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Un milione di orme verso il cuore del Mediterraneo
360 miglia romane: questa la lunghezza della 'direttrice indiscutibile e solitaria, scolpita nella pietra, fatta di sangue e sudore, percorsa da legionari e camionisti, apostoli e puttane, forzati e pecorai, condannati alla crocifissione e mercanti, carri armati e carrettieri.'.
Stiamo parlando della Regina Viarum, più conosciuta come Appia Antica, la strada romana che collega Roma a Brindisi e che si è rivelata fondamentale per avvicinare il Mezzogiorno all'Italia centro-settentrionale e per gli impulsi commerciali verso la Grecia e verso l'Oriente. Paolo Rumiz, giornalista e scrittore triestino, ha deciso di ripercorrerla in un viaggio che è 'l'ultima occasione per riprendere un contatto con una memoria perduta.'. Accompagnato da alcuni amici, fra cui il "cercatore di vie" Riccardo Carnovalini, e da eclettici compagni di avventura conosciuti lungo l'itinerario, Rumiz vuole riconsegnarci il Passato attraverso voci autentiche e aneddoti memorabili 'in balìa di un turbine di epoche dove l'antico pare cosa di ieri e il tempo diventa palpabile'.
'Uno zibaldone, una risma di appunti italiani dove la ricerca del passato affonda solidamente i piedi nel presente [...] Un'amalgama di archeologia, inchiesta, paesaggio, etnologia e impressioni personali.': siamo di fronte a quello che l'autore stesso definisce come 'il più terreno e insieme il più visionario dei miei viaggi.'. Un viaggio costellato sin dagli inizi dall'abusivismo e dall'inciviltà delle generazioni moderne, ma che racconta altresì di un'impresa epica, il cui compito gravoso è risvegliare le coscienze riguardo un patrimonio di Storia e di Cultura lasciato morire lentamente giorno dopo giorno.
La lista è lunga, da un lato e dall'altro: potremmo citare l'80% dei monumenti di Roma in mano ai privati, la stazione ferroviaria di Terracina chiusa da anni per un masso franato e mai rimosso, i 36 chilometri di basoli rimpiazzati da edifici e coltivazioni fra Sinuessa e Capua, il teatro dei cementifizi a Caserta, e gli scavi archeologici fermi per mancanza di liquidità a San Giorgio Jonico, ma, per fortuna e per par condicio, ci sono i 'commoventi tentativi di tenere in piedi la leggenda' alla periferia di Caserta, 'la proiezione mediterranea della Repubblica’ sul rettilineo del Montesarchio, la Basilicata come mix perfetto tra passato normanno e moderno ascendente del Nord Italia, le cave di tufo di Altamura, e Oria divisa fra anima ellenica, reminiscenze ebraiche e architettura iberica.
Terre di miseria e lacrime, dove Leonardo Sciascia ne avrebbe da (ri)dire sullo Stato (?) che le governa, contrapposte a ex possedimenti greci, bizantini, svevi e longobardi capaci ancora oggi di ergersi a 'simbolo di riscatto, di appartenenza comune', la cui memoria mantiene intatta la propria identità.
258 pagine di appello accorato, carico di pathos e caparbio nell'evitare ogni forma di pregiudizio per rivivere la 'quint'essenza di un'Italia minore di meraviglie nascoste' che è stata, che è, e che sarà per sempre. Senza dimenticare le prelibatezze gastronomiche come filo conduttore secondario: una saporita merenda di pomodori e pecorino inaugura le fatiche dei prodi valorosi, e il ‘profumo di pane buono' sul Metaponto rappresenta il preludio alla conclusione del Viaggio.
'Lusisti satis, edisti satis atque bibisti: tempus abire tibi est.'
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Lo ritengo un viaggio fascinoso, prezioso, necessario e, per certi versi, iniziatico: azzardo nel definirlo, con le dovute proporzioni, un 'cammino di Santiago' italiano :-)
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