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Mal riuscito
La cronaca di un viaggio da un capo all'altro del Giappone, niente di più e niente di meno: il resoconto non troppo dettagliato delle peregrinazioni, per lo più in autostop, di Will Ferguson attraverso una terra che agli occhi degli occidentali ha da sempre esercitato un fascino esotico. E di nuovo niente di più e niente di meno...
Per commentare adeguatamente questa tipologia di libri comunque è bene porsi sempre la seguente domanda di carattere generale: l'autore riesce a raggiungere l'obiettivo che inizialmente si era posto?
Poichè se ci riesce: bravo, ottimo lavoro; se invece non ci riesce: peccato, ritenta cambiando qualcosa.
Ma qual' è l'obiettivo che Ferguson si dovrebbe porre scrivendo il resoconto di un viaggio in terra, straniera sì, ma talmente amata da ribattezzarla "casa"?
Teoricamente dovrebbe essere quello di affascinare il lettore raccontandogli della sua esperienza in termini talmente suadenti, con particolari talmente interessanti e romantiche prospettive talmente stranianti, da farlo immediatamente correre in aeroporto a prendere il primo volo per raggiungere la destinazione narrata nell'opera (disponibilità economiche permettendo). Certo si parla per eccesso, è un esagerazione, ma a grandi linee il significato è quello; quanti leggendo di un reportage, o guardando un documentario, particolarmente riuscito non han pensato: "diamine, se avessi i soldi, o il tempo, se domani non dovessi andare al lavoro, salterei sul primo aereo e via a visitare quella città, quel paese o quella nazione!" Quanti non l'hanno mai pensato?
Ed è naturale che sia così, è uno dei motivi per cui si girano questi documentari e si scrivono questi libri.
Date dunque le summenzionate considerazioni, per comprendere "l'efficacia" del lavoro di Ferguson, non resta che porsi la seguente domanda: finito di leggere il suo libro il lettore bramerà vedere con i propri occhi la terra del Sol Levante?
La risposta è no. Anzi!
Involontariamente, cedendo il passo a quel meccanismo di odio/amore che sopraggiunge negli uomini che per troppo tempo hanno vissuto tra un popolo che non condivide le proprie consuetudini e le proprie "leggi comportamentali" (forse parlare di valori è eccessivo), Ferguson ci descrive la sua esperienza con un distacco quasi di ostentata superiorità culturale, relegando le sue vere e profonde sensazioni (scintilla imprescindibile in questo genere di opere per destare nel lettore quella smania empatica di immedesimazione in prima persona) ad un basso cumulo di affettata ironia manieristica.
Da un libro con un tale titolo ci si aspetta almeno che la narrazione stimoli il lettore facendogli annusare la parvenza degli aromi di terre straniere, ascoltare l’eco di popoli lontani, ma Autostop con Buddha proprio non ci riesce: non si eleva mai oltre la soglia del mero descrittivo rimanendo un semplice e ahinoi banale resoconto di un viaggio che ha la profondità di una guida turistica senza però esserne altrettanto dettagliato, un libro in sostanza piatto che si conclude lasciando il lettore indifferente ancorché attanagliato da un pressante dubbio: ...ma a parte un paio di aforismi gettati li a caso, cosa c'entra il Buddha del titolo?
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Commenti
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Mah guarda oltre ad asettico l'ho trovato anche piuttosto fastidioso con la sua ironia goliardica e il suo supponente sarcasmo. Tanto che non solo m'è venuto da chiedermi cosa ha scritto sto libro a fare, ma anche che cavolo è rimasto tutti quegli anni li se non gli piaceva? Tuttavia noto ora che anche altri han recensito il libro e l'hanno trovato stupendo.... magari allora sono solo io che non l'ho capito, boh. Ti conviene dargli una chance e se ti annoia lo puoi sempre rimettere in stand by :-)
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Grazie , Pia