella stessa stanza una delle altre ballerine del night club.
La memoria non si assopisce mai sul passato di fame, resta ben salda su ricordi indelebili e l'occhio di bambina spia da un buco senza capire. Senza sapere perche' la sorella maggiore non sia felice messo nello stomaco vuoto il pezzo di cioccolato , quello datole dai tizi con cui si ritirava dietro il muro del piazzale .
Nouchi ha scelto il suo gioco, scopre le carte per assicurarsi la lontananza dalla poverta', gioca d'astuzia e seduzione senza mai staccare la mano dal mazzo , senza concedere a nessuno di bloccarla dietro quel muro conosciuto tanto tempo prima dalla sorella.
Sono gli anni Trenta e lo sfondo narrato da Simenon e' estremamente scenografico.
Istanbul di gente e di luoghi, l'asiatica e l'europea tingono il giorno e la notte con il loro fascino mischiato. Passeggiando tra le vie piu' eleganti sullo sfondo di moschee e minareti, le acque scure del Bosforo ancheggiano invitando gabbiani e lenze di pescatori all'ennesimo tuffo. L'umidita' di luglio soffoca e stordisce, passeggiare nei vicoli ed appollaiarsi sulle sedie traballanti di un piccolo bar d'angolo, un denso caffe' turco e un narghilè fruttato. Si rilassano le spalle appoggiate al muro tiepido, lo sguardo si perde ipnotizzato dalle ombre delle foglie del fico " che il caso, con un tocco d'artista, aveva fatto crescere proprio dove le avrebbe messe un pittore ".
Forse la trama non e' tra le piu' entusiasmanti del prolifico belga , eppure la sottile analisi psicologica incuriosisce e intrattiene. Punto di forza la caratterizzazione di luoghi e persone in un susseguirsi fotografico che rapisce pagina dopo pagina, per risvegliare la memoria di chi ha gia' visitato colei che fu Costantinopoli e per chi magari si fara' ingolosire dalle pagine de I CLIENTI DI AVRENOS. Buona lettura.
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Alissa
Che dire di questo libro?
Ci sono stati degli alti e dei bassi, nel senso che la storia alternava momenti interessanti ad altri noiosi.
Poi alcuni vocaboli, sono a mio parere un po’ troppo volgarotti.
La storia è tutto sommato interessante, parla di una ragazza precaria, di nome Alissa, che si ritrova sempre senza soldi e con un sacco di debiti da pagare.
I genitori di questa ragazza cercano sempre di darle qualche soldo in più per pagare le sue spese vive.
Un giorno Alissa, durante una lunga passeggiata per un parchetto tra le immondizie trova uno strano oggetto, un teschio di cristallo.
Dopo averlo portato a casa e ripulito scopre che il teschio sa parlare e lui è proprio il dio del lavoro in “persona”.
Proprio questa divinità farà una scommessa con la protagonista del libro, lei deve trovare un lavoro mai svolto prima da una donna e solo in questo modo vincerà ed avrà un sacco di soldi.
Alissa cercherà in tutti i modi di vincere la scommessa, ma c’è un però.
Cosa posso dire di questa storia?
Non mi ha del tutto entusiasmato, ci sono stati dei momento noiosi ed altri un po’ più vivaci.
Si tratta di un fantasy contemporaneo e devo dire che mi aspettavo qualcosa di più, ma tutto sommato non mi lamento.
Lo stile e la sintassi non mi sono dispiaciuti anche se alcune volgarità le avrei evitate.
Buona lettura!
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- no
Una mutevole verità
Saremmo quasi sulla retta via... si Gianrico, questo formidabile autore capace di strabiliarci attraverso le sue opere, tra queste le più fulgide quelle riguardanti l'avv. Guerrieri.
Con questo racconto breve di genere poliziesco Carofiglio può tornare a respirare dopo la evitabile performance con suo fratello Francesco...ma questa è un'altra storia per fortuna.
La trama non è complicata ed il romanzo segue una storia abbastanza lineare con un maresciallo dei Carabinieri che indaga su di un delitto all'apparenza già risolto ma si sa le verità possono anche essere mutevoli, possono far sorgere dei ragionevoli dubbi, perchè tutte le perfezioni potrebbero anche essere provvisorie, ed un testimone consapevolmente diviene chiave per condurci ad occhi chiusi sull'assassino.
Ma a volte le cose non sono come si pensano bensì come riescono ed è così che il nostro protagonista, maresciallo Fenoglio, percepirà come una strana sensazione che lentamente lo condurrà a destinazione.
Una trama il cui esito è quasi prevedibile ma a Carofiglio riconosciamo una certa voglia di esplodere come per i primi suoi romanzi.
Una piccola sorpresa ci viene riservata nel finale...quindi per gli amanti dell'autore un consiglio, leggete l'opera senza pretese e gustatevi la sorpresina.
Buona lettura a tutti.
Syd
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OMBRE DISTORTE
Eleonora e Marlene sono due gemelle, due sorelle, due facce della stessa medaglia.
Sono giovani, sono belle, sono identiche… solo una cosa le differenzia: una carrozzella.
A seguito di un incidente Eleonora convive da anni con una carrozzina; bisognosa di aiuto di terze persone, per le più piccole cose della vita quotidiana, affronta la sua nuova vita con grande forza d’animo, almeno apparentemente… nella realtà, quella del suo Io più profondo, la sua Ombra la sta sovrastando, la rabbia per una vicenda del suo passato, sta venendo fuori in tutto il suo splendore devastante. Vittima o carnefice?
Marlene subisce da sempre il fascino e il carisma della sorella, anche ora che non ha più l’uso delle gambe, riesce ad attirare l’attenzione di tutti, come da piccole, nulla è cambiato: lei era la più bella, la più brava, la più simpatica, la più. E’ stanca di questo rapporto basato su rancori inespressi e sulla vicenda che ha segnato la loro infanzia, la loro famiglia… ne parla sempre col dottor Rosati, ha una rabbia dentro che sembra volersi manifestare nel modo peggiore da un momento all’altro. Vittima o carnefice?
Nella vicenda ci sono anche altri personaggi, Roberto, il ragazzo cui Eleonora scrive lettere che non verranno mai spedite, Pietro, il vicino di casa tanto carino e disponibile, Johana, la ragazza di Pietro, Don Venanzio, parroco nonché amico di famiglia delle gemelle… ognuno con la propria Ombra che li guida nelle loro azioni, nelle loro parole, nella loro vita.
Il confine tra vittima e carnefice è veramente molto labile, Luce e Ombra, Bene e Male sembrano convivere in ognuno di loro, di noi… quanto è facile superare il confine? Quanto è facile/difficile convivere con la propria Ombra? Quanto è facile farsi vedere agli occhi degli altri come vittime ed essere in realtà carnefici?
La vita quotidiana è piena di questi errori di giudizio, basta aprire un giornale per leggere che un marito modello ha ucciso moglie e figli per poi uscire di casa come niente fosse…
Capitoli brevi ma concisi che danno vita a una storia che fa riflettere, all’inizio può esserci un po’ di confusione, non si capisce mai chi sia vittima o carnefice, ma piano piano ogni tassello va al suo posto e il finale lascia posto a un solo vincitore: Ombra.
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Una montagna dalla cima piatta
Lo stile è efficace, con pause ad effetto che sono il marchio di fabbrica dell'eloquio di Lucarelli, l'ironia non manca e le atmosfere esotiche sono ben descritte anche dal punto di vista storico-linguistico.
L'Eritrea di fine Ottocento colonizzata dagli italiani spicca vivida e le folate di caldo africano sfiorano il lettore, insieme all'aroma dei chicchi di caffè tostati, ma la trama di questo giallo con venature da intrigo internazionale è debole e ingarbugliata e la noia avanza inesorabile man mano che si procede nella lettura.
La soluzione poi, malgrado tutto l'ambaradan che sta dietro, è il trionfo della banalità e ricorda quella dei delitti della Settimana Enigmistica.
Nulla da rilevare sui due protagonisti, il capitano Colaprico e il carabiniere indigeno Agbà, a parte il baffo del primo e la perspicacia del secondo, Sherlock Holmes abissino che dice “Berghèz” - “Ovvio” - invece di “Elementary my dear Watson” (le similitudini, a dire il vero, si fermano qui).
Intrigante, invece, la figura della “ualla” la “monella” seduttrice ma non propriamente prostituta che muove indirettamente le fila degli eventi con l'unico scopo di godersi il più possibile la vita, a volte giocando col fuoco.
Non ci sono però abbastanza elementi per definire interessante un romanzo che si legge per forza d'inerzia e si fa presto a dimenticare, del tutto privo com'è di suspense e mordente.
Una montagna dalla cima piatta, proprio come quelle eritree.
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Il mistero della Vita
Si sentano liberi di leggere questo saggio anche coloro che con le scienze ambientali non hanno mai avuto molto a che fare. Il fatto che faccia parte di una collana scientifica e che tocchi un argomento tanto spinoso potrebbe far temere di trovarsi tra le mani un trattato tecnico incomprensibile per i profani, oppure un testo con deliranti profezie apocalittiche sul futuro della nostra Terra e poco realistiche proposte di cambiamento nelle nostre abitudini quotidiane.
Niente di tutto questo. “La liberazione dell’ambiente”, edito da Di Renzo Editore, è stato scritto da Jesse H. Ausubel con un linguaggio quotidiano, narrativo, direi confidenziale. Una lunga chiacchierata con il lettore, senza mai tentare di impressionarlo con le proprie conoscenze scientifiche ma cercando – piuttosto – di stimolare curiosità verso i campi di ricerca su cui ha speso un’intera vita.
Il percorso scientifico di Ausubel, infatti, abbraccia fondamentali ricerche riguardanti la situazione ambientale, lo sfruttamento delle riserve energetiche e la biodiversità.
L’autore inizia la sua informale chiacchierata rievocando l’infanzia e le proprie origini familiari, di cui ha potuto confermare con certezza la provenienza anche grazie alle più moderne tecniche di analisi del DNA. Nato e cresciuto in America, ha scoperto di avere origini italiane e turche, sempre di famiglia ebraica; ha potuto così affiancare i dati scientifici ai racconti dei nonni, fuggiti dall’Europa prima delle persecuzioni della Seconda Guerra Mondiale e ambientatisi negli Stati Uniti, terra delle opportunità.
Opportunità che l’autore ha cercato di utilizzare al meglio fin dal periodo scolastico, vissuto in maniera creativa per realizzare progetti e condurre esperimenti, pur in un ambiente che prediligeva le materie letterarie a quelle scientifiche. All’università, piuttosto che concentrarsi su un percorso di studi univoco (come è d’obbligo qui da noi), ha preferito tentare un po’ di tutto e seguire ogni corso che stimolasse la sua curiosità, ampliando la propria “visuale” e aggiungendo agli studi perfino la pratica del teatro, scritto e messo in scena. A concludere questo periodo pre-lavoro, un viaggio in Europa che gli dà la possibilità di destreggiarsi con parecchie lingue straniere.
Il primo incarico importante per Ausubel si consuma alla Conferenza Mondiale sul Clima delle Nazioni Unite, dove il giovane scienziato può applicare anche le sue conoscenze di organizzatore di eventi, oltre che avvicinarsi per la prima volta alle neonate scienze ambientali.
L’esperienza lo porta di nuovo oltreoceano. Viene inserito nel gruppo di ricerca dell’Istituto Internazionale per i Sistemi Applicati, con sede in Austria. Qui ha l’opportunità di lavorare accanto a scienziati provenienti da tutto il mondo, perfino da oltre il blocco sovietico, in un ambiente di scambio e collaborazione che lo convincerà del ruolo della scienza come distruttrice di barriere politiche ed economiche. Là incontra il suo mentore, il fisico italiano Marchetti, e indirizza definitivamente i propri interessi verso il settore ambientale ed energetico.
Nei primi anni ’80, infatti, è un fiorire di ricerche che mutano radicalmente l’atteggiamento globale verso l’ambiente. Studi sull’emissione di gas serra e sul riscaldamento globale, un’analisi sistematica dei problemi ambientali e proposte razionali per un’efficienza dell’utilizzo delle risorse, in maniera da restituire al pianeta ampie zone vergini.
Ausubel racconta un’avventura emozionante quando tratta del progetto di censimento della vita marina, iniziato alla fine degli anni ’90, che lo ha portato a solcare gli oceani per anni alla ricerca di tutte le specie marine conosciute e a stimare una cifra esorbitante di creature ancora da scoprire. La missione è stata condivisa dal regista francese Jaques Perrin, che ne ha tratto il film ambientale “Océans”.
Ancora, lo scienziato si è imbarcato in una catalogazione del DNA delle specie viventi (il DNA barcoding) e nella stesura di una vera e propria Enciclopedia della Vita, un lavoro in progress disponibile on-line, oltre a una ricerca sul Carbonio Profondo che potrebbe rivoluzionare le teorie sull’origine della vita sulla Terra.
Un testo spigliato, intrigante e permeato di simpatia, adatto a qualunque tipo di lettore.
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La vita in tempo di pace
Il progetto è senza dubbio ambizioso, il risultato non è all'altezza.
Il tentativo di voler scrivere un romanzo in cui si parla della storia dell'ingegner Ivo Brandani per parlare della Vita in senso assoluto e della storia dell'ultimo secolo se non del tutto originale è di sicuro molto interessante, ma qualcosa dopo le prime pagine molto belle e accattivanti non funziona.
L'originalità di voler parlare della caduta di Bisanzio, ricostruendo attraverso gli occhi del protagonista una realtà lontana, disegnata tratti vacui e pieni di emozioni, lascia presto il posto ai racconti di un uomo sulla via della vecchiaia, con i problemi di un sessantenne, pieno di luoghi comuni e di sensazioni già raccontate.
Leggendo la critica si apprende che è stato paragonato a Gadda o a Calvino, io non riesco a trovare niente dei due grandi scrittori, ma neppure di Siti, poiché quest'ultimo cerca in qualche modo di mettere su carta il suo essere, Pecoraro non ci prova neppure; le parole si susseguono, stanche e ripetitive, la sensazione che si ha è quella di una marea inutile di parole per esprimere dei concetti semplici che appesantiscono la lettura, perché non la rendono fluida.
Si capisce che l'intento dell'autore è quello di scrivere un romanzo potente, in cui attraverso la storia particolare di un uomo che sta per giungere alla conclusione della propria vita descrivere un'epoca, la nostra, fatta di molte contraddizioni e di difficile interpretazione, ma se non si vuol scrivere un saggio, ma un'opera di narrativa la componente formale è determinante ed è qui che tutto il castello cade.
Pecoraro conosce il mestiere, non utilizza escamotage tipo frasi ad effetto o periodi brevi, ma il suo stile è monocorde, intriso di una eccessiva malinconia, una nebbia avvolge i personaggi senza però donare quello spessore di cui avrebbero bisogno.
Una lettura lunga, molto pesante che non aggiunge niente al panorama italiano, ma che in ogni caso consiglio, perché lo sforzo fatto per realizzare un romanzo, nel vero senso della parola va premiato.
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FILLIDE AMOROSA
Fillide amorosa……. Vediamo chi era Fillide? figlia di Sitone, Re di Tracia, sposa Demofonte, il quale un giorno parte per rivedere Atene da cui mancava da molti anni, lasciando Fillide con la promessa di tornare presto da lei.
Demofonte dimentica la promessa fatta, disattendendo così gli accordi presi con la giovane sposa, che, dopo aver percorso la discesa verso il litorale nove volte, nel tempo del ritorno, non vedendo arrivare Demofonte si uccide impiccandosi trasformandosi poi in mandorlo. Le lacrime che Demofonte versa bagnando il mandorlo stesso, lo fanno germogliare, ma una fine tragica attende anche il giovane……
L’immagine in copertina richiama la storia, in quanto rappresenta, su sfondo grigio, il quadro di Van Gogh “Rami di mandorlo in fiore”.
Titolo ed immagine in copertina, forniscono già una traccia evidente della personalità dell’autrice. Donna di elevata cultura, che attribuisce alle parole ed immagini (in questo caso), un forte significato simbolico, ed una potenza non comune.
Quale sarà il contenuto dell’opera? Ci si potrebbe chiedere…. Questa raccolta racconta l’amore. Non l’amore universale, l’amore filiale, l’amore verso dei luoghi, ma l’amore che nasce tra un uomo ed una donna. Si potrebbe dire le stagioni dell’amore, non solo per quanto riguarda l’evoluzione dell’amore stesso all’interno di una storia, ma l’amore rapportato alle varie fasi della vita, giovinezza, maturità, anzianità.
Le poesie, rispecchiano per molti versi la sofferenza della giovane Fillide, la solitudine, la delusione, l’attesa, il ricordo….. In poche liriche si percepisce la gioia piena, sempre comunque celata da un velo malinconico.
Le poesie riportate coprono un periodo di composizione che va da 1987 al 2013. Quindi un lasso di tempo molto ampio.
L’amore raccontato è un amore che contempla sì la passione, ma soprattutto svela la sua fortezza nella profondità e affidabilità del sentimento.
Restano lì a guardare
Prudentemente
Gli alberi del bosco
Quando le sere d’estate,
si dà fuoco all’amore.
Io non sono passione
Che scortica e brucia,
io sono unguento
per ogni ferita.
Inoltre l’autrice ha vinto il premio “haiku contest” nel 1999 promosso dall’Istituto di cultura giapponese; se pur questa raccolta non sia espressamente un insieme di componimenti totalmente Haiku, certe liriche richiamano questo modo di scrivere poesia.
Questa modalità di scrittura, appartiene fortemente all’autrice. Si deve percepire come reale l’immagine che viene creata con le parole e viverla. Il componimento in stile Haiku prevede che si debba osservare e meditare gli elementi necessari alla composizione, nella quale devono essere racchiusi determinati principi quali: il silenzio, l’inatteso, la tristezza, il mistero, la nostalgia e transitorietà, la delicatezza, l’ombra, la leggerezza, l’innocenza.
Tutto questo per dire che alcuni componimenti brevissimi riportano a questo…
“essere la sua goccia che trabocca
la sola capace di farlo sentire
finalmente pieno.”
Assaporate queste parole: Goccia che trabocca, realmente queste parole trasmettono una sensazione di pienezza, non solo per il suono che producono, ma per ciò che significano, acqua che riempie fino a traboccare, l’acqua fonte di vita, l’acqua che riempie, prende la forma del contenitore, si fonde con esso, ma nello stesso tempo non perde la propria unicità… Meravigliosa! Ed ecco che in questi versi trovo la delicatezza ed il mistero che si compie.
Oppure:
“Quando un amore muore
l’anima si torce
nel veleno dei giorni felici”
Mamma mia, quanto dolore riescono a trasmettere queste poche parole, scelte con estrema cura, intessute in un arazzo che risulta poi doloroso da guardare, la gioia, la passione si trasformano in veleno per un’anima che ne risulta straziata….. L’inatteso per la fine di un amore, la tristezza e transitorietà respiro tra le righe, l’ombra di un amore che non c’è più….
“Sul mio mattino chiaro
Tu sei la stretta, profonda feritoia.
Senza di lei non vedrei la luce.”
Le poesie di Grazia Valente si sono fatte strada nella mia mente e nel mio cuore a piccoli passi, ho percepito odori, suoni, visto immagini, colori che improvvisamente sono scoppiate in un caleidoscopio di emozioni.
E’ una donna molto forte l’autrice, che ha amato con tutta sé stessa, non sempre ricambiata, capita, riamata. La sua analisi è lucida, e l’amore alla fine trionfa…
“Stelle
Che con il vostro bagliore dialogate con chi è solo,
riprendetevi la luce! Lui è ritornato.”
Grazia Valente mi ha stregato! Tutti i suoi versi hanno lasciato il segno. La delicatezza, la lievità nel riuscire ad esprimere anche il dolore e disincanto, mi hanno totalmente rapita.
Come sempre grazie alla Redazione.
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Tradimenti e felicità
Linda è una nota giornalista svizzera, sposata con un uomo splendido e madre di due meravigliosi bambini. Nel volgere di pochi giorni, il suo benessere cede il posto ad un male inspiegabile, un profondo senso di solitudine le divora l’anima, cosa può fare per uscire indenne dal buco nero? Intraprendere una relazione extraconiugale, nella speranza di ritrovare l’Amore e la serenità. Sarà la soluzione migliore?
La ricerca della felicità attraverso il tradimento del proprio coniuge non è il messaggio migliore che lo scrittore abbia trasmesso dagli inizi della sua carriera. Stimavo il Coelho che parlava dell’Amore universale inteso come sentimento puro che abbraccia il mondo nel massimo rispetto di tutti. Ricordo con commozione alcune sue opere, intrise di piccole perle di saggezza, ricorrevo ai suoi scritti per provare un senso di benessere bevendo avidamente ogni parola, per godere degli effettivi curativi. Questo romanzo cos’è? Un banale tentativo per spiegare il malessere che dilaga e un espediente per giustificare l’adulterio.
Una trama con uno spessore impalpabile, a tratti volgare, a tratti patetica. Addirittura si sfiora l’eresia, si legge ad un certo punto che è lecito tradire il marito per cercare la via della luce che porta all’amore, quindi dritti a Dio, perché Dio è amore. (Coelho ma hai perso la ragione? Vuoi una mano a ritrovarla?). So che tutto ciò che ha pubblicato lo scrittore è il frutto del suo percorso interiore, pertanto, una domanda sorge spontanea: hai provato anche questo? Hai viaggiato, visto, fatto tanto per trasmetterci così poco? Più avanza il suo cammino verso l’illuminazione, maggiore è il danno, perde smalto e credibilità. Ognuno è libero di fare ciò che crede, non è necessario vomitarlo in un libro e farlo passare per qualcosa di speciale.
Sicuramente l’autore scrive bene, è colto e vissuto; sono presenti citazioni pertinenti e riflessioni che lasciano spazio a varie interpretazioni, non necessariamente negative o di bassa lega. I capitoli sono brevi ed in generale la lettura è scorrevole. Il titolo racchiude l’essenza del libro e la copertina è di cattivo gusto.
Concludendo, Coelho è ambiguo, in lui risiedono due persone, il saggio e il libertino, uniti formano un profeta discutibile, uno da lasciare fuori dalla porta, come del resto questo libro.
“L’amore non è soltanto un sentimento, è un’arte. E, come qualsiasi arte, non è sufficiente l’ispirazione, ci vuole anche molto impegno.”
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Johanna
La signora Hoppe è un'autrice tedesca di cui in Italia non abbiamo avuto modo di leggere tanto finora.
Il testo pubblicato e tradotto dall'editore Del Vecchio possiede un titolo accattivante per gli amanti del romanzo storico o della saggistica biografica; si tratta di “Johanna”, ossia Giovanna D'Arco.
E' un romanzo di letteratura “ sperimentale”, un'opera in cui il lettore percepisce presto la necessità dell'autrice di intraprendere nuove strade espressive e narrative, abbandonando i sentieri battuti dai classici biografi.
Non vuole essere una biografia, non vuole essere solo narrativa; la Hoppe vuole dare una forma complessa creando un essere ibrido che mescola fantasia e realtà, storia e finzione, dove i protagonisti sono i pensieri e non gli eventi.
Inevitabile la delusione per il lettore affamato di spessore storico, che si aspetta di incontrare tanta parte delle vicissitudini occorse alla pulzella; qualche rimando storico tratto dai verbali del processo cui fu sottoposta Giovanna è presente tra le righe, ma rimane invischiato in un flusso narrativo che prevede diversi piani temporali e logici.
Giovanna D'Arco non è la sola protagonista del romanzo, ma a lei si alternano le voci di una giovane dottoranda, di un docente ed una figura misteriosa.
Tutte le figure escono appositamente sfuocate dalla penna dell'autrice, possiedono solo qualche linea di contorno ma sono destinate ad essere solo “voci”, sentimenti e paure che si fanno verbo, provenienti come echi di un passato lontano oppure fantasmi di un tempo presente.
Pur essendo pregevoli gli intenti dell'autrice, tuttavia è un romanzo che fatica ad uscire da una zona d'ombra; risulta ostico per disomogeneità di contenuto e pone al pubblico un interrogativo finale su quale sia il nesso sotteso alle due storie parallele passato-presente cui si fatica a dare risposta.
Rimane comunque giusto dare una chance di lettura a questa autrice d'oltralpe, di cui apprezziamo lo spirito innovatore e la voglia di cercare nuovi linguaggi narrativi.
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LA SOPRAVVIVENZA DELL’INNATURALE REGIME
«Perché in Iran hanno fatto la rivoluzione? Stavano così bene quando c’era lo Shah!»
Anni fa, poco tempo dopo l’insediamento del sanguinario regime teocratico di Khomeini, mi è capitato spesso di ascoltare luoghi comuni simili a questo. Certo, una rivoluzione non causata da motivi economici è difficile da comprendere; ma bastano già i crimini della Savak, la feroce, onnipresente e onnipotente polizia politica dei Pahlevi, a rendere l’idea di che cosa fosse, davvero, la vita ai tempi dello Shah. Fatemeh Amini era una donna, appartenente di Mojahedin. “La crocefissero nuda. Fu fatta passare supina sulla fiamma ardente, mentre subiva le frustate di quindici agenti accaniti. Di Fatemeh erano rimasti pelle e ossa, e il cattivo odore delle sue ferite infettate si sentiva in tutto il carcere di Evin. Praticamente paralizzata morì dopo cinque mesi di tortura.”
L’opera di Esmail Mohades narra la storia del popolo dell’Iran, che iniziò la lotta per il cambiamento del sistema feudale e la democrazia già alla fine del XIX secolo. Ci racconta gli uomini e le idee della rivoluzione costituzionale persiana, la nascita e la sconfitta del Fronte Nazionale di Mohammad Mossadeg, i principi politici e la sofferta ricerca ideologica dei Mojahedin, le radici di una rivoluzione tradita, il sacrificio di uomini e donne generosi, l’influsso nefasto del corpo dei Pasdaran. E poi l’influsso devastante delle potenze straniere, in particolare degli USA, la neonata superpotenza che dopo la seconda guerra mondiale aveva bisogno di un trasformare l’Iran nel “gendarme del Medio Oriente”.
“Due fattori negativi impedirono il realizzarsi del sogno iraniano: l’inadeguatezza di chi si trovava a capo del movimento e le interferenze straniere che si esercitavano proprio attraverso pedine interne.”
Pagina dopo pagina, scopriamo che storia dell’Iran è segnata da scelte politiche all’apparenza “realistiche”, che si sono rivelate controproducenti per tutti, morti e sconfitti, burattini e burattinai. Anche dopo la caduta dello Shah, il “Grande Satana” non ha mai smesso di trattare sottobanco con i protagonisti del regime teocratico: con il carismatico Komehini e con i suoi sanguinari e ipocriti successori, fondamentalisti che hanno calpestato i principi della loro stessa fede per mantenere il potere, senza fare mai nessuno sforzo reale per affrontare i problemi del paese. Gli aguzzini degli ultimi regimi iraniani hanno usato le guerre, le condanne a morte, il fanatismo, le stragi, la produzione di armi nucleari per nascondere la loro inconsistenza morale, culturale, umana. Dopo i morti delle manifestazioni iraniane del 2009, la crisi profonda del settore mediorientale costituisce l’ultimo frutto di una catastrofica miopia politica.
L’autore ci porta fino all’Iran di oggi, ancora e sempre poco conosciuto dal mondo occidentale, che pure ne ha segnato la storia in modo indelebile. Le pagine di questo saggio, ben scritto nonostante qualche pagina un po’ farraginosa e uno stile non molto scorrevole, ci consentono di conoscere e comprendere il valore di un popolo che meriterebbe davvero un futuro migliore.
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la DONNA che Edouard ha lasciato
Ci troviamo nella Francia del 1910 quando Sophie, innamorata del pittore Edouard Lefèvre, posa per lui facendosi ritrarre spensierata e sicura, in un tempo che non ha ancora conosciuto paura e devastazione. È rilassata, in dipinto lascia trasparire un’ audacia che Sophie, anche negli anni più bui non ha mai perso. Quel quadrò è l’unica cosa che tiene aggrappata la donna agli anni in cui era ancora felice, prima che suo marito si arruolasse e dovesse partire per il fronte, durante la prima guerra mondiale. Lo guarda ora, e si ricorda la donna che era e la determinazione che emanava. Tra il bancone del locale “Coq Rouge” e le feroci chiacchiere dei compaesani, incattiviti dalla guerra, la donna cerca di farsi forza, di andare avanti con la speranza di poter incontrare il suo amato Edouard e poter ricongiungere la sua famiglia. Il suo ristorante diventa la meta più ambita dai soldati Tedeschi, cosicché sia Sophie che sua sorella Helene si troveranno a dover cucinare per loro. Il quadro di Edouard suscita subito approvazione da parte del comandante delle truppe nemiche, finchè Sophie, disperata, si troverà a dover chiedere aiuto proprio al più pericoloso degli uomini, dopo aver saputo che suo marito è in pericolo di vita.
Nella Londra del 2010, Liv è una donna provata dalla prematura morte del marito, mentre Paul lavora per una società che si occupa del ritrovamento di opere d’arte trafugate durante la guerra. I due, all’inizio della loro relazione si accorgono di essere uniti da molto più di un passeggero sentimento, sono infatti uniti da qualcosa di più grande… e prezioso. Un inestimabile quadro di valore, in cui appare una donna caparbia e determinata. Ancora in grado, cent’anni dopo, di cambiare le vite altrui con estrema facilità.
“La ragazza che hai lasciato”, come descrivere questo romanzo?Una storia d’amore?
Si, e molto di più.. una storia di passione, un amore sofferto, e profondamente vero, un amore che ha conosciuto il distacco forzato e costante di due cuori profondamente uniti. Mi è piaciuto molto, inizialmente ero un po’ scettica. Io, come ho scritto nella recensione del libro “Finchè le stelle saranno in cielo” mi trovo sempre in difficoltà a leggere dei libri che trattino l’olocausto, la guerra e che parlino di fame e paura. Non riesco a leggere di questi argomenti senza farmi venire le lacrime agli occhi e un nodo alla gola. Questo libro però, è riuscito a prendermi, a farmi affezionare ai personaggi (senza nessuna esclusione) e a non lasciarmi l’amaro in bocca. Questo libro riesce ad emozionare in pochissime parole, basta un accenno alla storia d’amore tra Sophie ed Edouard e alla loro distanza per portare il lettore ad immedesimarsi nella protagonista, lasciando scendere liberamente le lacrime. Chi non vorrebbe vivere una storia d’amore così? Con un pittore che vive alla giornata e ti fa sentire la più preziosa tra le opere d’arte? La più pregiata, la più inestimabile.. trovarsi a bere del vino tra le vie Parigine, circondati dai più grandi pittori, vivendo semplicemente così, senza obblighi? Questa vita era perfetta per Sophie, finchè la guerra non si è portata lontano il suo unico amore. Come reagiremmo noi? Cosa sappiamo in realtà della vera tristezza, quando viviamo con i nostri cari, protetti e al sicuro? Fa riflettere, però mantenendo la leggerezza tipica di un libro da sfogliare sotto all’ombrellone. Se l’ho apprezzato? Questo è certo. Ho letto questo libro in quattro giorni, dopo settimane in cui, causa lavoro, ho potuto ritagliare ben poco tempo per me stessa. Cercavo un libro leggero, e mi sono buttata su questo accantonando lo scetticismo iniziale. E ha funzionato! Sono rimasta esterrefatta dalla Francia dei primi anni del 1.900, mi si è aperto un mondo che non avevo mai preso particolarmente in considerazione. Tendiamo a collocare i campi di sterminio e le deportazioni di massa solo dal 1941 in poi, non sapendo che però, accadeva anche in Francia, durante l’occupazione tedesca della prima guerra mondiale. Giusto un paio di cose non mi hanno lasciata del tutto soddisfatta; Ho sperato fino all’ultimo capitolo di sapere come e quando è stata ritratta Sophie, a cosa era dovuto il suo sguardo risoluto mentre veniva ritratta.. ma questo, rimarrà un mistero. Ho anche trovato un po’ noiosa la parte legata alla contesa legale dell’opera alla fine del romanzo. Avrei apprezzato di più se fosse stato effettuato qualche “taglio”, la storia in sé filava bene, anche l’idea dalla sfida tra le parti mi sembra azzeccata, ma troppo lunga e ripetitiva. Per concludere posso dire di sentirmi arricchita da questo romanzo, “La ragazza che hai lasciato” ha lasciato in me una giusta dose d’amore e di speranza, immaginando Sophie ed Edouard a bere vino tra le vie francesi, abbracciati e felici.
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Mahahual e dintorni
Laggiu' in fondo alla penisola dello Yucatan, poco distante dal confine col Belize c'e' un piccolo paese messicano : si chiama Mahahual.
Potrebbe essere un tranquillo angolo di paradiso caraibico non fosse per i suoi colori. Certo non il turchese delle acque che lambiscono il bianco delle sue spiagge, o le sfumature di marrone dei tetti di palapa, o il verde delle mangrovie. Sono le sbiadite nuances di plastica immortale che a Mahahual confluisce da ben tre continenti i colori cui mi riferisco. Sono i tappi del medesimo materiale che spiccano nello stomaco scheletrico di un povero uccello riverso sulla battigia.
A Mahahual non ci sono teatri, cinema, nemmeno librerie ma la popolazione ogni giorno ha a che fare con mondi lontani, raccogliendo la plastica che da essi le correnti riversano quotidianamente sulla costa.
Mahahual e' punto di arrivo e punto di partenza, nel mezzo ci sta Cacucci che divagando o ampliando la prospettiva che dir si voglia - a ogni lettore il suo bilancio - ne fa un mezzo per sostenere una sempre benvenuta propaganda ambientalista. Un pizzico poi di storia del Messico attraverso personaggi di spicco che lottarono per il Paese, deviando poi nelle piacevoli avventure dei leggendari pirati che infestarono le acque del Mar dei Caraibi.
Il libro e' definibile di tutto un po' o poco di tutto, non so ancora bene da che parte propendere. Nel senso che piu' che di argomenti approfonditi trattasi di accenni ben sviscerati, scritti con una piacevole penna fluente che ha il merito di portarci in un Paese affascinante ed allo stesso tempo offrirci spunti di riflessione.
Grazioso, una piacevole compagnia di ottimi e apprezzabili intenti di sensibilizzazione piu' che di gran contenuto. Buona lettura.
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VEDERE ? LUCA PUO'...
Luca vede...
Luca comprende...
Luca è attento...
Luca è sensibile...
E potrebbe continuare a lungo la lista di quello che l'autore Luca Favaro riesce a fare.
Con dieci racconti, in nove dei quali lui risulta essere il protagonista principale, egli si svela a noi con la sua maturità, con la sua capacità empatica, con i suoi messaggi d'amore, in primis quello verso Dio , che lui incontra ogni giorno, attraverso le persone e la natura.
Storie di anziani soli e di persone emarginate e non capite dalla società.
Situazioni di vita in cui emergono la capacità di un sorriso , di una buona parola o di una complicità spontanea, che ti riscladano davvero il cuore.
Momenti di vita che esprimono emozioni e forti sentimenti; come posso io dimenticare il racconto riferito al ricordo del suo maestro.
Buone e sane riflessioni che ti portano al confronto e ad un arricchimento personale.
Un libro che trasuda di vero amore, che non è limitato a spazi e tempi determinati, ma che vaga tra le persone e tra le esperienze di vita...
Colpita dalla capacità di revisione e intropezione personale dell'autore che, sarò sincera, mi ha colpita e conquistata per la sua umiltà e grande capacità di regalare amore attraverso delle opere concrete...
Grazie Luca, per questo libro, che reputo possa essere considerato un dono per tutti...
...e mi resterà il ricordo di una persona speciale, con la sua attenzione e soprattutto capacità d'azione , in caso di bisogno...si Luca...proprio tu !
Un libro che profuma di buono...
Pia
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Storia umana e inumana
Un onirico viaggio attraverso i secoli e gli stati d'animo che richiama alla mente immagini Dantesche senza scimmiottarle o avvilirle, solo rievocandole.
L'atmosfera che avvolge il lettore è ovattata, la sensazione è quella di entrare nella nebbia e cogliere immagini, sfuocate, dagherrotipi che prendono vita e iniziano a parlare e a rievocare un passato a loro caro e talvolta doloroso.
Difficile collocare questo romanzo in un genere letterario: a tratti è una biografia, ma la profondità in cui ci si addentra, sviscerando le fibre dell'anima del protagonista, non permettono di porlo in quella casella, così come non può essere definito un saggio benché le note a piè di pagina approfondiscano tutti gli aspetti storici e culturali, innumerevoli e disseminati per le oltre quattrocento pagine.
Quello che è certo è che si sta parlando di uno scrittore che ama scrivere per esprimere delle emozioni profonde, nascoste nel suo animo, che scalciano per uscire e generare un flusso di meravigliosi pensieri e ricordi, immagini evanescenti fatte di personaggi antichi, ma morti solo nella carne, ma viventi nell'immaginario collettivo di ognuno.
Descrivere a parole quello che si prova leggendo queste pagine è difficile, perché non è una prosa semplice, non è una lettura per tutti, sia per i temi trattati, ma soprattutto per lo stile che pur essendo molto particolare e ostico è ciò che rende quest'opera un'esperienza unica.
Le parole si susseguono veloci, intervallate da spazi bianchi quasi a rendere poesia ciò che si legge, un periodare lento e a tratti veloce che dà ritmo all'azione, che obbliga a seguire il tempo dettato dall'Autore, così come il protagonista è obbligato a seguire la sua guida in quest'oscuro viaggio, per non perdersi in un oblio fatto di incomprensione di fraintendimenti, ma è perdersi in questo libro, perdere il filo, non comprenderne il senso, ma se ci si affida alla musicalità, se si lascia che esso legga noi anziché il contrario, allora non solo il suo significato diverrà chiaro, ma anche la vita del suo Autore acquisterà un senso più profondo, le sue paure saranno le nostre, le sue visioni le nostre e davanti appariranno il Che, Mao, Perlasca, ma anche Russel, Einstein, Mia, Marilyn e tanti altri che come in una sfilata si mostreranno per ciò che sono, posti infine, in quella dimensione in cui non esiste il tempo, non il passato, non il futuro, ma entrambi lo stesso istante, la completa comprensione dell'esistenza là dove l'esistenza non c'è più.
Quella nebbia avvolge tutto, quelle parole si susseguono, mentre la storia salta indietro e in avanti creando caos e la filosofia si mischia con la musica che cerca di comprendere l'essenza stessa della vita.
Un'opera che prevede una buona dose di convinzione, ma che apre le porte ad un modo diverso di fare letteratura, che esprime la voglia di regalare emozioni, non preconfezionate, non edulcorate, ma vere perché vissute e una volta liberate non potranno che moltiplicarsi in ogni lettore.
Lettura consigliata, senza dubbio.
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Il prezzo da pagare!
Ho scelto questo libro perchè in quarta di copertina è riportato.....” L'italiano sulle orme di Ken Follett “ ed io adoro Ken follett!
Libro molto bello, ben scritto, interessantissimo, appassionante, rivelazioni e colpi di scena; un capolavoro sicuramente dedicato a chi e in grado di comprenderne concetti e riferimenti trattati.
Storia legata alla realtà dove il lettore sarà trasportato e coinvolto in intriganti segreti italiani di giochi di potere.
Si è parlato molto di Luigi Bisignani, della sua uscita editoriale e della mancata presentazione al Salone del libro di Torino.
Si dice che il libro avrebbe dovuto essere presentato l'8 maggio ma guarda caso proprio quel giorno era in programma anche l'assemblea dei soci della casa editrice del Corriere della Sera, il giornale alle cui vicende è ispirato il libro.
Rivelazioni scomode?
Consiglio di non perdete la lettura di rivelazioni di questo libro ma per le confessioni bisognerà attendere forse l'uscita del prossimo libro.
Buonissima lettura a tutti!!!!!
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AL MARE NON DOVREBBE PIOVERE MAI
Ho scelto di leggere questo romanzo perché mi ha molto colpito la copertina e la trama che ho trovato molto originale e insolita.
Questo libro, infatti, è diverso da molti altri che ho letto in passato credo che sia dovuto allo stile di narrare dell’autrice che l’ha reso interessante e non banale.
Vengono affrontati vari argomenti nel libro, quello principale è sicuramente quello del ricordo e della nostalgia per un tempo ormai passato che non può tornare.
La scrittrice ha utilizzato due registri narrativi, quello di Domiziana e poi quella del narratore esterno, inoltre vengono usate molte metafore e flashback.
Domiziana è la protagonista del romanzo insieme alla sorella Andrea, loro sono originarie di Udine, hanno sette anni di differenza e oltre a questo hanno vite e caratteri completamente opposti.
Il libro comincia con Domiziana che arriva al mare di Grado dopo quasi trent’anni che non tornava lì, ma benché arrivare in estate sceglie di andare a novembre, in autunno.
Questo è un luogo a lei caro che le riporta in mente moltissimi ricordi e sensazioni legate alla sua infanzia, un periodo che lei ricorda con molto affetto e nostalgia.
In questo periodo dell’anno il mare perde la sua bellezza e si spegne così come anche i suoi abitanti, i pochi rimasti, che rimangono statici e immobili come se questo posto si animasse solamente nel periodo estivo.
A novembre, nessuno si sognerebbe di andare al mare, è un posto legato alla stagionalità dove tutti hanno un comportamento abitudinario si ci abbronza, ci si rilassa, si mangia il gelato, si tradisce e si parla con il vicino di ombrellone.
L’autrice descrive così il comportamento delle persone che ogni anno si incontrano al mare.
Ho sempre pensato che il mare fosse uno dei luoghi più belli ma allo stesso tempo più tristi, chi ci vive tutto l’anno vede quanto nel periodo autunnale e invernale resti isolato, si spegne e poi improvvisamente si rianimi solo nella bella stagione, tra l’altro dove il caos diventa normalità.
Domiziana, torna a Grado per ritrovare se stessa e in un certo modo anche l’amata sorella, il lettore conosce la protagonista a poco a poco, ma capisce subito il profondo turbamento che la ragazza vive.
Ci troviamo di fronte una persona molto timida, che mangia molto poco, che ama il mare e che ha sofferto molto. Si sposa giovane appena ventenne e poco dopo diventa madre di una bambina Nicole e dopo alcuni anni di matrimonio si separa dal marito.
Il fatto che abbia paura di ingrassare e che in qualche caso odi il cibo, è sintomo del profondo disagio che prova nei confronti del mondo.
Va a vivere nella pensione “Turchina” e nel periodo che trascorre lì a Grado si lascia trasportare dai ricordi e si lascia vivere, non riesce a reagire e non riesce almeno nel primo periodo a trovare se stessa.
Domiziana dice di essersi rassegnata alle assenze e ai rifiuti e si ritrova sempre sola ad affrontare le varie situazioni della vita, è sempre alla ricerca dell’amore lo cerca in ogni cosa.
Andrea invece, è una persona molto ribelle, bizzarra, strana, ha sempre cercato di scappare dalla sua famiglia d’origine e anche dalla sorella per vivere una vita diversa da quella che le si prospettava.
Dopo Udine si trasferisce a Londra, e continua a vivere la sua vita sentendosi poco con i suoi cari e anche con Domiziana.
Le due sorelle si vogliono molto bene anche se non lo dicono, vorrebbero avere un rapporto più intenso ma non riescono ad esprimere i loro veri sentimenti.
Nella vita e nel soggiorno a Grado per Domiziana arriva una scossa grazie all’incontro con Darko, un bosniaco che vive al porto.
A me è sembrato che la ragazza non abbia avuto gran fortuna nell’amore e che più di tanto a Darko non gli importa della ragazza, sembra freddo e crudo, come anche l’ex marito che non ha mai considerato importanti i sogni della moglie, inseguendo solamente i suoi.
Entrambe le sorelle non riescono a trovare un posto dove si trovano veramente bene ad eccezione di quel mare che le ha viste crescere, che le tiene utile fino alla fine.
Forse non ho capito fino in fondo le scelte che le due sorelle hanno fatto e il loro modo di affrontare i problemi, vite opposte ma seppur vicine.
Mi ha colpito moltissimo lo stile molto curato e il modo di scrivere dell’autrice preciso, lineare, semplice ma molto ricercato.
Lei è riuscita a caratterizzare i personaggi e a renderli reali, quasi come se fossero delle persone che conosciamo, dei nostri amici.
Sebbene la storia a mio avviso è semplice, a renderla interessante e ad avere una marcia in più ci ha messo sicuramente del suo la bravissima Alessandra che scrive in maniera dettagliata e originale.
Le descrizioni delle situazioni, dei luoghi sono molto curate e precise per darvi un esempio a pag.21 “le fette biscottate si sbriciolano tra le dita come borotalco, il piattino a losanghe è sbeccato sui bordi, il burro è calcareo e sa di naflatina”.
Un romanzo interessante che affronta dei temi importanti in maniera delicata e umile che cerca di descrivere il profondo mutamento e le problematiche legate all’animo umano e alla ricerca della felicità, in fondo tutti noi la cerchiamo.
Un libro sul ricordo e sulla ricerca dei sentimenti, sulla perdita e sulla precarietà dell’amore.
Il mare viene utilizzato come elemento di felicità e di serenità per entrambe le ragazze che solo in quel luogo riescono a sentirsi in pace come quando da piccole trascorrevano le vacanze.
Non sempre si ha una seconda possibilità per tornare indietro e per cambiare le cose e cercare di fare o dire qualcosa che per un motivo o per l’altro non si è riusciti a fare o dire.
Un romanzo che consiglio a chi vuole leggere qualcosa di originale, che vuole soffrire con i protagonisti e ad emozionarsi con loro.
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Il terribile futuro
Dmitry Glukhovski consegna alla storia della letteratura distopica il suo Metro 2033 circa dodici anni fa.
Immediato successo, nascita di un videogioco, gtraduzioni in tutto il mondo. Tullio Avoledo anni dopo entra nell'universo distopico di Glukhovski con Le radici del cielo, opera di grande successo che però non è di mera fantascienza perché combina accanto ai tipici elementi del romanzo anti utopistico disquisizioni filosofico-religiose.
Dopo il grande successo del primo romanzo il sequel La crociata dei bambini mantiene le premesse iniziali. Ambientato in un'epoca post atomica di violenza inaudita in una Milano sferzata da un tempo gelido e nevoso il romanzo, il cui titolo si rifà a un episodio occorso probabilmente nel 1212 e che vide un gruppo di fanciulli decisi a marciare verso il santo sepolcro, è una commistione di filosofia unita a descrizioni splatter che ben rendono il clima ostile in cui è precipitato il mondo dopo il disastro atomico.
Trascinante per la narrazione scorrevole e a volte poetica il romanzo avvince anche chi non è appassionato del genere per la capacità dell'autore di saper parlare a un pubblico vasto e curioso.
Giganteggia la figura del religioso cattolico John Daniels, l'inquietante Monaco e Vagante, ex bambino violato della sua infanzia.
La precisa descrizione della Metro milanese dove è ambientato il romanzo e degli altri luoghi della città ormai abbandonati a se stessi inquieta e a tratti sconforta. Ma se la storia appare per quasi tutto il tempo come un tunnel buio e cupo la luce della speranza non abbandona mai la narrazione, rendendo l'opera non pienamente distopica ma forte di una fede forse non salda ma atavicamente collegata all'essenza umana.
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“Pezzi di famiglia”
“Mi è arrivato un SMS di mio fratello: ‘Parlato con papà. Stasera vengo a casa tua alle 8’. Al diavolo i miei progetti per la serata ma non importa, io sono il maggiore e non posso dargli buca per una partita a calcetto. Mettiamola così, stasera si chiude il cerchio. Paolo gli avrà detto di no e ora il mio caro papà o inizia la dialisi e si mette in lista per un trapianto o presto morirà. E al punto di saturazione in cui mi trovo, francamente non me ne frega niente!”
Un testo conciso, ma vigoroso, dalle intonazioni cupe, tuttavia composto con estremo garbo. Sono queste le prime valutazioni che emergono leggendo il bel romanzo d’esordio di Cinzia Doti “Pezzi di ricambio”. Una prova notevole e coraggiosa, dato il tema da lei preso in esame: gli stretti legami familiari, i rapporti interpersonali e i “doveri” ad essi inerenti nei confronti di una scelta estrema, come il donare un proprio organo vitale ad un consanguineo. La giovane autrice affronta la questione narrando le vicissitudini di una famiglia divisa, composta da una madre costantemente depressa e da due giovani fratelli, che provano un forte risentimento nei confronti di un padre che li aveva abbandonati quando erano bambini. Quest’ultimo si ripresenta ai figli, vent’anni dopo, gravemente ammalato e con la pretesa che uno di loro gli doni un rene.
Cinzia Doti accenna inoltre, quasi in sordina, a due altre tematiche connesse strettamente al romanzo, quella del traffico illegale degli organi e dello spaccio ed uso di stupefacenti.
Un testo che, pur trattando tematiche sociali, etiche ed esistenziali assai rilevanti, è stato concepito con grande sensibilità dalla neoscrittrice. La quale, pur essendo alla sua prima prova letteraria, non cade nel tranello di eccedere nei toni e nel linguaggio verso una deriva truculenta. L’autrice fa invece uso di una scrittura essenziale, a volte assai penetrante e cruda, per narrare sotto forma di diario il travaglio emotivo, e per certi versi anche sociale, di Pier - il fratello maggiore, protagonista principale del racconto - e dei suoi famigliari di fronte al dilemma: favorire un padre ed un marito da sempre assente, puttaniere incallito, dispotico e pieno di sé o abbandonarlo al proprio destino? Un aut aut che se da un lato intensifica i rapporti fra i due fratelli e la madre, dall’altro ne evidenzia le differenze caratteriali.
Un libro non molto voluminoso per numero di pagine, ma sostanzioso per le questioni affrontate dalla sua autrice tramite una scrittura fluida e mai banale. Un romanzo scorrevole nella sua lettura, che scava però in profondità nelle coscienze dei suoi lettori.
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Il Pinocchio di Michelangelo
Il David di Michelangelo che diventa un uomo in carne ed ossa...ma ve lo immaginate? cinque metri di perfezione anatomica che si riducono fino ad assumere sembianze umane e che vengono a vivere a casa vostra.
Il corpo di un uomo perfetto, privo dei colori naturali che ci circondano, con la mente di un bambino di tre anni..una bellissima tentazione per chi "soffre" della sindrome della crocerossina, poter avere a completa disposizione un figo (diciamocelo, è un figo) come il David da addestrare, educare e iniziare ai piaceri della vita. Nessuna malizia e nessun doppio fine, vero? solo l'altissimo e nobile proposito di fare del bene ad una povera creatura nata nel 1500 e sperduta nel XXI secolo..non può mica andarsene in giro a parlare in fiorentino antico, giusto?
E' questa la situazione in cui si ritrova Vera, ladra professionista, che non volendo risveglia l'anima della statua, e che da quel momento in poi la considererà prima una sorella, poi una mamma e poi una donna, con tutti i risvolti che questo comporta.
Quello con cui la protagonista deve fare i conti è il desiderio del David di diventare a tutti i costi come lei, umano, con le impronte digitali, con gli occhi e i capelli colorati e soprattutto con un cuore..e cosa meglio dell'amore può far nascere dei sentimenti romantici in un animo sterile e vuoto?
Devo dire che in fin dei conti non è stato un romanzo tanto male: il libro è breve, il ritmo è scorrevole, la storia più o meno originale (se non si pensa alla Fata Turchina e a Pinocchio) e alcuni passi sono veramente divertenti; inoltre si capisce che l'autrice è un'esperta di storia dell'arte, date le descrizioni di alcuni opere famose, e che non ha paura di far mostra di sé in questo senso.
Il prologo poi mi ha colpito molto e lo riassumo con una frase sola: "..in un paese dove si vivrebbe solo di turismo culturale, lo storico dell'arte è disoccupato. Perennemente. Anzi, direi che dai più è considerato un peso sociale". Che dire? da laureata in Conservazione e Gestione del Patrimonio culturale e ambientale non posso che essere assolutamente d'accordo.
Comunque..bando alle chiacchiere!
Torniamo al libro: riassumendo le mie impressioni, posso dire che si tratta di una storiella piacevole, molto leggera, per nulla impegnativa, direi un libro da portare sotto l'ombrellone; non troverete di certo personaggi di spessore (ok, il David è fatto di marmo, ma questa sarebbe una pessima battuta), oppure ambientazioni esotiche e particolari, o dialoghi profondi e complessi.
E' uno di quei libri che si leggono velocemente e che alla fine non ti lasciano con alcun dubbio amletico o interrogativo esistenziale.
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La piramide di fango
Ormai siamo all'ennesimo capitolo di una fortunatissima serie letteraria di Andrea Camilleri, con protagonista il Commissario Salvo Montalbano.
Gli anni passano caro Salvo, con essi si appannano un po' la vista e l'udito, e ci si mette anche il cattivo tempo, con pioggia torrenziale e colate di fango ad annebbiarti il cervello. Sarà così? Tu Salvo lo sai bene da cosa deriva il tuo malessere, tu sai bene che seppur adori il tuo lavoro il tuo cuore batte per Livia che non passa un bel periodo, reduce da un finale che vi ha segnati per sempre ne "Una lama di luce".
Questo romanzo parte come gli altri, un morto ammazzato in circostanze poco chiare, si sviluppa molto a rilento, una cadenza ritmica data sicuramente da un Montalbano scarico, spossato, che non mette bene a fuoco le circostanze, il tutto scandito da condizioni meteo che non fanno altro che rendere più cupo il nostro Commissario.
Per fortuna la lucidità non abbandona l'impareggiabile collaboratore Fazio, l'eterno incompleto Augello ma è Catarella che con la sua naturale ingenua e semplice personalità a donare quel tocco di luce al romanzo, altrimenti troppo fosco e grigio negli umori.
L'ambiente in cui si svolgono i fatti è una Vigata immersa nel fango dei cantieri, quei cantieri di opere pubbliche che toglieranno il sonno al Commissario, quella Sicilia fatta di mille sfaccettature condizionate dalla storia, dalla politica, dalla Cupola o sarebbe meglio dire dalla piramide? Quei siciliani che si svegliano ed intraprendono ogni tipo di attività per fame, dagli imprenditori rampanti ai professionisti che saltano da un piede ad un altro come dagli scrupoli all'irresponsabilità, quegli operai assunti a nero, quelli clandestini, quelli di cui nessuno si preoccuperà mai pronti ad essere martiri per una fine vile o quelle anziane donne che nonostante l'età e le norme, si muovono borderline contrabbandando alimenti e donando un tocco di folklore puro e verace ...
Camilleri questa volta ce la mette tutta per cambiare il colore alla sua opera letteraria, dal giallo al noir il passo è davvero breve per un autore che in quest'opera appare un po' "cambiato", nell'approccio al lettore, sarà un' impressione personale?
L'opera è comunque godibilissima e si legge in una giornata, perchè è impossibile non avere voglia di scoprire come andrà a finire.
Ecco il finale. Seppur concludendosi con il colpo di scena alla Salvo Montalbano l'ho trovato molto sbrigativo.
Buona lettura a tutti.
Syd
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L'arte ingannevole del gufo
Poco più di una favola dai toni soffusi e dolci narrata in prima persona da una bimba affetta una affascinante malattia genetica: lo xeroderma pigmentoso che non permette alla pelle di ricevere raggi ultravioletti e quindi il sole, pena la comparsa di melanomi e dunque la morte.
La cosa che più colpisce non è la trama che appare lineare e piuttosto prevedibile, ma la caratterizzazione della protagonista; Viola è una bimba consapevole della propria malattia e della propria aspettativa di vita e i suoi pensieri sono verosimili, non si trova traccia in nessuna delle pagine di pietà o di commiserazione.
La vita di Viola è descritta con l'ingenuità e il cinismo che si addicono a questa situazione e lo stile utilizzato è lieve seppur veloce.
La storia consiste in un omicidio di cui Viola è testimone e dal quale cercherà di trarre tutto il vantaggio possibile, come ho accennato ci sono molti salti logici, è necessaria una sospensione dell'incredulità ed è necessario soprassedere in diverse situazioni, ma nel complesso la sensazione è piacevole durante la lettura, proprio perché naturale, anche se di naturale in una bimba che deve uscire la notte, insieme ai gufi, agli opossum e camminare con gli occhiali per la visione notturna, mentre i suoi genitori dormono non c'è niente.
Non sono i colori, ma i chiaroscuri, la luce delle stelle e della luna che rompe il buio, una luce buona, una notte piacevole, la brina che si forma e che ricopre la notte, una magia svelata e un'infanzia che nella solitudine trova la propria dimensione, equilibrata, razionale, saggia.
Sembra che la sua autrice non voglia raccontare una storia, sembra che l'evento descritto sia uno dei tanti, seppur nella sua straordinarietà, a popolare la vita di Viola; è questo il valore aggiunto, quello che resta a lettura conclusa, un mondo nuovo, diverso, ma non per questo peggiore.
Possono esserci altri piani di lettura? Credo di sì, ma non ostentati solo accennati e lasciano un piccolo seme per una riflessione futura che forse genererà un germoglio.
Un racconto d'intrattenimento, un modo piacevole di trascorrere un paio d'ore.
La pecca più grande però sta nella traduzione del titolo che da “Night vision” diviene un incomprensibile “L'arte ingannevole del gufo” che non concentra in sé l'essenza del libro, ma, insieme alla copertina davvero poco evocativa, non rendono giustizia al contenuto come invece fa l'originale.
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Per essere vento e non foglia secca
"è importante che le persone diano delle parole ai propri punti deboli affinché, esteriorizzandoli, perdono di potenza ".
Sandro è l'esempio di un uomo normale. Abita da anni a Torino, è un professore di storia amato dai suoi alunni. La sua vita procede senza intoppi: una figlia meravigliosa, una moglie ancora attraente, vecchi amici; un sodalizio perfetto che contribuisce alla serenità della sua esistenza.
L'arrivo di una lettera dalla strana calligrafia turberà le giornate primaverili del capofamiglia, costringendolo ad affrontare quei tristi ricordi che pensava aver rimosso.
Autori della lettera sono i suoi vecchi amici d'infanzia: Claudio e Giumone i quali offriranno un'occasione irripetibile: ritornare nel paese delle campane dove tutto ebbe inizio...
Ripercorrendo il doloroso viale dei ricordi per Sandro comincerà un 'viaggio interiore' che gli consentirà di mettere ordine nel proprio passato. Fotogrammi, volutamente dimenticati, riaffioreranno dai detriti di un tempo passato, evidenziando "quel dettaglio su cui non si era posta attenzione". Rimuovere quei detriti non sarà facile, nonostante sia arrivato il momento di elaborare quel dolore che ha consolidato quella "sensazione di essere uno scarto, che mai nessuno avesse desiderato". E sarà un andirivieni tra passato e presente, trovandosi ripetutamente a un passo dall'oltrepassare quella linea di confine tra realtà e follia.
La sua fervida immaginazione determinata dal dolore dell'abbandono, altro non è che un campanello d'allarme: 'il corpo mente la mente no'. Antidoti non ce ne sono, ma il sapere che vicino a te ci sono i tuoi familiari e amici sicuramente ti sarà d'aiuto, riuscendo a far entrare un po' di primavera anche tra i tuoi ricordi.
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Apocalittico
La storia anche in questo volume è avvincente ma c'è un'accelerazione sulla drammaticità delle situazioni, dei ricordi, delle prospettive. Ci sono scene pulp, crude, fin troppo crude o tragiche. In più c'è qualche smagliatura nella trama. Questa non ve la racconto visto che è la cosa migliore del romanzo. Dico solo che certe soluzioni sono tirate per i capelli. Come quando Gene decide di lasciare l'amico in pasto, anzi in antipasto ai tenebridi e parte per uccidere June ma senza l'intenzione di ucciderla ma di salvarla. Per questo si impunta e si trascina dietro Sissy. Mette in pericolo due persone per poi cambiare idea: ucciderà June. Ma poteva farlo da solo, allora. Anche dopo ci sono altre spiegazioni che non spiegano bene e completamente le situazioni. Il ruolo del padre di Gene, la sua natura se umana o no. Se no, non si capisce la fine di sua moglie e della sorella di Gene. Non si capisce chi è eminide e chi no. E chi lo è se è solo un alimento OGM. La spiegazione in gran parte chiarisce le cose ma mai completamente. Questo potrebbe anche dipendere dal fatto che uscirà un quarto volume. Il finale poi è apocalittico sul genere degli hunger games. Sinceramente nel fantasy a me piacciono le evoluzioni più classiche della trama, con gli amici che si aiutano, le situazioni che si risolvono, l'umanità che si salva in qualche modo. E' come se un certo individualismo fosse penetrato anche nel fantasy cambiandone la natura con un contagio simile a quello descritto nel romanzo: gli amici muoiono, l'umanità si estingue, ma rimane un cuore e una capanna. Il fantasy non è più una favola liberatoria ma ha la drammaticità delle storie d'amore estreme, amore e morte, senza averne però lo spessore. Spesso la scena macabra supplisce a una minore fantasia nel cercare soluzioni e ostacoli nuovi nella trama. Rispetto al secondo volume c'è una minore quantità di invenzioni e a volte le soluzioni sono un po' scontate. Il fantasy di avventura si avvicina più a una storia sentimentale in cui la scelta tra il bene e il male diventa la scelta tra due donne, tra due nature, tra due stati interconnessi dell'essere. L'interesse è spostato dal bene dell'umanità, come nel fantasy classico, a una sfera quasi privata. Beh, accontentiamoci. In ogni caso il romanzo è avvincente. Sul tipo degli Hunger games.
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“Giovani guerrieri”
“Gli special team entrarono in collisione, corpi intercambiabili che sciamavano e cozzavano, piccole guerre che scoppiavano un po’ ovunque, esaltazioni e primi spargimenti di sangue, caschi luccicanti che rimbalzavano sull’erba splendente, l’impatto spasmodico di due masse distruttive, uno spettacolo bello da guardare.”
Uno strano romanzo “End zone” di Don DeLillo, pubblicato negli U.S.A. nel 1972. Sì, singolare, poiché appare un coacervo di contraddizioni, almeno ad una prima superficiale lettura. Il linguaggio, in tutte le sue accezioni e sfumature, ne è l’assoluto protagonista, razionale, geometricamente equidistante fino all’ossessione, se non fosse per la trama costantemente in bilico fra il metafisico ed il surreale e per i suoi innumerevoli quanto stravaganti interpreti. Ad iniziare dal suo personaggio principale, Gary Harkness, running back in una sperduta università di provincia, il “Logos College”. Un ventenne totalmente disilluso e apatico, il cui unico scopo è quello di giocare a football, che del tutto inaspettatamente si trova ad avere un interesse mirato, quello per gli armamenti nucleari, le svariate strategie di annientamento globale e l’apocalisse, un coinvolgimento totale che rasenta l’ossessione. Una paranoia, resa ancor più vivida dal paesaggio che la attornia: una landa desolata e desertica del profondo sud texano. E’ in tale contesto che si svolgono le vicende intessute da DeLillo. Storie intrecciate fra di loro in un susseguirsi di eventi, nei quali è l’umorismo ad emergere il più delle volte dalle varie situazioni in cui si trovano coinvolti i suoi interpreti. Circostanze che vanno dagli irrazionali allenamenti alle azioni di gioco, fino alle più raffinate simulazioni di guerra atomica, dalle sconclusionate lezioni universitarie ai suoi ancor più assurdi corsi, passando per l’alquanto stravagante vita quotidiana degli studenti all’interno del college e ai comportamenti ancor più strampalati del suo personale. Il tutto accade nelle cadenze ipnotiche di una quotidianità esasperata da una ciclicità di eventi sempre uguali e nella ripetitività indolente e quasi ossessiva dei gesti dei suoi protagonisti. Un solo interesse li unisce e li sollecita ad uscire da questa abulia generalizzata, il football.
Alla fine però l’indiscusso interprete principale del romanzo rimane il linguaggio del quale è intessuto. Un espressionismo verbale dai mille aspetti semantici, un vocabolario così corposo che rischia a volte di fagocitare se stesso. Si va dal ricco e sfrenato slang giovanile al più complesso dialogo intriso di termini assai sofisticati, dallo studente che usa un linguaggio alquanto desueto a quello che, al contrario, usa un lessico intessuto di neologismi. Questo per quanto riguarda i dialoghi creati dallo scrittore statunitense. Sono però le elucubrazioni fatte in prima persona da Gary Harkness ed ancor di più le accurate descrizioni dei compagni di squadra e degli allenatori a donare al romanzo il suo spessore. Rappresentazioni minuziose dell’aspetto, non solo esteriore, e dei comportamenti a volte alquanto bizzarri dei suoi amici e professori, ma ancor più degli spazi che lo attorniano, dal lunare e monotono paesaggio texano agli interni del college. il tutto descritto accuratamente, in special modo le stanze in cui il protagonista alloggia assieme ai suoi compagni, con una precisione geometrica che rasenta il parossismo. Una narrazione che raggiunge il puro lirismo verbale quando Gary descrive un incontro di football, anzi l’incontro per eccellenza. Una esposizione composta perlopiù da un linguaggio esoterico quando delinea gli schemi di gioco, i suoi segnali, le indicazioni degli allenatori, la gestualità degli atleti fuori e dentro il rettangolo di gioco, le loro grida e il loro gergo, per finire con la frenetica descrizione delle azioni. Qui DeLillo rasenta davvero la più pura visionarietà letteraria nel narrare le gesta delle due formazioni in campo, fino a trasfigurarsi nell’immaginario del lettore in due eserciti che si affrontano all’ultimo sangue. Se non fosse per l’ironia con cui Gary Harkness affronta lo scontro, anzi, la partita.
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L'incolore Tazaki Tsukuri
La lettura dell’ultima opera di Murakami Haruki ci pone di fronte ad alcuni interrogativi di natura esistenziale ai quali non è sempre facile dare risposta.
L’infelicità di Tazaki Tsukuri appare evidente sin dalle prime righe del romanzo: espulso inspiegabilmente dal gruppo di amici di cui faceva parte, il giovane Tsukuri perde interesse per il mondo che lo circonda e desidera solo la morte. Egli diviene l’espressione della sofferenza generata dalla perdita dell’amicizia e dell’amore, esperienza già traumatica in qualsiasi periodo della vita, ma certamente ancora di più in quella fascia d’età che segna il passaggio dall’adolescenza all’età adulta, poiché può lasciare un vuoto incolmabile e creare complessi e insicurezze.
Proprio nel momento in cui Tsukuri riesce a superare parzialmente la sua crisi, l’incontro con Haida e il suo successivo abbandono vengono a sconvolgere nuovamente quella apparente serenità riconquistata.
Tsukuri ha la percezione di se stesso come di un contenitore vuoto, un uomo insignificante, privo di attrattive e di interesse, che può dedicarsi unicamente al lavoro per cercare di sopravvivere. La conoscenza di Sara lo spronerà verso il suo pellegrinaggio, in cerca delle spiegazioni agli enigmi rimasti irrisolti nella sua vita.
E qui è, a mio avviso, l’interesse vero di questo romanzo. Il viaggio di Tzukuri sarà un viaggio di iniziazione e conoscenza, al ritmo della stupenda melodia di Liszt , Le mal du pays, parte di Années de pélerinage, la stessa melodia che suonava Shiro , all’epoca della loro amicizia, quando con Aka, Ao e Kuro erano un gruppo inseparabile. Tsukuri vuole capire quali possano essere le ragioni dei ripetuti abbandoni da parte delle persone che ama, deve superare l’essenza incolore della sua personalità, dare ad essa un contenuto. Il gioco delle parole e dei simboli è a questo proposito molto sottile e significativo: ciascuno degli amici di Tsukuri ha un nome che contiene in sé un colore, rosso, blu, bianco, nero. Persino il nome di Haida, che pure non era parte del gruppo, ma che lo ha ugualmente abbandonato significa grigio. Dunque Tsukuri è l’unico incolore, senza personalità, senza spessore. Il suo nome significa solo “costruire”. Egli, infatti, costruisce stazioni. E qui è un altro elemento interessante in questo romanzo : il movimento, il viaggio, il pellegrinaggio, che implica crescita e conoscenza, spesso ha inizio e finisce in una stazione, e a volte il momento della partenza è chiaro, ma la meta può restare ignota.
Questi elementi sono già tutti presenti nel titolo stesso del romanzo: l’importanza del colore, del costruire e del creare come parte concreta della vita, il suono della melodia, che fa da sfondo al romanzo, come già la canzone dei Beatles aveva accompagnato il racconto di Norwegian wood.
D’altra parte lo stesso Murakami dice : “La vita è come uno spartito complesso …. decifrarla è un’impresa ardua e anche a saperla leggere correttamente, anche a saperla trasformare nella musica più bella, non è detto che poi la gente la capisca …”
In questa prospettiva sta, io credo, al singolo lettore dare la propria personale interpretazione di questo romanzo, che pone molti interrogativi e molteplici possibili risposte. È certo che al di là della semplice storia avvincente e ricca di suspense, questo è un romanzo sul significato della vita, sull’ambiguo confine tra sogno e verità, tra apparenza e realtà.
Indicazioni utili
Introduzione alla lettura di Luigi Pirandello
I mesi sono passati e Uomo ha continuato a vivere la sua vita in modo tranquillo, impiegando il suo tempo nella lettura di D'Annunzio; ha imparato ad apprezzare questo scrittore e a cogliere quel talento che anni addietro gli era sfuggito.
Questo particolare periodo della sua vita non era dei più felici, è vero aveva la fortuna di fare un lavoro che amava, ha una vita coniugale tutto sommato felice, ma la soddisfazione profonda, quella che nasce dalla consapevolezza di lasciare un segno nel mondo sapeva che non l'avrebbe provata mai, avrebbe potuto solo viverla attraverso le pagine di un libro.
Ci sono dei giorni in cui la tristezza si impossessava di lui paralizzandolo, rendendo le sue giornate lente e pesanti; in quei giorni si accorgeva di quante scelte sbagliate avesse fatto e di quanto gli eventi gli fossero caduti addosso influenzando in modo indelebile e permanente la sua vita.
Proprio una sera in cui questi pensieri si affollavano nella mente e le strade assumevano contorni inusuali nel chiaroscuro settembrino scorse da lontano delle luci e una folla di persone, proprio di fronte al teatro cittadino; una struttura dei primi dell'ottocento che aveva sempre visto nei pomeriggi della sua gioventù vuota, quasi spettrale, ma che l'attuale amministrazione, in un barlume di lungimiranza, aveva rimesso a posto e riportato agli antichi fasti; quella sera doveva esserci la prima di uno spettacolo e Uomo si avvicinò curioso.
Lo spettacolo era la rappresentazione teatrale de “Il fu mattia Pascal” di Pirandello; Uomo avverte la moglie che quella sera non tornerà a casa, andrà a teatro.
Pirandello era uno di quegli autori che aveva amato al liceo, per quell'italiano eccellente, ma non aulico, quella vena ironica, ma non sarcastica e quel titolo gli sembrava molto adatto al suo stato d'animo e pensò a tutto quello che avrebbe fatto e tutto quello che avrebbe detto se la sorte avesse riservato a lui lo stesso trattamento di Mattia.
Egli sarebbe stato più furbo, senza dubbio, egli avrebbe saputo cogliere l'occasione, non sarebbe di certo rimasto schiavo della sua vita!
Forse!
Personaggi dai caratteri deboli
Giulia, donna profondamente toccata dal duro passato, si dedica anima e cuore alla sua famiglia. Sposata con un uomo che non ama e madre di due figli che adora, cerca di prendere in mano la sua vita, liberandola dalle amicizie sbagliate e ripulendola dal rancore che porta nel cuore. Prima il tradimento di Valeria, la sua migliore amica, e poi le continue prese in giro del marito la spingeranno a cercare altrove la forza di proseguire la sua vita. Mauro, datore di lavoro di Giulia e Casanova incallito, le farà riscoprire la sua femminilità, spingendola a valorizzarsi e apprezzarsi come donna. Passare dalle braccia del marito traditore, alle braccia possenti e sensuali del suo nuovo capo sarà una cosa che tormenterà la protagonista, tanto da rischiare più volte di essere sopraffatta da avvenimenti più grandi, e pericolosi di lei.
Inizio dicendo che questo libro sembra, inizialmente, un po’ intricato. Ci sono delle parti non chiare, per quanto riguarda l’amicizia con Valeria e i motivi della loro lite, non capivo infatti se si trattasse di un amicizia o di un amore, e nemmeno di quale grave torto fosse macchiata l’amica. Ci troviamo,in realtà, di fronte ad una storia guarnita di tradimenti da parte del marito di Giulia, che lei, donna particolarmente segnata dal duro passato non riesce a perdonare definitivamente. Cosa che invece riesce a fare con l’amica, che la aiuta a trovare un importante impiego, cercando quasi di spingerla tra le braccia del suo nuovo datore di lavoro.
Il personaggio di Giulia mi ha stupita, a tratti perché mi da modo di rispecchiarmi in lei, sembra quasi che mi somigli in certi versi, ma in altri invece mi infastidisce. Non mi da l’idea di essere una donna forte come viene sottolineato nel titolo del romanzo. Io reputo “forte” una donna quando è in grado di prendere davvero in mano la sua vita, quando non perdona un tradimento (anche se in amicizia) con così tanta facilità, lasciandosi condizionare da qualche parola messa al punto giusto. A me non sembra forte, mi sembra infelice e bisognosa di affetto. La sua forza l’ho notata alla fine del libro, ma avrei apprezzato di più se fosse stata accentuata anche nelle prime pagine. Dice di non voler tradire il marito, di essere una donna pura e di non voler scendere al livello in cui è sceso lui, quando in realtà le bastano due moine e qualche complimento da parte del suo capo per innamorarsi perdutamente. Non mi è piaciuto il personaggio di Mauro (il capo di Giulia), uomo profondamente insicuro e bisognoso di costanti conferme da parte delle donne e che gioca con i sentimenti altrui solo per ingrassare il suo ego. Ma il fatto che non mi siano piaciuti i personaggi non gioca un ruolo fondamentale con la mia valutazione generale . Ovviamente un libro non avrebbe una storia chiamata tale se non fossero presenti personaggi positivi e negativi. I caratteri dei personaggi hanno appunto giocato sulle loro debolezze per far si che la storia potesse avvenire, e quindi li critico, ma ovviamente li accetto, e accetto l’idea della scrittrice nel proporli in tal maniera. L’ho trovata una storia guarnita di tradimenti, criticati ma costantemente ripetuti da chiunque. Si parla troppe e troppe volte di “scelte”, ho letto innumerevoli volte la frase “Io ho scelto te”, come se si trattasse di un diritto a senso unico. Come se una persona possa sentirsi padrona di scegliere per la vita di un’altra, uccidendola nel profondo e poi rappezzandone le ferite a suo piacimento. Se mi trovassi davanti al mio uomo che dopo un tradimento mi dice “ma ora ho capito, e ho scelto te”, penso che prenderei in seria considerazione l’idea di fargli vedere (e sentire) la vera FORZA DI UNA DONNA.
Avrei voluto che il libro mi avesse incuriosita di più, avrei apprezzato dei capitoli in cui si narra la storia vista con gli occhi del marito e dell’amica, magari avrebbe aiutato ad entrate di più nell’ottica della vicenda e a tenere il lettore più incollato alle pagine. Non mi è piaciuta l’impostazione grafica del libro, scritto troppo in piccolo e difficile da seguire. Non so se sia un mio limite, ma un libro impostato diversamente risulta di più facile scorrimento, ed effettivamente con questo ho fatto un po’ di fatica. Ho trovato anche un errore grammaticale, presente a pagina 66, ma essendo un errore grammaticalmente piuttosto grave credo si tratti di un errore di svista, e non un errore voluto, anche perché il resto del libro risulta incolume da errori sia grammaticali che lessicali.
Mi è piaciuta la citazione sull’amore di Sofocle, presente nella pagina prima del Prologo, l’ho trovata particolarmente concordante con la storia letta e mi è piaciuta anche la dedica dello scrittore Luca Gubellini. Ho apprezzato particolarmente la firma dell’autrice alla prima pagina della mia copia del romanzo. Mi è sembrato un gesto molto gentile e carino ed è stata la prima copia autografata che ho ricevuto. In Sintesi, avrei apprezzato di più quest’opera se mi avesse spinta ad interessarmi alla vicenda dandomi qualche indizio sul dopo, su quello che doveva succedere..ed invece non appena chiudevo il libro rimanevo in stand-by, in sospeso, senza essere incuriosita dalle pagine avvenire.
LE DONNE " FARO"
GRAZIE QREDAZIONE !!!
Il faro rappresenta una luce guida nella notte; è un punto di riferimento che dà sicurezza e speranza e in certi casi assicura la salvezza.
Mi piace pensare alle due protagoniste del libro, che ho appena terminato di leggere e che è stato scritto dalla scrittrice esordiente Ornella Nalon, proprio come a due fari per tutte le donne...per tutti quegli adulti che sono attenti alle sofferenze o alle difficoltà di vita in generale.
L'una è Assireni, una donna africana, che sin da piccola ha avvertito in sè un anelito alla libertà, un bisogno di scavalcare le imposizioni crudeli della tradizione, uno per tutti,il rito dell'infibulazione. In tutta la sua vita ha cercato, nei limiti del possibile, di attivarsi in tal senso, ma la sua vera opera riesce a farla per la propria figlia, assicurandole un futuro diverso e migliore del proprio vissuto.
Il suo riscatto maggiore a mio avviso riesce ad ottenerlo decidendo di raccontare e raccontarsi , grazie alla presenza in loco di un medico donna, attenta e sensibile. Lo fa con la speranza di sensibilizzare il mondo ad una problemattica vissuta dalla molteplicità delle sue conterranee.
E' Eleonora il medico che decide di ascoltare la sua storia, al fine di pubblicarne un libro.
Ma l'ascolto della storia di Assireni, diventerà anche per ella un modo di rivedere e ripercorrere il proprio vissuto.
Certo la sua vita passata risulta essere totalmente diversa .
Nel contempo però emergono sempre più dei tratti che accomunano le due donne: entrambe hanno sofferto, sbagliato, provato la vita, sia pur con esperienze variegate.
Entrambe hanno saputo tirare fuori una capacità che caratterizza alcune donne, che dall'animo nobile, quasi delle prescelte, decidono di uscire dalla propria individualità per offrirsi al mondo, agli altri.
Lo fanno con forza, con l'esempio che è senz'altro l'atto più credibile: Assineri scrivendo il libro, Eleonora...???Come Eleonora? Chi desidera scoprirlo...è invitato a leggere questo libricino...scritto con tanta semplicità, che ha saputo toccare però corde importanti del mioessere donna.
Un plauso a questa autrice esordiente che ha saputo coinvolgermi con la sua capacità di attenzione al profondo e ai valori.
L'unico mio rammarico è che certe situazioni avrebbero richiesto un maggiore approfondimento per dare uno spessore ancor più elevato a questo gioiellino di libro.
Buona lettura!
Pia
Indicazioni utili
A chi desidera conoscere esperienze di donne; in particolare delle donne dell'Africa.
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