Mendel dei libri Mendel dei libri

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Laura V. Opinione inserita da Laura V.    23 Gennaio, 2023
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Un mondo al tramonto

Una bellissima novella, questa dello scrittore austriaco Stefan Zweig (1881-1942), pubblicata nel 1929.
E bellissimo appare subito il protagonista di questo prezioso libriccino: Jakob Mendel, un bibliomane di origine ebraico-galiziana che, quand'era ancora ragzzo, aveva abbandonato lo studio da rabbino per stazionare fedelmente, per oltre trent'anni "tutti i giorni da mane a sera", a un tavolo del Caffè Gluck, vecchio locale della Vienna asburgica che, al pari dell'antico impero, dopo la grande guerra del '14-'18 subì uno stravolgimento generale non soltanto negli arredi e nella tappezzeria.
Poche decine di pagine davvero straordinarie in cui l'autore immortala un personaggio indimenticabile nella propria unicità, rievocato dalle parole di un io narrante che riapproda al caffè in questione a distanza di due decenni per pura casualità in una giornata di pioggia improvvisa. Un mondo, quello del vecchio ed eccentrico Mendel che viveva per i suoi libri, tramontato per sempre.

"[...] cauto e delicato, cominciava a sfogliare con immenso rispetto la rarità, pagina dopo pagina. Nessuno poteva disturbarlo in un momento simile, così come non è consentito disturbare un vero fedele in preghiera, e in effetti il suo osservare, toccare, odorare e soppesare, ciascuno di quei singoli gesti aveva un che di rituale, ricordava la sequenza degli atti regolati dal culto in una cerimonia religiosa."

Una storia drammatica, struggente e affascinante che sa proprio di un'altra epoca, ricordandoci che "i libri si fanno solo per legarsi agli uomini al di là del nostro breve respiro e difendersi così dall'inesorabile avversario di ogni vita: la caducità e l'oblio."

Da leggere, consigliatissimo!

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Valerio91 Opinione inserita da Valerio91    13 Gennaio, 2021
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Accendere un fiammifero

Si può dire che Stefan Zweig sia un po' la versione austriaca del nostro Leonardo Sciascia. Non fraintendetemi però, non vi è assolutamente una comunanza di temi, ma entrambi gli autori riescono egregiamente a trasmettere un numero elevato di emozioni e messaggi in un limitatissimo numero di parole. "Mendel dei libri" è infatti un raccontino di cinquanta pagine, ma al suo interno possono trovarsi diversi spunti.
Il tutto è incentrato sulla figura di Jakob Mendel, nient'altro che un appassionato di libri che passa le sue giornate chino sui tomi, intento a memoriz­zarne ogni dettaglio: magari non li avrà letti tutti, ma tutti li sa identifi­care e citare: non sono infatti pochi le persone (anche di rango elevato) che si rivolgono a lui quando sono alla ricerca d'un libro introvabile, o di titoli che riguardino un deter­minato argomento.
Quell'uomo che se ne sta sempre nel suo angolo del caffè Gluck potrebbe sciorinar titoli all'infinito, meglio d'un qualsiasi bibliote­cario.
È una garanzia, un punto di riferimento, una figura che si veste d’un manto leggendario.
Eppure l'uomo è capace di distruggere anche la leggenda, ed ecco che a prendersi carico della distruzione di quest'uomo che non fa del male a nessuno, interviene la guerra. Anche in un uomo che ha dedicato l'intera sua vita ai libri, che non concepisce nulla al di fuori di essi e che non vi si distoglie neanche se gli crolla il tetto sulla testa, la guerra e la politica trovano un nemico. In una serie di eventi che ha del paradossale, Mendel viene brutalmente strappato da ciò che più ama al mondo, costretto senza alcun motivo a vivere anni vuoti che a loro volta lo svuoteranno.
Ecco come la cattiveria umana può privare l'innocente d'ogni scopo: lo sguardo perso nel vuoto di Jakob Mendel è una vera e propria metafora dell'incredulità che coglie un’anima pura di fronte a tanta cattiveria immotivata, testimone “dell'umana urgenza di prendere una cosa bella e accendere un fiammifero”.

“No, non era più lui, non era più il miraculum mundi, il magico archivio di tutti i libri; chi lo vide allora, mi ha raccontato con tristezza la stessa storia. Qualcosa sembrava essersi irrimediabilmente infranto nel suo sguardo un tempo tranquillo, come assopito nella lettura; qualcosa era andato in pezzi; nella sua folle corsa l’orrida cometa di sangue doveva essere entrata in violenta collisione anche con quell’astro remoto, pacifico, con la stella d’Alcione del suo universo libresco.”

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archeomari Opinione inserita da archeomari    23 Aprile, 2020
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I libri sono fatti per legarsi agli uomini

Brevissimo, ma intenso ed emozionante.
Scritto in terza persona, è la storia di un ricordo. Il narratore ci porta in un caffè viennese detto Caffè Gluck, un locale alla buona, frequentato da “gente modesta che consumava più giornali che dolciumi”. Manca in quel caffè da molti anni e, appena si siede ad un tavolino, è sopraffatto dal ricordo di un uomo speciale, fuori dal comune, un bibliomane unico nel suo genere: Jackob Mendel, detto Mendel dei libri.
Sono passati così tanti anni, vent’anni, ma di lui ricorda le fattezze, come se ce lo avesse davanti agli occhi in quel momento: “lo sguardo dietro le lenti incollato in modo ipnotico a un libro”, salmodiando e dondolandosi avanti ed indietro come se fosse in una scuola talmudica, quale quella che aveva frequentato da ragazzo, essendo ebreo.

“Perché lui leggeva come altri pregano, come i giocatori giocano e gli ubriachi tengono lo sguardo fisso nel vuoto, storditi; il suo rapimento quando leggeva era così commovente che, da allora, il modo in cui gli altri leggono mi è sempre parso profano. In Jakob Mendel, in quel piccolo rivendugliolo galiziano con i suoi libri, avevo visto personificato per la prima volta – ero giovane allora – il grande mistero della concentrazione assoluta, che rende tali l’artista e lo studioso, il vero saggio e il perfetto monomane, la tragica ventura e sventura della piena possessione”.

Un uomo talmente preso dalla lettura e dai libri che non riusciva a concepire la vita al di fuori della carta stampata, al punto tale da non conoscere gli eventi e le conseguenze della guerra mondiale in corso mentre lui, seduto al caffè Gluck, memorizzava titoli, prezzi, edizioni...
Anche se Mendel è un personaggio estremo, “più unico che raro”, chi ama i libri troverà qualche pezzo di se stesso nella storia del bibliomane galiziano. Non sarà la sua memoria prodigiosa, non sarà il suo profondo livello di concentrazione, ma la devozione sì. Chi ama i libri non è mai sazio di letture, accumula libri su libri, non ne ha mai abbastanza. Chi ama i libri fa di tutto per trovare spazio nella giornata da consacrare a un libro. Leggere non è un’attività opzionale, leggere è respirare.

Un libro piccolo e denso, che racchiude dentro di sé almeno due lezioni: quella dell’unicità di ognuno di noi, che rimane nonostante gli eventi esterni e quella del ricordo, che unisce le persone e fa rivivere quelle che non ci sono più . In questo senso il libro è uno scrigno e al tempo stesso uno strumento del ricordo:

“i libri si fanno solo per legarsi agli uomini al di là del nostro breve respiro e difendersi così dall’inesorabile avversario di ogni vita: la caducità e l’oblio”.

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I libri di Zweig

Per chi ama trovare libri che parlano del piacere della lettura “Trance. Autobiografia di un lettore” di Alan Pauls
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joannes88 Opinione inserita da joannes88    19 Ottobre, 2019
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"Il mondo non era più il mondo"

Siamo ai primi del ‘900 e a un tavolino del caffè Gluck di Vienna siede quotidianamente Jakob Mendel, “persona senza eguali e uomo leggendario”, capace di scovare il libro più strano nella più sperduta libreria antiquaria esistente. Non c'è un volume che sfugga alla sua conoscenza enciclopedica, maturata in decenni di maniacale lettura, l’unica attività a cui abbia dedicato la sua esistenza. Oltre ai libri, però, Mendel non sa nulla del mondo ed è proprio questo innaturale distacco a giocargli un terribile scherzo, da cui non sarà più in grado di riprendersi, divenendo l’ombra di se stesso.
Pubblicato nel 1929, Mendel dei libri è il racconto di un uomo travolto dalla Storia, la metafora di un mondo che inconsapevolmente viaggia spedito verso la propria fine, lasciando di sé solo un ricordo sfocato. Una novella malinconica, dal sapore amaro, esempio di una celebre letteratura austriaca successiva alla Grande Guerra, capeggiata da Stefan Zweig e Joseph Roth, orfani della “belle epoque” asburgica.

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La Marcia di Radetzky, Joseph Roth
Novella degli scacchi, Stefan Zweig
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siti Opinione inserita da siti    21 Febbraio, 2017
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La profezia


È la prima volta che uno scritto di Zweig mi delude e questo crea in me una difficoltà di esprimere le ragioni che sottendono a questa delusione. La prima alla quale mi appiglio è la brevità, ma – presa singolarmente- sarebbe ben poca cosa; unita ad essa una debole struttura narrativa se paragonata a quelle che animano altri suoi scritti brevi quali “Novella degli scacchi” o “Sovvertimento dei sensi”. In ultimo un’assenza quasi totale del suo spirito che ritrovo solo quando debolmente ci sussurra che il mondo procede per via diretta verso repentini cambiamenti:”..tutto ciò che è unico diventa sempre più prezioso in questo nostro mondo che va fortemente divenendo più uniforme”. Qui la delusione verso il cambiamento è resa attraverso il destino di un uomo di grande cultura, di grande capacità intellettiva che viene annientato dai tempi i quali, per natura, per scelta, con ostinazione, con rassegnazione, subisce nel momento in cui non li riconosce e non li vive. Mendel è totalmente assorbito dalla sua inumana capacità di accumulare dati e informazioni sui libri, dal Caffè Gluk, dove vive appartato dal mondo, è punto di riferimento per pochi eletti di Vienna, non perché scelti personalmente da lui ma perché naturalmente selezionati dalle loro attività intellettuali che li portano, quando si trovano in una qualche difficoltà di reperimento del testo, a farsi aiutare da questo alto ingegno. Saranno proprio loro poi a rappresentare all’uopo una momentanea ancora di salvezza in un periodo in cui la barbarie del nostro piccolo mondo sarà capace di generare campi di internamento in ogni Paese coinvolto nella prima guerra mondiale. È chiaro l’intento di denuncia , è emblematica la mestizia del personaggio, è inaccettabile il suo destino e con essa anche la triste profezia che essa racchiude : la vittoria della caducità e dell’oblio. I nostri tempi ne sono una triste conferma. Dov’è la cultura dei libri?

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lapis Opinione inserita da lapis    28 Gennaio, 2017
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Custode della memoria

Ogni giorno al Caffè Gluck di Vienna un piccolo omino se ne sta seduto a un tavolino di marmo, fermo e impassibile, con lo sguardo ipnoticamente incollato a un libro, dondolandosi avanti e indietro e cantilenando, come alla scuola ebraica gli hanno insegnato. E’ Mendel, Mendel dei libri. La sua memoria è straordinaria, conosce ogni libro che sia stato pubblicato, consiglia titoli per ogni argomento gli venga proposto e riesce a procurarsi anche testi apparentemente introvabili. La sua conoscenza prodigiosa e leggendaria si accompagna ad una vita modesta, fatta di piccole abitudini. Non trasforma la sua passione in fonte di guadagno, non ne trae compensi, se non l’ingenua soddisfazione si riuscire a dare risposte dopo che esimi bibliotecari hanno alzato le braccia.

Un amore per la conoscenza libero da ambizioni. Una passione che si fa vita. Una concentrazione assoluta, al punto da non accorgersi di quanto accade intorno a sé, al punto da non accorgersi che la guerra sta trasformando il mondo rendendolo un posto dove non c’è più spazio per i sogni senza lucro, non c’è più devozione per la saggezza, non c’è più rispetto per gli antichi valori. E quando la realtà incombe, con la sua forza deflagrante e violenta, le lenti del piccolo omino si frantumeranno, e Mendel non sarà più Mendel, e il mondo non sarà più il mondo. Cosa rimane allora? Solo i libri, per “difendersi dall’inesorabile avversario di ogni vita: la caducità e l’oblio”.

La penna di Stefan Zweig si dimostra straordinariamente elegante e misurata. Senza calcare la mano sui toni del dolore, ci regala una figura di raro splendore, capace, con la sua personalità unica e la sua commovente dignità, di fare breccia nel cuore del lettore. Una storia delicata e malinconica. E un invito a farci anche noi, come Mendel, custodi della cultura e della memoria.

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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    21 Settembre, 2016
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Delicatezza e dignità



È il mio terzo Zweig nell'arco di pochi di giorni.
Direi che questo autore ha colpito nel segno.
Direi che leggere questo racconto è stato un vero piacere, balsamo per l'anima di un lettore appassionato.
È la storia di un ricordo...un ricordo dapprima sfuggente, che non prende forma, e poi, pian piano si fa strada nella memoria portando con sé tutto un patrimonio di emozioni.
Il protagonista del ricordo è Jakob Mendel, detto Mendel dei libri, uomo dalla straordinaria capacità di memorizzare tutti i cataloghi di libri, autori, pubblicazioni, costi...e della sua vita priva di senso al di fuori delle lettere stampate.
Non c'era posto per nient'altro, neanche per la guerra, quella guerra che lo priverà di tutto, anche del suo dono.
Mendel non sara più lo stesso, ma anche il mondo, dopo una guerra mondiale, non lo sarà piu...
Dentro queste poche pagine troviamo tanta dolcezza, tristezza, tenerezza, ma anche rispetto verso chi ha dedicato la propria vita ad una passione così totalizzante che, inconsapevolmente, è stata la sua rovina.

"I libri si fanno solo per legarsi agli uomini al di là del nostro breve respiro e difendersi così dall'inesorabile avversario di ogni vita: la caducità e l'oblio".

Forse a questa novella manca la suspance psicologica che ho respirato in "Paura", il dolore e lo struggimento di "Lettera di una sconosciuta", ma ho trovato una delicatezza, un contegno e una dignità che difficilmente mi faranno dimenticare quest'uomo e il suo mondo fatto solo di parole scritte.

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C.U.B. Opinione inserita da C.U.B.    09 Febbraio, 2016
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Pianeta Mendel

" Mendel dei libri " e' un lampo per la velocita' con cui si legge il breve testo, ma anche per l'intensita' luminosa che si trascina a ciel sereno, nonostante i periodi cupi e ombrosi.
Prima di essere la storia di un uomo , esso e' il racconto dell'estasi della lettura, quel processo che porta al piacere assoluto dell'estraniazione, a prescindere dal contenuto dell'oggetto d'interesse.
Quell'ometto curvo e trascurato e' un catalogo vivente, la sua mente eccezionale censisce  titoli, edizioni, prezzi con la precisione cui il miglior supporto bibliotecario non potrebbe mai nemmeno anelare.
Eppure nel caffe' viennese, ricurvo al suo tavolino e infagottato nei logori vestiti,  cinque pagnotte e qualche bicchiere di latte in tutto il giorno, Mendel non sfrutta le sue capacita' ai fini di lucro ma si accontenta di pochi spiccioli in cambio della sua liberta'. Liberta' di assopirsi da mane a sera in un mondo suo esclusivo, lontano dal caos degli uomini, lontano da ogni battaglia.
Ma la guerra prima o poi arriva per tutti quando il suolo e' minato ; il mondo di carta crolla, sconcertato e inerme, avvolto dalle fiamme che bruciano con rabbiosa indifferenza gli innocenti, i generosi ed i sognatori.

Con una penna intensa ed elegante, Zweig in poche righe ha cantato di un uomo, di una passione, di una citta', di un ennesimo conflitto. Buona lettura.

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silvia71 Opinione inserita da silvia71    12 Dicembre, 2014
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La passione di Mendel

“Mendel dei libri” appartiene al genere letterario della novella, tra i prediletti di Stefan Zweig.
Scritta nel 1929, racchiude in una manciata di pagine una storia intensa, la storia di un uomo.
Chi è il tenebroso e bizzarro signor Mendel, che ogni giorno stende le sue scartoffie su un tavolino del Caffè Gluck nel cuore di Vienna?
Chi è quest' uomo che tra il vocio degli avventori del bar, gli aromi fragranti del caffè caldo, lo scoppiettio della stufa di ghisa continua imperterrito a sfogliare le sue carte, carte che parlano solo di libri, titoli, date di pubblicazione, edizioni?
La vita del protagonista non può essere scissa dal periodo storico, tanto che sarà proprio la Storia ad investire il placido e innocuo uomo, graffiandolo con gli artigli della discriminazione, della violenza e della segregazione.
Una storia in cui si percepisce l'intento di denuncia di Zweig, lui stesso costretto ad abbandonare la sua città natale per sfuggire all'atrocità delle persecuzioni.
La vita e la caduta del signor Mendel così cariche di pathos e di dolore, danno un volto ad una delle ferite più profonde della Storia.

La penna di Zweig è come sempre rigogliosa ed abbondante, ribolle di aggettivi, abbraccia stati d'animo e riflessioni. É un linguaggio elegante quello dello scrittore viennese, che sembra mantenere decoro e compostezza in ogni situazione narrata, anche sulle tematiche più calde e dolorose, senza ammiccare a toni di arrendevolezza e commiserazione.

Una lettura estremamente veloce sotto il profilo temporale, ma pregna di contenuto, di immagini, di valori, di umanità.

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SARY Opinione inserita da SARY    11 Novembre, 2014
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Una passione travolgente

Chi è Jakob Mendel? “è uno che sa tutto e ti procura tutto, l’uomo più in gamba di Vienna, un originale, un preistorico biblio – sauro di una razza ormai in via d’estinzione”. Una definizione che calza a pennello.
Un bibliomane antiquato, un rivenditore di libri squattrinato con una memoria eccezionale e una capacità di concentrazione unica, un amante insaziabile dei libri, più precisamente dei cataloghi, a lui non interessa tanto il contenuto narrativo, bensì l’aspetto esteriore, il frontespizio, l’edizione, il titolo e il costo (“Poter tenere fra le mani un libro prezioso significava infatti quel che per altri è l’incontro con una donna. Quei momenti erano le sue notti d’amore platonico”).
Opera e vive in un caffè di Vienna, lì cercatori di volumi e bisognosi di consigli, pellegrinano certi di trovare risposte soddisfacenti e Mendel dei libri non delude mai, basta un attimo di riflessione ed eccolo pronto a sciorinare il suo sapere.
Questa passione annulla il mondo che lo circonda. Gli occhi si posano beati sulle pagine e lì si perdono nella pace dei sensi. Fuori però scoppia la prima guerra mondiale. Il galiziano Mendel, eccentrico scrittore di cartoline viaggianti per l’Europa, infastidisce le severe autorità in guerra proprio contro i Paesi da lui contattati, un centro di detenzione apre a lui le porte. Solo importanti conoscenze e un passaparola amichevole riescono a tirarlo fuori. Ma gli occhi non si abbeverano più alla fonte del sapere, la mente è fallata, l’animo turbato, il Mendel dei libri è morto tra stenti e patimenti.
La premessa iniziale inquadra il racconto come una dichiarazione di amore e appartenenza all’ebraismo. Io non vi ho letto questo, o comunque l’ho percepito in modo superficiale. Il testo è una confessione d’amore per i libri. Un uomo seduto ad un bar che nulla sa di ciò che lo circonda, è talmente immerso nella lettura che no si accorge di nulla, resta sé stesso anche se il resto del mondo non lo è più. Davanti alle autorità con ingenuità disarmante comunica le sue origini, motivo della detenzione. Non viene poi approfondito il discorso etnico, storico, bellico o politico. Si capisce la situazione ed il contesto perché l’autore vi accenna, ma la narrazione non si fonda, secondo me, su quelle basi.
Da profana quale sono posso solo dire che questa novella è una piccola meraviglia, una penna sapiente e colta, un lessico ricercato, ma non pomposo o incomprensibile, le pagine trasudano cultura.

Concludendo, imperdibile per gli amanti dei libri.

“I libri si fanno solo per legarsi agli uomini al di là del nostro breve respiro e difendersi così dall’inesorabile avversario di ogni vita: la caducità e l’oblio”.

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Opinione inserita da Maria Francesca    25 Gennaio, 2014

Il Caffè Gluck di via Alserstrasse.



Piccolo libro breve recensione? Manco per niente!
Avete presente un buco nero?
Zweig ci permette di cogliere solo quello che sfugge all’orizzonte degli eventi lasciando all’intuizione l’immensa massa gravitazionale che quest’oggetto, apparentemente senza luce, racchiude in sé.
Un ebreuccio di una cinquantina d’anni, che aveva fatto per venticinque anni un tutt’uno con un tavolino dal ripiano di marmo nella sala da giochi del caffè Gluck di Vienna, -uomo dai chips stratosferici ancora da inventare che incameravano tanti di quei libri che anobii gli avrebbe invidiato-, ritorna alla memoria dell’anonimo narratore, che si rifugia durante un acquazzone in quel caffè ormai irriconoscibile, alla maniera delle madeleine di Proust .
In verità non ci sono dolcetti a evocargli il ricordo, ma “ Qualcosa d’indeterminato, prese a muoversi dentro di me rendendomi inquieto, come quando si annuncia un mal di denti, e ancora non sai se parta da destra o da sinistra, dalla mandibola o dalla mascella; sentivo solo una tensione sorda, un’inquietudine spirituale.”
Solo entrando istintivamente nella sala giochi e rivedendo il tavolino dove, vent’anni e più prima si era trovato faccia a faccia con un ebreuccio, si ricorda di Mendel dei libri. L’unico a poter dare una mano a nobili e plebei, e sempre a gratis perché la parcella stava in quel dover chiedere a lui.L’unico a poterlo aiutare con la bibliografia della sua ormai lontana tesi.

E in cinquanta paginette c’è tutto un mondo in disfacimento che i Mann, Kafka, Musil, e i Singer,Ungar, ognuno a modo proprio, aveva descritto in migliaia di pagine!
Mendel, uomo di pace, ebreo per caso e cittadino d’Europa -per natura, se la parola non risulti offensiva – impastato da dio, anziché col fango, di libri letti o meno, i soli oggetti “ i libri che si fanno solo per legarsi agli uomini al di là del nostro breve respiro e difendersi così dall’inesorabile avversario di ogni vita: la caducità e l’oblio”.
L’incontro dello smemorato ex studente con la vecchia addetta alla pulizia dei cessi, da cui conosce la triste fine del vecchio erudito, non è un artificio letterario, un pretesto. La vecchia è la memoria, quella memoria che ci permette di strappare il velo al male quando riappare con altro travestimento.
E anche noi siamo messi a parte dell’inconsapevolezza dell’erudito vecchietto, dallo sguardo ironico e perspicace che le spesse lenti non riuscivano a nascondere, vittima della cattiveria di una stupidamente sospettosa burocrazia prima, e dei pescecani poi, quelli che avevano fatto fuori, in quel primo dopoguerra, tutti i pesciolini di scoglio solidali ma debolucci.
Mendel aveva conosciuto l’umiliazione di essere etichettato come clandestino, spia per giunta e internato nei campi per civili, da cui era uscito con il suo hard disk di ultima generazione completamente “atterrato”.
Zweig non poteva sapere, in quel funesto ’29 - quando scriveva che “il mondo, smaltita ormai la sua follia, si sta rendendo conto a poco a poco che delle mille crudeltà, dei mille scellerati soprusi di questa guerra (I guerra mondiale) di questa guerra, nulla è stato più insensato, superfluo e quindi moralmente ingiustificabile di quel raccogliere tutti insieme e stabbiare dietro il filo spinato civili ignari per i quali l’età del servizio militare era passato da un pezzo: uomini che avevano vissuto per molti anni in un paese straniero come fosse stata la loro patria e , confidando nel dovere dell’ospitatilità…non erano fuggiti in tempo…un crimine contro la civiltà perpetrato in modo altrettanto assurdo…su ogni zolla di terra della nostra farneticante Europa-, non poteva sapere, dicevo, che i campi esistono ancora e là saranno tradotti i superstiti dell’ultima tragedia di Lampedusa, quando il sipario calerà sul palcoscenico sopra cui si stanno esibendo tutti quei vermi di terra, che sono i nostri politici, versando lacrime di glicerina sulle bare dei duecento affogati.

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Kafka, Tomas Mann
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Sharma Opinione inserita da Sharma    06 Luglio, 2013
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Siamo come il vento!

È sempre un grande piacere leggere un racconto di un grande scrittore eclettico come Zweig. I suoi racconti sono così semplici da risultare difficili da riassumere e recensire. Ti lasciano un senso di spossatezza, angoscia, inutilità. Un’inutilità fattiva nel non sapere come gestire emotivamente.
Ci troviamo a Vienna allo scoppio della seconda guerra mondiale, Mendel è un signore che tutti i giorni si siede allo stesso tavolino per quasi trent’anni, dello stesso Caffè, un po’ trasandato nel vestire, canuto, aggobbito e sempre con libri che legge al suo seguito. Nulla lo distoglie dalla lettura può succedere di tutto intorno a lui, ma lui è indefesso, prono verso le pagine scritte. Non legge giornali, non ascolta la radio, le uniche cose che conosce del mondo sono quelle che gli trasmettono i libri. La sua passione e il suo genio sono messi alla mercé dei libri e di chi gli chiede consigli.
Forse avete capito male, non legge romanzi, saggistica o quant’altro, legge cataloghi sui libri, conosce le copertine i codici i titoli il prezzo dove trovarli e come reperirli è un archivio vivente è il miraculum mundi. Personaggi importanti si rivolgono a Mendel, aristocratici, galleristi, collezionisti di tutta Europa. Tutti lo amano e lo rispettano, tutti cercano di sopperire alle sue mancanze e dimenticanze, molti sono al suo seguito per amore e rispetto, sopravvive con una licenza di venditore ambulante, ecco il suo mestiere ufficiale, il rigattiere. Ma un giorno qualcosa accade che incrina il suo mondo costellato dalle letture e dal sapere, un errore, delle cartoline inviate ad editori europei come Francia ed Inghilterra. La censura reagisce, come può un uomo scrivere a paesi a loro belligeranti? Ma lui non sa nulla delle guerre e di cosa accade in quel preciso momento, lui vive in un mondo parallelo fatto di giorni alcionici nel suo universo di libri. Questo è Mendel. Solo l’uomo con i suoi abomini e le sue scelleratezze potranno distruggerlo nel modo più vergognoso possibile, che purtroppo noi conosciamo bene.
Da far piangere e riflettere!

“ Perché lui leggeva come altri pregano, come i giocatori giocano e gli ubriachi, intontiti, fissano il vuoto: leggeva in modo talmente assorto, con un tale rapimento, che da allora il resto del mondo mi è sempre parso profano.”

“ […] perché viviamo, se il vento che ci sospinge porta via subito anche l’ultima delle tracce che abbiamo lasciato?”

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galloway Opinione inserita da galloway    05 Agosto, 2008
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Elogio del bibliomane

"I libri si fanno solo per legarsi agli uomini al di là del nostro breve respiro e difendersi così dall'inesorabile avversario di ogni vita: la caducità e l'oblio".

Così si chiude questa "novella" di cinquantatré pagine appena, per offrire il ritratto di un personaggio a metà tra genialità, magia e surreale: Mendel dei libri è un breve racconto, quasi un monologo, stilisticamente non accattivante, che però contiene un profondo messaggio d’amore per le lettere, viste come strumento necessario per innalzarsi da una situazione di ferinità ad un livello più alto dell’esistenza.

Jakob Mendel si occupa di rivendere al minuto cose di poco valore; o meglio, apparentemente di poco valore. In realtà questo strano personaggio è specializzato in un campo particolare: i libri, di qualsiasi genere, di qualsiasi autore, soprattutto quelli rari e introvabili.

Probabilmente non ha letto ogni volume ma è a conoscenza dell’esistenza di tutti e sa dove trovarli. Siede al Caffè Gluck, a Vienna, nel periodo immediatamente precedente lo scoppio della Prima Guerra mondiale, senza occuparsi della politica, delle relazioni internazionali o di chi gli sta attorno.

E’ sempre immerso nella lettura di qualche libro o catalogo e alza la testa da questi solo se qualcuno gli chiede di trovare un’opera per lui. Sarà il mondo esterno, con il conflitto bellico, a portare scompiglio nella sua vita, sottraendolo alla sua attività e dal suo unico amore.

Non è una novità il fatto che la casa editrice Adelphi sia tra le migliori, in Italia, per titoli e autori: da Siddharta di Hermann Hesse a tutte le opere di Milan Kundera, da La morte della Pizia di Dürrenmatt alla produzione di Leonardo Sciascia. Con la “Biblioteca Minima”, viene confermato il continuo lavoro di ricerca e selezione: Friedrich Nietzsche e Irène Nemirovsky, Chateaubriand e Federico Garcia Lorca, convivono in una serie fatta di testi brevi (circa sessanta pagine), tendenzialmente opere minori, che permettono di vedere questi grandi autori sotto una luce diversa (su tutti, si pensi a Memorie del primo amore di Giacomo Leopardi).

Tra le ultime uscite vi è appunto Mendel dei libri di Stefan Zweig, scrittore austriaco della prima metà del Novecento. Si tratta di uno dei protagonisti della vita culturale di Vienna nei primi anni del XIX secolo, accanto a Freud, Klimt, Schiele, Kelsen e Schnitzler. Ed è proprio a quest’ultimo, autore de La signorina Else e di Doppio sogno, che Zweig viene spesso accostato, per l’attenzione data nelle sue opere alla psiche umana, vista alla luce della psicoanalisi che andava nascendo e diffondendosi proprio in quegli anni.

Anche in questo libro viene data particolare rilevanza alla mente del protagonista per via della sua incredibile capacità di immagazzinare qualsiasi informazione relativa a saggi, trattati, romanzi, insomma, ogni cosa che abbia un formato cartaceo.

Nella brevissima presentazione che accompagna il racconto si parla di una dichiarazione d’amore e appartenenza all’ebraismo (Zweig era ebreo) insita in quest’opera, ma ancor si sottolinea la dichiarazione d’amore e di appartenenza alla letteratura fatta dall’autore, con questo personaggio che, con la sua memoria, sembra voler mettere in salvo i libri dall’umana follia che di lì a pochi anni avrebbe sconvolto il mondo.

“Chi brucia libri, presto o tardi finirà per bruciare uomini” ha detto il poeta tedesco Heinrich Heine. In queste parole e nella figura di Mendel, padre, fratello e amico dei libri, sembra racchiusa la premonizione degli orrori del Novecento.

Un racconto che ho letto in poche ore di un pomeriggio di questa calda estate, nella piazzetta solitaria e ventilata, davanti ad una chiesetta del '500. Qui ho conosciuto Mendel dei libri che porterò a lungo nella memoria.

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