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L’irredimibilità
In Sicilia è uno strano libro, che potrebbe sembrare un cahier de voyage – e in parte lo è – ma con una finalità ben diversa da quella di mostrare le immagini di una terra che indubbiamente presenta molte attrattive. Tuttavia il paesaggio è uno scenario di una rappresentazione teatrale i cui attori sono gli abitanti dell’isola, coloro per i quali è anche ragionevole supporre che esista una ben precisa correlazione con l’ambiente naturale in cui si trovano a vivere.
Collura, nato ad Agrigento, ma che vive ormai da molto tempo a Milano, compie così un viaggio nella sua terra natia, un viaggio che potremmo senz’altro definire sentimentale, ma che unisce alle emozioni del cuore la logica e fredda razionalità della mente, che finisce con il porre ben in evidenza le profonde contraddizioni degli abitanti dell’isola, contraddizioni che, a ben guardare, sono in forme e misure diverse proprie di tutti gli italiani.
E nemmeno lui è immune dalle contraddizioni, tant’é che il libro non è definibile come genere in modo esatto, anche perché non pochi sono i suoi aspetti letterari, con espliciti riferimenti a grandi autori siciliani, in primis Tomasi di Lampedusa e Luigi Pirandello.
È quindi più che logico chiedersi il perché della stesura di questo libro, il perché di questa ricerca quasi ossessiva per comprendere le caratteristiche di una popolazione che è sempre stata dominata, che ha sempre avuto tanti padroni, al punto da considerare gli abitanti gli inquilini dell’isola. A tratti ridente, e assai più spesso aspra, questa terra ha forgiato anche il carattere delle sue genti, in balia di questo o quel dominatore, di una dinastia e di un’altra, sempre interessata a sfruttare i suoi possedimenti. Il siciliano sembrerebbe non avere l’orgoglio di essere tale, come del resto l’italiano, e quindi con un sentimento di nazionalità assai limitato.
Ma Collura non è un disfattista, é solo un uomo che cerca la verità, come hanno fatto tanti altri autori siciliani (al riguardo basti pensare a Leonardo Sciascia che al cogliere ciò che si cela sotto l’apparenza ha improntato tutta la sua produzione letteraria).
Certo sentimentalmente è legato alla sua terra, ma appunto non vuole tacerne le incongruenze, tanto che il libro inizia a Portella della Ginestra, luogo che il 1° maggio 1947 fu teatro della strage compiuta da Salvatore Giuliano e dalla sua banda. Portella della Ginestra è un nome gentile, di quelli che fanno pensare a un panorama ameno, a un luogo quasi panteistico, e invece sarà sempre associato a un orrendo fatto di sangue. Il viaggio poi prosegue a Cassibile, llocalità in cui fu siglato l’armistizio durante la seconda guerra mondiale e di quel posto storico, dove sotto una tenda il generale Castellano, plenipotenziario italiano, appose la sua firma a quella resa senza condizioni, non resta traccia, non c’è nemmeno una stele, una targa a ricordare il fatto e questo costituisce lo spunto per parlare della Sicilia come terra di conquista.
Sono tanti i luoghi e tante le occasioni, e non mancano le presenze di autentiche eccellenze letterarie, che ogni tanto si affacciano sulle pagine (Luigi Pirandello, Tomasi di Lampedusa, Sciascia, Brancati, tanto per citarne alcuni).
E pagina dopo pagina si disegna l’immagine di un popolo dalla natura irredimibile (come scriveva Tomasi di Lampedusa nel Gattopardo), al pari del paesaggio su cui in perfetta sintonia si muove, personaggi di una commedia della vita dalle infinite rappresentazioni, uomini e donne, in perenne contraddizione con ciò che è e che non dovrebbe essere e con ciò che non è che invece dovrebbe essere.
Da leggere, per meglio conoscere non solo la Sicilia e i suoi “inquilini”, ma anche noi, al pari “inquilini” dell’Italia.