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Verdi colline d'Africa
 
Verdi colline d'Africa 2017-01-20 12:26:28 enricocaramuscio
Voto medio 
 
3.0
Stile 
 
4.0
Contenuto 
 
2.0
Piacevolezza 
 
3.0
enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    20 Gennaio, 2017
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Caccia, chiacchiere e fiumi di alcool.

Premettendo l'innegabile verità che l'autore nella sua lunga carriera abbia scritto (molto) di meglio, partiamo col dire che il libro va visto sotto due differenti aspetti, uno prettamente letterario, l'altro morale. Dal primo punto di vista, siamo davanti ad una specie di resoconto di caccia, di diario di viaggio, raccontato però senza la schematicità tipica di questo genere di opera ma con la fluidità, la naturalezza e la passione propri del romanzo. Lo stile di Hemingway non conosce fronzoli, si sa, è semplice ed asciutto ma sempre brioso, disinvolto, coinvolgente. Le descrizioni degli animali sono perfette, quelle dei paesaggi meno curate ma riescono tuttavia a trasmettere la maestosità, la bellezza ed il fascino di un continente impareggiabile. Hemingway porta il lettore sotto il sole cocente di un'Africa selvaggia, incontaminata, dura ed affascinante, lo arma di carabina e installa in lui il piacere non tanto della caccia indirizzata all'uccisione, quanto quello della preparazione, della tattica, dell'attesa. Lunghe giornate acquattati ai limiti di un lick in attesa di un animale che forse non verrà mai, oppure ore di marcia attraverso erbe alte, cespugli, intrichi vegetali, a combattere con il caldo, gli insetti e con se stessi, con la propria smania, le proprie ambizioni, le proprie paure. Poi cala il sole, la caccia termina, si accende il fuoco e tra un pezzo di carne arrostita su un falò crepitante e un sorso rigenerante di alcool, ci si gode il fresco della sera. Illuminati dal chiarore delle stelle che tempestano gli sconfinati cieli africani, ci si lascia andare ai ricordi, ai commenti e ai programmi per il giorno successivo. Ma ci sono anche il tempo e la voglia di staccare, di pensare ad altro. Allora ci si abbandona ad interessanti dissertazioni riguardanti la vita e l'arte, ovviamente con particolare attenzione alla letteratura e a ciò che ci gira intorno, a scrittori più o meno bravi e a critici che sembrano assomigliare sempre più a pidocchi. Passando agli aspetti morali ci imbattiamo invece davanti a qualcosa che non sempre quadra. Se la caccia è un argomento che può infastidire qualcuno, bisogna comunque considerare che ogni cosa va rapportata con il suo tempo e come è noto a tutti in quegli anni non c'era la sensibilità attuale riguardo al rispetto per gli ecosistemi e al rapporto tra uomini ed animali. Spesso non c'era neanche, ma questo ahimè manca in troppi casi tuttora, la capacità di rapportarsi ad altre culture "meno sviluppate" senza arroganza e senza porsi in posizione di superiorità, come troppe volte e con grande naturalezza sembrano fare il protagonista-scrittore ed i suoi compagni nei confronti degli indigeni di cui si circondano e dei quali si servono come portatori, autisti e guide. Forse il sensibile lettore moderno gradirebbe che ogni tanto il dito non schiacciasse il grilletto e sicuramente preferirebbe una maggiore commistione tra diverse culture e, perché no, l'instaurazione di una sincera amicizia tra cacciatori occidentali e aiutanti (non schiavi) Masai. Sorvoliamo con la speranza e (meno) la convinzione che ciò oggi non accadrebbe. Lasciano perplessi anche l'idea di ritorno al contatto diretto con la natura, di rifiuto della società moderna senza tuttavia rinunciare ad aspetti peculiari di essa come la comodità di armi e mezzi di trasporto, di scarpe dalle soffici suole, al piacere rinfrescante di una schiumante birra tedesca d'importazione e al calore rinfrancante di un sorso di ottimo whisky. Ma passi anche ciò, non bisogna essere integralisti. Fanno sorridere le rivalità e la competizione che si creano tra compagni-rivali per chi uccide l'animale più grosso, chi conquista il manto più pregiato o le corna più lunghe e la boria quasi infantile che si genera in chi, uccisa la preda, sente per un attimo di essere il re del mondo. Insomma, un'opera dai due volti di cui è difficile criticare l'innegabile valore letterario ma che, per il resto, ognuno può giudicare, tenendo presente il momento storico in cui i fatti sono accaduti, in base alla propria sensibilità a certi argomenti, alla propria maturità e a ciò che cerca quando si imbarca in una nuova lettura.

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Commenti

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Complimenti, Enrico, per la recensione. Non condivido però l'opinione sullo stile dell'autore che a me pare, invece, tutt'altro che privo di enfasi, talvolta ridondante e ripiegato su se stesso (narcisistico).
Bella recensione Enrico. Mi pare che questo Hemingway sia particolarmente inecchiato
sicuramente un'opera che va valutata per il periodo in cui è stata concepita.
enricocaramuscio
21 Gennaio, 2017
Ultimo aggiornamento:
21 Gennaio, 2017
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Grazie a tutti.
@Emilio: intendo dire che il linguaggio è molto semplice, le frasi sono secche, brevi. Cosa che ritrovo un po' in tutti gli scrittori nordamericani che ho letto, lontani dal linguaggio poetico e ricercato dei russi o dei sudamericani per fare qualche esempio.
@Matelda: diciamo che ho letto di meglio, Per chi suona la campana è il mio preferito ma ho amato anche Il vecchio e il mare e Addio alle armi. Questo e Fiesta mi hanno colpito di meno, il prossimo Hemingway sarà Morte nel pomeriggio.
@Silvia: infatti è quello che ho cercato di dire...vale un po' per tutti i libri, per carità.
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