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In Russia all'indomani della Rivoluzione
Quando, nel 1928, Stefan Zweig si recò in Unione Sovietica per tenere un discorso durante le celebrazioni del centenario della nascita di Tolstoj, rimase profondamente colpito dall’opportunità di visitare lo sterminato Paese pochi anni dopo la Rivoluzione. Sono le riflessioni emerse in diretta da questo viaggio infatti che danno vita al breve scritto in questione.
Zweig si avvicina alla Russia dei soviet con uno sguardo curioso, con l’atteggiamento dell’uomo che vuole conoscere e capire prima di giudicare e classificare in base all’opinione politica. In particolare apprezza il fervore culturale della Russia in quegli anni; mentre l’altra Rivoluzione –quella francese- si era spogliata di immensi tesori permettendo ai rivoluzionari di saccheggiare chiese e opere d’arte, la Rivoluzione comunista non ha sottratto né distrutto la minima opera d’arte importante. Anzi, nelle settimane del suo viaggio, Zweig nota l’entusiasmo, la passione con cui il popolo russo partecipa alla vita culturale dello Stato, affollando musei e teatri.
Il vivace clima culturale della Russia dei primi anni Venti e il totalitarismo non ancora completamente attuato hanno certamente influenzato lo sguardo positivo di Zweig nei confronti del mondo nuovo e sconosciuto che si accinge a visitare. Successivamente questo giudizio positivo sarà ribaltato nel suo capolavoro “Il mondo di ieri”.
« […] E qui, in questa camera del tesoro, in questo palazzo principesco, più che imperiale, da zar, in tutta questa città costruita su una ricchezza smisurata e su un folle sperpero, la prima cosa che salta all’occhio, da un punto di vista europeo, è l’incomprensibile tensione tra questi due mondi passati: il mondo di sopra e quello di sotto, tra il folle e il sacrilego sperpero degli zar e la smisurata, quasi infernale miseria dei villaggi affamati moscoviti. Con un tuffo al cuore si prende coscienza della tensione universale tra ricco e povero, che qui si è estesa negli ultimi due secoli a dimensioni titaniche. E si comprende perché essa ha finito per esplodere una volta per tutte con tanta violenza, con un tale colossale scossone.»
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