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1991, la fine di un'utopia
A cent'anni di distanza dalla Rivoluzione d'Ottobre, da cui nacquero l'Unione Sovietica e il comunismo reale, ho letto uno splendido libro sulla loro fine.
Terzani scrive benissimo, con uno stile originale e fluido, direi documentaristico, alternando e fondendo egregiamente la voce del narratore fuori campo, col se stesso protagonista del viaggio, e con i dialoghi diretti delle numerose persone incontrate e delle interviste con politici, funzionari e dissidenti.
Ne viene fuori un formidabile viaggiatore, un avventuriero moderno, che riesce sempre a districarsi in situazioni spesso rocambolesche, percorrendo in un mese e mezzo l'intero continente sovietico e toccandone tutte le otto capitali asiatiche, proprio nei giorni della loro freschissima indipendenza da Mosca.
E' un momento cruciale per la storia non solo dell'URSS ma del mondo intero e questo appuntamento Terzani non lo vuole perdere assolutamente. E' proprio questa consapevolezza, nonché la sua passione per il viaggio e per la libertà che lo spingono a sostare in quartieri malfamati, a far scalo in aeroporti sperduti, ad esplorare città dimenticate, che non trovano posto nei consueti canali del giornalismo e dell'informazione.
Il suo percorso si snoda dal fiume Amur che delimita il confine tra la Manciuria cinese e la Siberia russa orientale, in cui casualmente si trova al momento del golpe ai danni di Gorbaciov (19 agosto 1991), alle neonate repubbliche ex-sovietiche dell'Asia Centrale, a quelle caucasiche, per terminare simbolicamente a Mosca, nel mausoleo del padre della Rivoluzione bolscevica, quel Lenin di cui stavano cadendo una dopo l'altra le gigantesche statue volute dal regime in rapido disfacimento.
Stupisce ancora oggi come l'URSS, che ha rappresentato e guidato per decenni uno dei due blocchi egemoni mondiali di potere, che si è costituita con una violenta e prolungata guerra civile e che soprattutto con la lunga reggenza di Stalin è stata caratterizzata dall'eliminazione sistematica dei reali o presunti nemici del regime, si sia liquefatta pacificamente durante i pochi giorni del viaggio di Terzani, senza ch'egli abbia mai assistito ad uno scontro armato tra difensori e oppositori del sistema agonizzante.
Il mondo occidentale ha temuto una potenza che era alla canna del gas da decenni, più che militarmente, economicamente. La gente era stremata da anni di miseria economica e culturale e, come accadde in Cina con l'apertura all'economia di mercato voluta da Deng Xiaoping, non appena Gorbaciov aprì i portoni ormai arrugginiti dell'apparato sovietico, il vento dell'occidente invase rapidamente le stanze ammuffite del comunismo, spazzandone via il puzzo di decomposizione che vi stagnava da troppo tempo.
In tutte le città attraversate dall'intraprendente giornalista, ovunque lo stesso degrado, gli stessi casermoni in cemento scalcinati e osceni, la stessa umanità derelitta e pazientemente rassegnata, un continente in cui l'utopia egualitaria aveva congelato per settant'anni il progresso, le tradizioni etnico-culturali, in definitiva la Storia stessa di popoli, pur così diversi tra di loro, in nome di un'ideologia tradita dal potere che intendeva promulgarla e che invece l'ha svuotata e caricaturizzata.
In mezzo a tanta desolazione, Terzani riesce peraltro a scorgere i segni, non meno preoccupanti, di una rinascita della coscienza civile basata sull'identità razziale e religiosa. Non appena il controllo centrale del regime, tramite la polizia e il KGB viene meno, si scatenano tensioni tra le etnie delle repubbliche asiatiche ex-sovietiche, che si trovano mescolate all'interno di stati i cui confini erano stati tracciati artificialmente da Mosca nel 1924 col principio del "dividi et impera" e che sono frutto delle deportazioni e delle migrazioni forzate di milioni di cittadini durante gli anni dello stalinismo e della seconda guerra mondiale.
Così, e questa è la parte più interessante del libro, si viene a sapere che i kirghisi, popolo di origine mongola tradizionalmente nomade e dedito alla pastorizia, sono i meno interessati alla religione, al contrario dei tagiki, ex "persiani dell'Est" (poi divisi dagli invasori turchi nel IX secolo), orgogliosi di una tradizione islamica che contava due roccaforti fondamentali come Samarcanda e Bukhara, da Stalin assegnate volutamente all'Uzbekistan, per esacerbare il risentimento tra le etnie tagike e uzbeke e procedere indisturbato alla loro russificazione. Gli uzbeki invece sono l'etnia più numerosa, somaticamente indistinguibili dai kirghisi, ma al contrario di questi tradizionalmente sedentari e dediti alla coltivazione del cotone, mono-produzione potenziata a dismisura nei piani quinquennali sovietici,
che hanno portato alla canalizzazione forzata dei fiumi affluenti nel Lago d'Aral e al prosciugamento dello stesso, con un dissesto idrologico devastante.
Nonostante la questione del lago d'Aral e l'inquinamento prodotto dai fertilizzanti utilizzati per la coltivazione di massa del cotone siano fatti notori tra la popolazione uzbeka e creino le basi anche qui per un dissenso a ciò che ha rappresentato il regime comunista, più forti sono le rivendicazioni territoriali contro kirghisi e tagiki per il controllo delle rispettive enclave, analogamente a quanto avviene nel Caucaso, nella travagliata regione del Nagorno-Karabah, contesa tra azeri e armeni. I kazaki dal canto loro sono più laici, non hanno rivendicazioni territoriali rilevanti ed ivi emerge rapidamente più che altrove una classe dedita agli affari.
Ed ecco che Alma-Ata (al tempo capitale kazaka) cambia volto, si riempie di grattacieli e di uomini d'affari. A Tbilisi, in Georgia, Terzani alloggia in un hotel che sembra un'astronave, lussuoso ma asettico, simbolo del nuovo capitalismo sfrenato, che non trovando un sostrato culturale adeguato dilaga ora senza freni nelle neonate repubbliche, assumendo connotati volgari e consumistici.
Le due tendenze spontanee emergenti dovunque sono il radicalismo islamico o il liberismo capitalistico, laddove le leve del potere sono ancora in mano ai vecchi partiti comunisti che hanno fatto maquillage e cambiato nome (socialisti, socialdemocratici, democratici...), assecondando le istanze religiose o apertamente nazionalistiche e anti-russe che vengono dal basso.
Terzani non vede una terza via, realmente democratica, rispettosa delle tradizioni etnico-religiose, ma non integralista, aperta all'economia di mercato ma non spudoratamente corrotta e senza quella forbice tra le classi sociali che già nel 1991 si sta già drammaticamente al1argando. Da un estremo all'altro, dunque.
Al tempo del viaggio di Terzani tutto è in divenire, sta accadendo sotto i suoi occhi, da qui la straordinaria attualità del libro. Inoltre la sua disamina lucida e documentata sui fatti costituisce una preziosissima chiave di lettura per comprendere quello che è accaduto dopo nell'ex-URSS fino ai giorni nostri: Eltsin, la
recessione economica, la guerra in Cecenia, la guerra civile tagika, le migrazioni di massa e la separazione delle etnie, il regime di Putin, sfilano uno dopo l'altro come la perfetta e logica continuazione degli eventi narrati in "Buonanotte, signor Lenin".
E la Storia nel frattempo continua...
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Commenti
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Alcuni casermoni sovietici li ho potuti vedere oltre la piccola cornice dorata del centro storico di Bratislava, devo dire che seppur di sfuggita intimoriscono con la squadrata architettura, i caratteri cubitali, il grigiore diffuso; ecco li hai fatti sovvenire alla mia memoria anche se siamo ben lontani dal cuore sovietico.
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Anche a me questo libro, letto un paio d'anni fa, è piaciuto molto: un viaggio davvero affascinante e interessantissimo tra le macerie dell'impero sovietico!