Il signore delle mosche
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L'umanità messa a nudo
Il Signore delle Mosche venne scritto da William Golding, uno scrittore inglese del XX secolo, nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale (1952) e sembra portare con sé le paure e gli orrori del conflitto appena terminato. È un romanzo di formazione che racconta l’avventura di un gruppo di bambini che dopo un incidente aereo si ritrova su un’isola deserta senza adulti. Sono costretti ad autogovernarsi, ma con il passare del tempo il male prende il sopravvento sui bambini. Nascono rivalità che porteranno il gruppo di ragazzi a dover affrontare eventi tragici.
L’ambientazione de “Il Signore delle Mosche” è realistica (l’isola) e ha valore simbolico. Questo luogo viene presentato ai protagonisti in modo forte e crudele, a causa dell’incidente aereo, e ciò rispecchia l’atmosfera che si crea sull’isola. Infatti, nei bambini, dopo un po’ di tempo passato sull’isola senza una forma di governo ben precisa, comincia ad emergere l’essenza cruda e selvaggia della natura umana.
Ogni personaggio presente nel libro rappresenta un esponente dei ruoli all’interno di una società: Ralph rappresenta il leader, Jack il boss, Piggy il braccio destro di Ralph e gli altri bambini il resto della comunità.
L’autore, con questo romanzo, riesce a mettere in risalto il contrasto tra il bene e il male e la visione pessimistica che ha dell’umanità, attraverso la narrazione delle avventure di un gruppo di ragazzi. L’abilità narrativa di W. Golding riesce a far trasparire questo messaggio senza esplicitarlo. Secondo lo scrittore, nell’essere umano non c’è niente di istintivamente solidale e buono. Già nel bambino si annida una cupa volontà di compiere il male, citando il testo: “L’uomo produce il male come le api producono il miele”.
Ciò che non mi è piaciuto è che la prima parte del romanzo è abbastanza lenta e con tante descrizioni, ma la seconda parte, al contrario, è più veloce ed avvincente e capace di attirare l’attenzione del lettore.
Questo romanzo fa trasparire la vera natura umana e fa riflettere su come non aver paura di saper attendere e non aver paura di essere vittima degli eventi. Infatti, soltanto trovando dentro di noi la possibilità di saper attendere, di saper trovare dei momenti in cui siamo in grado di fare la sintesi di tutto ciò che ci avviene intorno, avremo la possibilità: di interiorizzare le difficoltà che ci circondano, di farne coscienza e di non sentirci più dei naufraghi su un’isola che ricorrono alla violenza per trovare delle loro parti che sono rimaste nel bosco.
Questo romanzo lo consiglio a chi predilige i romanzi di formazione e di avventura. Pur non rientrando nei miei gusti letterari ho apprezzato questo romanzo perché in modo implicito, W. Golding è riuscito a trasmetterci il suo sentimento pessimista nei confronti dell’umanità.
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MOSCA TZE TZE
Finalmente ho letto questo decantato titolo che mi ha perseguitato per tanto tempo. Citato, osannato e ispirazione per serie tv, cinema e libri, questo romanzo di formazione è una pietra miliare del genere. Vola via che è un piacere e i personaggi sono ben caratterizzati e tra le righe fa crescere la tensione piano piano. Mi è piaciuto molto e se non l’avete ancora fatto leggetelo perché i classici lasciano sempre qualcosa nel bene e nel male e questo ne ha di cose da lasciare. Mi è piaciuta come sono contrapposte le varie nature presente nell’ uomo che sono presenti in tutti noi e che dalla nascita istintivamente ne prevale più una che un’altra in una continua lotta per combattere l’istinto animale. Un passo che mi ha colpito particolarmente è di quando ralph andando avanti con il romanzo venga sempre richiamato da piggy (coscienza) al loro scopo primario e cioè al fuoco e all’ importanza di esso. Il protagonista infatti con l’andare del tempo si piega anche lui alla natura e all’ istinto e tende sempre di più a dimenticare la sua persona che si andrà a confondere con gli altri. Tendiamo sempre a pensare di noi stessi una cosa ma all’ interno di queste situazioni la nostra momentanea diffidenza verso quella cosa è conquistata e quando la si prova si ha la curiosità e l’ ebbrezza animale che pervade di adrenalina l’uomo. Questa cosa è acuita ancora di più rendendo i protagonisti i ragazzini che con la loro personalità non ancora del tutto formata e con il lato selvaggio che si strascica negli anni ma che rimarrà per sempre parte di loro. Alla fine l’uomo di per sé è animale e inserito in un determinato contesto lo rivela sempre (o quasi). Il distacco da questi istinti è un illuminazione anche se può limitare in altri frangenti. L’ equilibrio nel non abbandonare la parte selvaggia ma limitarne gli aspetti più grotteschi e non umani è la chiave (parere personale). Il finale è un crescendo e mi è piaciuto veramente molto evocando in me delle belle immagini forti.
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Involuzione della civiltà in 200 pagine
"Il Signore delle Mosche" è romanzo a tesi che rientra per molti aspetti nel genere della distopia classica, risultando idealmente vicino soprattutto a "La fattoria degli animali" di George Orwell con il quale condivide il passaggio dall'illusoria utopia, conseguenza di una situazione di improvvisa libertà (in un caso dal fattore Jones, nell'altro dagli adulti), alla violenta distruzione di ogni traccia di civiltà.
La trama, sfruttata da un moltitudine di romanzi successivi come "Battle Royale" di Koushun Takami o la trilogia The Hunger Games di Susanne Collins, ci porta su un'isola deserta dove -dopo un tragico incidente aereo- si trovano a naufragare un gruppo di ragazzini inglesi, senza alcun genitore o insegnante che possa vigilare su di loro. In un primo momento questa situazione sembra quasi idilliaca, con i bambini entusiasti di questo luogo incontaminato
«Accarezzò un momento il tronco di palma e, costretto alla fine a cedere alla realtà dell'isola, rise di nuovo di gioia e fece un'altra capriola.»
e dell'assenza di imposizioni esterne. Due ragazzi decidono di riunire gli altri usando una conchiglia, oggetto che diventerà ben presto simbolo della loro neonata società, tanto da perdere poi progressivamente colore con la scomparsa di limiti morali; infatti, inizialmente i protagonisti dimostrano un naturale ribrezzo nei confronti della violenza, com'è evidente nel loro primo incontro con uno dei maiali che popolano l'isola:
«Lo sapevano benissimo perché non l'aveva colpito: per quell'enormità del coltello che scendeva a immergersi nella carne viva, per quella cosa insopportabile, quel sangue.»
non passa però molto tempo perché la caccia diventi non solo accettata, ma anche vista come qualcosa di emozionante e più importante del fuoco per le segnalazioni o della cura dei piccoli.
«"Io ho continuato", disse Jack. "Li ho lasciati andare. Io dovevo continuare. Io..."
Cercava di far capire il bisogno che aveva d'inseguire e di uccidere, un bisogno irresistibile.»
La situazione si fa quindi via via più brutale, specialmente nel momento in cui i personaggi iniziano a considerare come vere delle paure irrazionali: ecco che un paracadutista precipitato nella notte diventa una bestia feroce da temere
«"Ma le leggi sono l'unica cosa che abbiamo!"
Ma Jack gli gridava contro, in piena rivolta.
"Chi se ne frega delle leggi! Noi siamo forti... siamo cacciatori! Se c'è una bestia, le daremo la caccia! [...]"»
o alla quale offrire sacrifici. Il ritorno ad un comportamento da primitivi fa sì che si perda anche il desiderio di essere salvati e lasciare l'isola, come capitava agli abitanti de "Il condominio" di J.G. Ballard, pur rendendosi conto del rischio concreto di poter morire lì.
Tutti i personaggi sono scritti con grande attenzione, anche quelli privi di nomi come i bambini più piccoli o l'ufficiale di marina, che si erge a giudice del comportamento dei ragazzi quando lui per primo ha un ruolo attivo in un mondo in guerra. Ovviamente tra i giovani naufraghi alcuni vengono caratterizzati maggiormente, come l'impetuoso Jack e il riflessivo Piggy ma soprattutto Ralph, dotato del carisma naturale del leader.
«[...] se qualcuno aveva dato prova di intelligenza era Piggy, mentre era ovvio che Jack aveva la stoffa del capo. Ma c'era qualcosa di eccezionale nella calma con cui Ralph sedeva immobile.»
I dialoghi sono il tallone d'Achille del romanzo, perché spesso risulta incomprensibile chi stia parlando e quale tono venga adottato, specie nelle scene in cui sono presenti molti personaggi; l'autore sembra non voler perdere tempo ad indicare le voci nelle conversazioni, come avesse troppa fretta di riportare ciò che viene detto.
Molto valide e suggestive sono invece le descrizioni dell'isola, e non solo; Golding non usa delle immagini troppo ricercate, puntando invece su in risultato immediato e più efficace: ecco come la luna calante si trasforma in un'unghia, il fulmine che brilla in cielo in una cicatrice e le fiamme in movimento da un ramo all'altro in uno scoiattolo salterino.
Il romanzo è ricco di simbolismi, concretizzati in diverse immagini evocative, ognuna con un significato da scoprire: la già menzionata conchiglia, il fuoco in cima alla montagna, la testa del maiale, la danza dei cacciatori. L'autore crea anche degli interessanti parallelismi, come nella scena in cui uno dei piccoli lancia della sabbia mentre poi vediamo Roger lanciare ben altro sull'inconsapevole Henry.
«Il braccio di Roger era condizionato da un civiltà che non sapeva nulla di lui ed era in rovina.»
Da notare anche come il solo a comprendere la realtà dietro le sciocche superstizioni sia Simon. Lui è l'unico a cercare di scoprire e poi comprendere la vera natura della bestia,
«[...] Simon si volse verso la povera figura spezzata che giaceva accanto a lui e ammorbava l'aria. La bestia era innocua e orribile: bisognava farlo sapere a tutti al più presto.»
ma al tempo stesso è il più folle di tutto il gruppo. La pazzia diventa quindi sinonimo di razionalità, mentre i sani hanno ceduto al loro lato bestiale.
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“Teniamo il fuoco acceso”
Romanzo ben scritto, ma decisamente al di sotto delle aspettative, poco verosimile, non privo di fastidiosi accenti nazionalistici e ormai piuttosto datato.
Nella prima parte, le descrizioni particolareggiate di un'isola, in cui un gruppo non meglio identificato di ragazzini inglesi si ritrova dopo un incidente aereo, appesantiscono una trama già di per sé soporifera, con i toni un po' ridontanti della commedia.
Per contro, la spiegazione delle strategie di sopravvivenza adottate dai ragazzi in questione è liquidata il più delle volte con un generico accenno a scorpacciate di frutta e a certi “rifugi” tirati su alla bell'e meglio.
Il fuoco, che nel corso della narrazione diventerà simbolo di civiltà contro il buio della ragione (“Teniamo il fuoco acceso”), lo accendono in quattro e quattr'otto col riflesso del sole attraverso un paio di occhiali, più efficaci di un lanciafiamme.
Andando avanti, il ritmo incalza ma la retorica si spreca con i buoni – pochi – da una parte e i cattivi dall'altra, la democrazia letteralmente in fumo da una parte e i soprusi di una dittatura selvaggia dall'altra. Dittatura appoggiata dalla stragrande maggioranza, vuoi per debolezza vuoi per la natura fondamentalmente brutale dell'essere umano.
Cosa resta? Di sicuro, non abbastanza per parlare di capolavoro letterario: una discreta capacità introspettiva dei personaggi e un finale emozionante e paradossale.
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Quel maledetto finale
Quel maledetto finale.
Allora, io detesto i critici che spesso e volentieri commentano una mia storia con il classico "Il finale non mi e' piaciuto, potresti sostituirlo?" oppure "Questa parte non mi e' piaciuta, come mai il tuo personaggio fa questo e non quello?"
BENE. Storia mia decido IO come deve finire. Quindi detesto commenti del tipo "non mi piace il finale, non doveva finire in questo modo etc etc".
Mi ritrovo pero' a dover fare la stessa critica per Il signore delle mosche.
Idea geniale, alcuni bambini sono gli unici sopravvissuti di un'incidente e si ritrovano a dover vivere come selvaggi su un'isola deserta. La loro prima scelta e' cooperare, ma poi le cose degenerano...
Eccellente critica della societa' e dell'animo umano, che ne rivela tutti i lati piu' turpi e bestiali. I bambini partono con l'essere cooperativi, pieni di buoni propositi, e si ritrovano a scadere nelle logiche tribali, nella legge del clan, finiscono con il perpetrare strani riti e a venerare teschi di cinghiale...
I personaggi sono un po' semplici e stereotipati, ma funzionanti, infondo si parla di bambini. La storia dipinta con crudezza e con un pathos che ti lascia con il fiato sospeso e ti fa pulsare il cuore a mille fino a quando...non vedi il finale.
Insomma, leggetelo si', sono solo rimasta delusa dalla fine e generalmente e' una critica che ho sentito spesso fare per questo romanzo.
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Forte, vero e crudo.
Uno dei libri più forti, veri e crudi che abbia mai letto.
Un gruppo di bambini precipita su un'isola deserta e da qui devono iniziare ad organizzarsi senza l'aiuto degli adulti.
Così da soli e senza guida precipiteranno, lentamente (ma non troppo), verso un baratro di barbarie che mette a nudo la vera essenza, cruda e selvaggia della natura umana.
immagini forti, descrizioni a volte raccapriccianti fanno da sfondo ad un romanzo che rappresenta una pietra miliare della letteratura mondiale.
Personaggi definiti. Dialoghi diretti dai quali emerge tutta la cruda realtà di un gruppo di bambini che deve crescere troppo in fretta.
Duro e spietato. Un romanzo che non fa sconti.
Da leggere per scendere sino in fondo alla più lercia (e vera) natura umana.
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INNOCENZA PERDUTA
”Il Signore delle Mosche” ha la semplicità e l’immediatezza narrativa di un romanzo d’avventura alla Verne (“L’isola misteriosa”) o alla Defoe (“Robinson Crusoe”), ma anche la lucidità e la profondità analitica di un saggio antropologico o di un esperimento scientifico. Se all’inizio è il primo aspetto ad emergere di più, rischiando erroneamente di far scambiare il romanzo di Golding per uno dei tanti esempi di narrativa per ragazzi, è in realtà il secondo a rivelare sintomaticamente le provocatorie intenzioni dell’autore: verificare cioè le reazioni e le conseguenze che possono essere innescate dal verificarsi di una particolare situazione limite, quella di un gruppo di fanciulli inglesi che viene strappato improvvisamente alla vita disciplinata del college e della famiglia e catapultato in un’isola deserta senza la presenza degli adulti, in una libertà totale e priva di limiti. Ad essere messo in discussione è innanzitutto il mito del buon selvaggio, ossia la teoria, largamente condivisa, che, nel contrasto tra natura e cultura, è la prima a garantire il più favorevole dispiegamento delle potenzialità umane. Nella realtà i ragazzi, abbandonati a loro stessi e costretti a lottare per la sopravvivenza, fanno gradualmente venire allo scoperto l’autentica natura dell’uomo, e purtroppo questa natura è quanto di più amorale, ferino e selvaggio si possa immaginare.
La presunta innocenza dell’infanzia viene smentita fin dalle prime pagine e i ragazzi, privi di ogni controllo esterno e con l’inebriante possibilità di far prevalere i loro istinti, finiscono per costruire una società che è la brutta copia di quella da cui provengono. Non c’è tanto nel romanzo una funzione pedagogica (del tipo, i ragazzi hanno bisogno della guida e del sostegno dei grandi), quanto un più generale ammonimento intriso di pessimismo: senza l’uso della ragione (che non è per nulla naturale ed innato, ma il prodotto di un’educazione, e quindi di un condizionamento) si rischierebbe facilmente che le relazioni umane cadano nelle spire autodistruttive della violenza e della prevaricazione. I diritti, i princìpi e i valori che noi oggi diamo per scontati sono infatti il frutto di faticose conquiste, e devono essere continuamente difesi da tentazioni irrazionali che di tanto in tanto, puntualmente, riemergono (è significativa in questo senso la vicinanza temporale del romanzo alla Seconda Guerra Mondiale), rischiando di far precipitare la Storia in un nuovo Medioevo (cui indubbiamente l’isola abbandonata allude).
Nel romanzo i ragazzi, come in ogni raggruppamento sociale, si dividono naturalmente in gregari e leaders, e questi ultimi a loro volta incarnano le due facce, perennemente in conflitto, del potere. Mentre Ralph è il capo democratico, rispettoso delle regole e della volontà popolare (simboleggiate dalla conchiglia, la quale è sia il simbolo dell’autorità sia il viatico per esprimere l’opinione individuale di ciascuno), Jack è il dittatore autoritario, abile nello sfruttare con cinica spregiudicatezza l’innegabile carisma che possiede e pronto a ricorrere all’uso della forza ogni volta che si tratta di far valere le proprie ragioni. “Da una parte c’era il mondo brillante della caccia, della tattica, dei giochi feroci e pieni di destrezza; dall’altra il mondo del senso comune, con le sue aspirazioni e con le sue delusioni”. Mentre all’inizio a prevalere è Ralph, e gli sforzi di tutti riescono ad essere convogliati verso il bene comune (la costruzione dei rifugi, l’accensione del fuoco), con il trascorrere del tempo è Jack, sempre più insofferente del suo ruolo subordinato, a prendere il sopravvento e a proporsi come guida della comunità, spostando gradualmente il baricentro dell’agire collettivo verso attività maggiormente legate agli istinti primordiali, come la caccia, le danze rituali e i sacrifici alle potenze misteriose dell’isola. Più in generale, il gruppo di ragazzi, che in principio ha come scopo precipuo quello di farsi salvare, si fa pian piano sopraffare dalle forze oscure dell’inconscio (la paura della Bestia) e, per proteggersi da esse, istintivamente abbandona la ragione e si abbassa a compiere le azioni più turpi. E’ esemplare a questo proposito la sorte riservata a tre personaggi secondari del romanzo: Piggy, Simone e Ruggero. Mentre i primi due, che rappresentano le istanze dell’intelletto e della spiritualità, diventano con la loro morte le vittime sacrificali della maggioranza accecata, l’ascesa del terzo esprime l’inquietante deriva violenta del potere, il terrore che segue ad ogni rivoluzione.
Golding racconta il suo apologo senza pedanteria e senza didascalismi, fa un uso accorto dei simboli e, soprattutto, non trascura mai le esigenze del racconto, il quale si sviluppa con una progressione continua ed incalzante, fino al folle orgasmo della caccia all’uomo finale. Pur nel suo schematismo narrativo e nella sua semplicità lessicale, “Il Signore delle Mosche” contiene delle acute riflessioni sul fascino irresistibile che le pulsioni irrazionali e dionisiache esercitano anche sugli animi che coraggiosamente vi si oppongono. Perfino Ralph, l’unico che fino al termine si sforzi di rimanere ancorato ai valori del vecchio mondo, è costretto infatti a confessare con vergogna di essere stato la notte prima ipnoticamente attratto dall’orgiastica danza culminata con l’omicidio di Simone. “Il Signore delle Mosche” è così uno di quei romanzi destinati a rimanere impressi nell’immaginario collettivo, perché, al di là dei suoi indubbi meriti letterari, riesce a mostrarci, in quel vero e proprio specchio deformante che è la narrazione in forma di parabola, l’eterno e immutabile substrato di violenza che, sotto la facciata di civiltà, tradizioni, abitudini e convenzioni, si nasconde dentro all’animo di ciascuno di noi.
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L'innocenza dei bambini è una menzogna.
Perfetto. Non è il romanzo migliore di Golding ma è difficile trovare studente che non abbia sfogliato le pagine di questo libro.
Partiamo dal presupposto che in questa sua produzione non c’è nulla di rassicurante. Non il titolo, né tantomeno la trama.
Che l’autore fosse convinto della malvagità insita nei bambini ce ne eravamo accorti dal famoso esperimento portato avanti durante gli anni dell’insegnamento.
Lascia un gruppo di bambini soli in classe a discutere di un argomento e ci scapperà il morto.
Non si è arrivati a questo punto ma come rivelato da un testimone dell’epoca la verità non è molto lontana.
Da questa convizione nasce il Signore delle Mosche. E’ un idea che ossessiona lo scrittore a tal punto che passa ogni momento libero a scrivere, a casa, a scuola, in ogni occasione possibile
Partorisce Ralph, Piggy ,Simon, Jack, i gemelli e sopratutto "L’isola", luogo di meraviglie e bestie oscure. Cosa succederebbe se gli unici sopravvissuti di un disastro aereo fossero dei bambini?
Il romanzo ha il pregio di guidarci dal sogno all’incubo con naturalezza. I personaggi sono definiti anche se incastonati in maschere stereotipate che ne appiattiscono lo spessore emotivo.
Lo stile non entusiasma ma non annoia. L’azione negli ultimi capitoli del romanzo si fa serrante e sfocia in un finale che a mio parere poteva essere maggiormente curato, soprattutto nei dialoghi conclusivi. Ho avvertitola stanchezza dell’autore nella chiusura della vicenda.
Nonostante queste considerazioni consiglio sicuramente la lettura di questo romanzo per la capacità di turbarci, inquietarci e infine farci riflettere sulla parte buia che vive in ognuno di noi. Quella stessa parte che Golding non fa fatica ad accettare come parte di se stesso.
“Con la mancanza di sonno e con molta intelligenza sono cresciuto un po' pazzo, penso, come tutti gli uomini che vivono sul mare molto vicini gli uni agli altri, e così vicini tuttavia a tutto ciò che è mostruoso sotto il sole e sotto la luna.“ (W.Golding)
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Riflessione sul potere
William Golding deve la sua fama al Signore delle Mosche, un romanzo, da lui scritto e poi pubblicato nel 1954, che è ben ascrivibile alla gloriosa lista dei classici della letteratura di tutti i tempi. La trama si dipana a partire da un evento particolare: un gremito gruppo di ragazzi e bambini sopravvive a un incidente aereo e si scopre “gettato” su un’isola disabitata, lontana dal mondo degli adulti e delle regole. Sono due i ragazzi, l’avveduto Ralph e il temibile Jack, che si sfidano per detenere il potere, necessario per dar forma a una nuova civiltà, a nuove regole. A vincere la sfida è Ralph, eletto democraticamente, ma ben presto la sua “pedocrazia” si dimostra fallimentare e minata nelle fondamenta da paure che serpeggiano, viscide, fra i ragazzi, spaventati da una misteriosa Bestia che dimora sulla montagna, nel cuore della foresta. Crollato il tentativo di costruire una società, Jack e i suoi fedelissimi si allontanano da Ralph e regrediscono allo stadio di meri selvaggi, cominciando a compiere barbarie e delitti. Ralph diventa un avversario, un pericolo, un fuorilegge.
La storia, che procede a tinte sempre più fosche, si conclude con il salvataggio dei ragazzi “sopravvissuti”.
“Avrei pensato che un gruppo di ragazzi inglesi… Siete tutti inglesi, no?… Sarebbero stati capaci di qualcosa di meglio…” sono le parole amareggiate del militare che salva Ralph dalla furia di Jack e dei suoi cacciatori nell’ultimo capitolo.
La narrazione è ostruita qua e là da un descrittivismo naturalistico che toglie spazio alla caratterizzazione dei personaggi, che si rivelano solo abbozzati, ma in fin dei conti è scorrevole, icastica, piacevole, densa di significati degni d’analisi.
Il tema portante dell’opera è il male, che riesce a insinuarsi anche nelle menti di giovanissimi, ma trovo interessantissime le riflessioni circa il potere e i suoi meccanismi cui il libro conduce.
Il potere che sembra trovare suo punto d’origine nella paura più nera e ancestrale, come del resto formulò Thomas Hobbes: entrambi i leader, infatti, puntano la loro “campagna politica” su due paure, quella di rimanere per sempre sull’isola (Ralph è ossessionato dalla necessità di creare segnali di fumo) e quello irrazionale della Bestia, che Jack esorcizza e utilizza per manipolare i suoi uomini. Il potere che fa uso dei simboli (la conchiglia bianca di Ralph e il bastone con la testa di maiale di Jack), dell’efficacia delle immagini per trasmettere sensazioni e stimoli. Il potere che s’innerva in gerarchie marcate con la violenza. Il potere che ha bisogno di capri espiatori per spostare l’attenzione dalle proprie debolezze (il visionario Simone che sa la verità sulla Bestia viene scambiato per la Bestia stessa).
Il potere che è proiezione degli egoismi umani, cui non sono da escludersi neppure i fanciulli.
Alte pretese, rispettate solo in parte
Ne “Il signore delle mosche” ci viene narrato di un gruppo di ragazzi, bambini ed adolescenti, che in seguito al crollo di un aereo finiscono in un’isola. La componente narrativa è quasi secondaria rispetto alla psicologia umana, che Golding tenterà di mettere a nudo nell’esporre le diverse debolezze e gli istinti che prenderanno piede in ogni bambino.
I personaggi, va detto, si poggiano su degli stereotipi assai comuni. I topoi letterari a cui essi riconducono possono immediatamente essere scorti anche dal lettore più inesperto, che potrà notare come la marmaglia di bambini è composta dal protagonista (Ralph), il quale pur essendo un ragazzo del tutto nella norma viene visto come speciale dagli altri, dal tipico “bullo” geloso del protagonista, dal bambino socialmente imbranato cui il protagonista si legherà, e cosi via. Realisticamente non si riesce a notare, nel corso della lettura, un reale sforzo compiuto per differenziare i personaggi gli uni dagli altri, che tranne i tre sopracitati si andranno a collocare all’interno di un mucchio nel quale difficilmente si andranno a discernere gli uni dagli altri. Narrativamente infatti, dal punto di vista prettamente del romanzo, Il signore delle mosche mostra qualche debolezza. Le vicende sono narrate con molta lentezza, trascurando molti meccanismi causa-effetto e portando ad uno sviluppo psicologico di fatto estremamente semplice, che non conferisce profondità a dei personaggi nei quali risulta quasi impossibile osservare delle figure reali. Il setting e la particolare premessa della vicenda è ciò che lega il lettore e lo porta a continuare, seppur purtroppo l’assai prevedibile svolgimento, composto da una lenta degradazione degli aspetti sociali dell’umanità verso il selvaggio, non riesca a soddisfare come ci si aspetterebbe. Va inoltre segnalato, e qui non sono purtroppo in grado di attribuire la colpa a Golding oppure al traduttore, che la lettura è assai poco scorrevole. Il libro prosegue dando per scontato fin troppo e con dei dialoghi che, pur dovendo rappresentare dei bambini, risultano nella maggior parte dei casi ai limiti della superficialità, portando a delle interazioni umane ripetitive e a tratti quasi incomprensibili. Golding risulta inoltre assai altalenante nel suo modus scribendi, decidendo di trascurare dettagli e precisione nelle descrizioni che probabilmente avrebbero conferito una maggior immersione nella vicenda, a discapito di altri dettagli che invece ci vengono comunicati costantemente, con una ripetizione quasi martellante, come il gesto del protagonista per sistemare i propri capelli. Il più grande problema de “Il signore delle Mosche” è l’immensa creazione di aspettative nel lettore per un romanzo con tantissime potenzialità, sia narrative che introspettive, ma che si riduce ad una piuttosto breve lettura che riesce a raggiungere solo dei brevissimi picchi sul finale, trascurando grossolanamente la narrazione nella fase centrale a discapito di non troppo convincenti digressioni.
E’ quindi tutto da buttare via ne “il signore delle mosche”? Assolutamente no, e sarebbe pretestuoso per un comune lettore come me affermare questo. Pur nei suoi problemi, riesce ad offrire un interessante spaccato di istintualità e natura umana posta in una situazione diversa dal solito. L’idea di base proposta è ottima, e nel finale riesce a raggiungere interessanti, seppur brevi, picchi di intensità. Riesce inoltre, a proporre numerose allegorie interessanti, sulle quali il lettore più interessato potrà ragionare e costruirsi una propria idea su quanto proposto: nota positiva a tal proposito è uno dei punti più forti della scrittura di Golding, che non rende nulla evidente e costringe il lettore a pensare con la propria testa.
Trattasi quindi di un’interessante opera pessimistica che, pur forse non essendo il meglio a cui si potesse ambire – specie considerando la pretenziosità implicita nell’opera stessa – risulta comunque un potente catalizzatore di pensieri nel soggetto che lo legge.
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Il branco fa sempre più paura
Quanto è attuale questo libro. L'ho letto tempo fa, ma mi è tornato alla mente in questi giorni seguendo i vari fatti di cronaca che coinvolgono adolescenti.
La trama è interessante: un gruppo di ragazzi, provenienti in parte da un collegio prestigioso quindi per i quali si presuppone siano dotati di una buona educazione, a seguito di un naufragio si ritrovano da soli su un'isola abbandonata. L'inizio è promettente e, purtroppo per l'umanità poco realistico. I ragazzi, infatti si organizzano: c'è un capo, più o meno tutti hanno un compito e il diritto di parlare. Poi subentra la logica del branco, quella che ti fa sentire quanto è buono il sapore del sangue e ti fa dimenticare la morale le regole e l'umanità. Peccato che Golding non ci abbia raccontato anche il dopo naufragio. Che adulti saranno diventati questi ragazzi dopo una simile prova?
Per quanto riguarda il modo in cui il romanzo è scritto, non mi è risultato sempre del tutto chiaro. A volte sono dovuta tornare indietro di qualche pagina per riprendere il filo. Nel complesso comunque lo trovo un libro che meriti di essere letto.
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Intima riflessione.
Siamo abituati a vivere in una società civilizzata, con regole, punti di riferimento, ordine e misure idonee a mantenerlo, un sistema in cui ognuno vive con suoi scopi ed obiettivi assuefandosi, giorno dopo giorno, ai ritmi calzanti che ne scandiscono il tempo.
Golding con questo romanzo sconvolge le “carte in tavola”, il lettore viene posto dinanzi ad una realtà capovolta in cui i protagonisti sono dei ragazzi tra i 13 e i 16 anni vittime di un incidente aereo di cui sono gli unici superstiti. Naufraghi su un isola dispersa nel “non si sa dove” questi cercheranno di darsi una organizzazione per sopravvivere, eleggeranno dunque un leader, identificato nella persona di Ralph, un ragazzo democratico e saggio che proporrà di accendere un fuoco sulla vetta della montagna così da creare una sorta di segnale di fumo e a cui si contrapporrà la figura dell’impulsivo ed aggressivo Jack. Il bisogno di cibo costituisce una delle primarie necessità a cui i giovani devono far fronte tanto che il bellicoso antagonista formerà un gruppo di cacciatori dediti alla raccolta di proteine nella foresta, individui che finiranno con l’essere sempre più assetati di sangue, violenza e prepotenza tanto da trascorrere le giornate con questo unico scopo: stanare ed uccidere i maiali nella selva.
Già da questo corollario si nota una prima evoluzione dell’umanità propria del genere umano, i protagonisti infatti posti in una condizione di inciviltà, di solitudine, di perdita dei punti di riferimento, degli insegnamenti del giusto e dello sbagliato trasmessi negli anni e nella conquista di una libertà mai sino ad allora avuta, si lasceranno sempre più sopraffare dalla nuova condizione abbandonando il passato e abbracciando questa nuova ed animalesca visione del mondo.
Quando poi una bestia misteriosa ne accenderà il timore, nascerà da un lato l’istituzione del “signore delle mosche” (una lancia su cui è stata immolata la testa di un maiale riempita appunto di tali insetti) e quasi simultaneamente dall’altro si formerà, capitanato da Jack, un nuovo gruppo dedito alla pura e semplice violenza, e quell’aggressività che precedentemente era rivolta esclusivamente ai suini arriverà a comprendere gli altri compagni di disavventura.
Anche la scelta di bambini quali protagonisti non è casuale in quanto non è altro che la dimostrazione del fatto che persino nell’innocenza si nascondono le debolezze, gli inganni, la violenza, il predominio, gli istinti animaleschi dell’essere umano adulto. Il contrasto tra bene e male è dunque netto, la stessa pacifica isola tropicale, sinonimo di pace, non esita a tramutarsi in un inferno di angoscia e brutalità gratuite al mutamento della condizione psicologica dell’individuo colonizzatore, un luogo dove non c’è spazio per speranza alcuna ma solo per il pessimismo assoluto verso quella stirpe evoluta che nascondendosi nella civiltà crede di aver dipanato taluni istinti quando al contrario questi sono incessantemente radicati in sé. Da questa considerazione di fondo la celebre frase “l’uomo produce il male come le api producono il miele”.
Stilisticamente l’opera si presenta a tratti farraginosa e confusa ma resta un componimento che merita di essere letto da tutti indistintamente. A distanza di una decina d’anni dalla sua lettura, ne ho un vivido ricordo.
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Vogliamo esser tutti Signori delle Mosche
Prima di addentrarmi nelle considerazioni voglio fare un’osservazione: questo libro va letto, assolutamente, perché mette a nudo la natura dell’essere umano in una maniera molto interessante. D’altro canto non risulta una lettura piacevolissima (a discapito della trama intrigante), e se devo dire la mia questa mancanza è dovuta principalmente allo stile dell’autore. Ora, io non so se questo è dovuto a una cattiva traduzione (lo spero per Golding), ma la narrazione è confusionaria e perde spesso il filo della logica, inoltre gli ambienti sono descritti in maniera forse troppo abbondante, e cosa ancor peggiore, non rendono per niente l’idea; non sono riuscito a farmi la benchè minima immagine mentale degli scenari in cui si svolgono gli eventi, sono soltanto luoghi incoerenti e confusi che la mia mente ha partorito nel disperato bisogno di entrare in quel mondo, ma per niente aiutata dalle descrizioni.
Detto questo però, una grossa nota di merito va ai contenuti, e sono questi a rendere l’opera un pezzo importante del bagaglio culturale di un lettore che si rispetti.
Un gruppo di bambini, a seguito di un incidente aereo, si ritrova disperso su un’isola deserta, mentre nel resto del mondo infuria la guerra. Questi giovani si ritrovano privi dei bisogni primari dell’essere umano, che nel mondo civilizzato davano per scontati, e dell’esperienza necessaria a far fronte a una simile situazione.
Tenteranno di organizzarsi e di far fronte alle difficoltà, si daranno alla caccia, alle leggi, costruiranno dei rifugi e si organizzeranno per tenere vivo un fuoco che faccia da segnale di SOS. L’innocenza bambinesca però sarà ben presto contaminata da una componente “adulta”, facendo spazio nelle loro anime a quei problemi e difetti che avrebbero dovuto affacciarsi nelle loro vite molto tempo più tardi. La disgrazia accelera il loro processo di “crescita”, ma sarebbe meglio dire involuzione. Verranno fuori contrasti di ideologie e personalità; contrapposizioni tra ragione e istinto di sopravvivenza, tra la difficoltà di attenersi alle leggi e la semplice ma immorale barbarie. L’innocenza fanciullesca fa la sua dipartita, rimpiazzata da violenza e furti; dal desiderio di uccidere e prevalere guerreggiando.
Quell’isola dall’aspetto paradisiaco diventa scenario per gli angoli infernali del cuore umano, un cuore bramoso di potere, un cuore che pur di ottenere il dominio su tutto il resto accetta il marchio dell’infamia sui propri tessuti organici. Gli “adulti” osserveranno lo sconvolgimento avvenuto tra quelli che in fin dei conti sono soltanto bambini e ne rimarranno sconcertati, senza pensare che quello è soltanto il prodotto delle guerre che da secoli intraprendiamo per essere Signori delle Mosche.
“Continuarono a camminare, vicini ma separati da tutto un mondo di esperienze e di sentimenti diversi, incomunicabili.”
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L'uomo tra bene e male, razionalità e violenza
In questo breve romanzo (250 pagine) Golding esplica la sua celebre frase "L'uomo produce il male come le api producono il miele".
Lo fa utilizzando quelle che possono sembrare le creature più innocenti che esistono, i bambini.
Sopravvissuti ad un incidente aereo, un gruppo di ragazzi si ritrova a vivere una vita disagiata su un isola deserta. Subito tra loro si elegge un capo, Ralph, un ragazzo democratico e saggio, che per il bene della comunità decide di accendere un fuoco sulla cima della montagna per creare una sorta di segnali di fumo ed essere salvati dalle navi che transitano vicino all'isola. Jack, un ragazzo che nel romanzo rappresenta l'antagonista principale, aggressivo e impulsivo, forma un gruppo di cacciatori che sempre più assetati di sangue passano le giornate a soddisfare la loro voglia di carne e sangue, stanando e uccidendo i maiali nella foresta.
Una bestia misteriosa accenderà il terrore nei ragazzi e i cacciatori gli lasciano come tributo un macabro totem, una lancia con immolata una testa di maiale, che riempita di mosche prenderà il nome di "signore delle mosche". Non pochi contrasti saranno costretti a superare i ragazzi finché Jack decide di distaccarsi dal gruppo e formare un gruppo a se, e il suo carattere aggressivo degenera compiendo atti molto violenti nei confronti degli altri compagni...
Perché un gruppo di bambini ? Golding vuole dimostrare che anche le figure più innocenti nascondo le debolezze e i contrasti degli esseri umani adulti, la violenza innata degli uomini, il predominio degli istinti più animaleschi si manifestano puntualmente quando i ragazzi iniziano ad avere piena autonomia e libertà. Netto è il contrasto quindi tra bene e male, anche una paradisiaca isola tropicale nel bel mezzo del pacifico diventa, grazie al male prodotto dall'uomo, un inferno di angoscia e desolazione, ne viene fuori una visione assolutamente pessimistica dell'indole umana, capace di provocare tanta angoscia nel lettore.
Leggere questo libro è come trovarsi davanti ad uno specchio dannato, che riflette le cose più torbide dell'animo umano, che con la nostra società civile abbiamo dimenticato di avere ma che sono e saranno inevitabilmente dentro di noi.
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la solita bastian contraria..
Domenica sera ho iniziato questo libro e ieri sera l'ho chiuso (PER FORTUNA) e spero di dimenticarmene presto.
Il genere distopico non è fra i miei preferiti, non per chissà quali ragioni, ma possiamo accendere il telegiornale per trovarsi dentro alla realtà dei nostri giorni che non differisce troppo dal genere distopico.
Questo genere tendo ad evitarlo perché di negatività e schifezza ce n'è anche troppa, ma me l'avevano regalato quindi non potevo lasciarlo li.
Lo so, forse la prendo nel verso sbagliato ma non me ne frega nulla!
Così come 1984 anche questo "romanzetto", ("etto" perché sono solo 200 pagine), è brutale e violento psicologicamente.
Dei ragazzini, causa incidente aereo, sono costretti in un isola deserta.
Da subito si formeranno gerarchie: il più figo, lo sfigato, il pazzo, i deficienti, i cacciatori e la bestia.
Dovranno cavarsela e presto inizieranno i primi "massacri" ai maiali, dopo di che non contenti, si passerà alla caccia al ragazzo.
Ebbene si, i gruppi si divideranno, la pazzia e la stupidaggine che solo l'uomo (grande o piccolo) può covare, degenererà nel caos e nella distruzione.
Certo, perché? Potevamo forse aspettarci che fossero diversi i comportamenti? Ovvio che no, non sarebbe diventato un Classico.
Potevamo forse aspettarci che ci fosse qualcosa di costruttivo? Ma stiamo scherzando?
Mi ha fatto arrabbiare, mi ha stancato, mi ha innervosito e a volte mi ha fatto saltare pagine.
Non so perché tutto questo fastidio, forse perché non c’è nulla di diverso da ciò che sentiamo tutti i giorni tranne che non siamo in un’isola deserta.
Mi ha dato sensazioni brutte, negative, tristi.
Non mi ha lasciato nozioni, ne conoscenza in più di quella che già avevo acquisito dopo 29 anni di vita. Bensì la solita stessa solfa, trita e ritrita della stupidità umana (non di tutti ovviamente, non voglio fare di tutta l’erba un fascio!!).
Questi ragazzini che si comportano come bestie feroci.
Caccia al più debole, riti e cantilene inquietanti.
L’uomo che si trova braccato finalmente come se fosse un maiale. BAD KARMA!!!
Mi ha disturbato e forse è questo il motivo per cui un classico viene ritenuto tale.
(Lo penso davvero? adesso lo metto in dubbio!)
Questa tipologia di libri arrivano violenti dentro al cervello e te lo tengono sconquassato per svariati giorni.
Sviluppando il lato pragmatico, posso solo dire che la narrazione è spesso lenta e con lunghe descrizioni dell’isola. Un po’ per girare intorno alla storia di questi ragazzini.
I personaggi sono quelli standardizzati che ho elencato sopra: il protagonista eroe, lo sfigato che si rivela l’unico che ha buon senso ma che fa sempre una brutta fine, il cattivo, gli sgherri del cattivo e via dicendo.
Nessuna empatia ovviamente, non c'è tempo per crearla perché la storia è già conclusa.
Fai solo a tempo a provare odio e rabbia e sinceramente non vedevo l’ora di finirlo.
Lo consiglierei?
Dicono che essendo un classico, va letto, anche se non piace.
Io non sono proprio d’accordo.
UN LIBRO a prescindere dal classico, va letto se sai che ha qualcosa da comunicare.
E questo non lo consiglierei.
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Il signore delle mosche di William Golding
E' la storia di alcuni ragazzi inglesi sopravvissuti ad un disastro aereo ( tema della caduta). Sono tutti di buona famiglia borghese e, una volta raggiunta un'isola deserta, devono auto-organizzarsi e governarsi, senza alcun controllo adulto. All'inizio tutto sembra procedere bene, poi pian piano tutto si sgretola ed iniziano a comparire i primi comportamenti anti-sociali e vengono in luce gli aspetti "bestiali" della natura umana. In questo libro c'è un focus sulla malvagità della condizione umana e la regressione della stessa verso la barbarie. Per questo il romanzo può sembrare una apologia del male. Qui i ragazzini non sono corrotti dalla società ( come invece sosteneva Rousseau), ma hanno dentro di sè il seme del male, che li spinge alla guerra e alla sopprafazione. Scritto dopo la seconda guerra mondiale, forse l'autore vuole condannare la società che ha permesso l'Olocausto e lo sterminio degli ebrei. C'è il concetto dell'"Homo homini lupus" di Plauto, ripreso in seguito da Hobbes, per il quale lo stato di natura è una guerra di ogni uomo contro tutti gli altri.
E' un romanzo pessimista e abbastanza angosciante, ma assolutamente a leggere.
Mi chiedo perchè i bambini naufraghi fossero tutti maschi. Forse la presenza del sesso femminile avrebbe migliorato la situazione sull'isola, non permettendo che degenerasse e mantenendola pacifica? Meditate gente, meditate....
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Inquietante
Sul fatto che sia un libro da leggere, anzi, uno di quelli che tutti dovrebbero leggere non ci sono dubbi. Sul fatto però che sia una lettura piacevole ne ho qualcuno. Non tanto per la storia (originalissina) o per la tragica morale che il libro lascia trasparire (i bambini sono cattivi ... i bambini diventeranno uomini ... gli uomini sono cattivi), quanto per il fatto che la sua lettura non è semplice. Se dipenda dalla traduzione non mi è chiaro ma sicuramente bisogna "tornare indietro" tante volte, alla ricerca di qualche particolare sfuggito, così come a volte è difficile capire, nell'ambito di un dialogo, chi sta parlando.
La narrazione è a volte lenta, piena di dettagli (sulla foresta, sulla spiaggia, sui ragazzi) .... la storia scorre lenta per almeno 200 pagine ... poi nelle ultime 20 si scatena la violenza inaudita, quella che fa pensare e non ti farà mai dimenticare di aver letto questo libro. Il tutto ... con la costante presenza della "bestia" .. dove ognuno dei bambini protagonisti (e dei lettori...) vede le proprie paure, le proprie insicurezze, i propri dubbi ...
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Questione di feeling
Ho chiuso da poco le pagine di questo romanzo, purtroppo come da titolo, non sono riuscito ad entrate in sintonia con lo scrittore, non solo per i temi, ma per il modo in cui li ha espressi.
In alcuni istanti mi è addirittura sembrato di leggere "la fattoria degli animali" di Orwell, ma rimane una sensazione.
Certo, Golding tratta dei temi sociologici importanti dimostrando, con fantasia, quanto l'uomo sia a livello di coscienza comune socialmente poco evoluto, ma anzi, quanto mai legato ad un retaggio remoto fatto d’istinti,più di quanto si possa immaginare. Si potrebbe dire che ci riporta al eterno scontro tra Atene e Sparta: la saggezza e l’equilibrio della prima, la forza e la brutalità della seconda.( ma lo scopo finale è sempre quello: la sopravvivenza)
E su questo, nulla da eccepire!
Ma ai miei occhi, è una visione molto pessimistica e distorta, in quanto, questa involuzione sociologica mi sembra che tenda ad escludere che un giorno, ricominciando daccapo, l'essere umano non possa tornare a concepire una coscienza civile. (cosa di cui tutto sommato a dimostrato di esserne in grado) emergendo così nuovamente da un periodo oscuro, dando vita ad un nuovo Umanesimo illuminato. Purtroppo è esclusa la presenza del gentil sesso, che avrebbe,secondo me, inciso in modo importante sul evolversi dei fatti. L’ assenza giustifica in parte, ai miei occhi, l’evolversi della trama e il tema nel modo trattato. In questo modo Golding si semplifica la vita, ma ripeto, distorce una costante sottraendo un numero di variabili infinito. Comunque non voglio dilungarmi nel analizzare il testo in questa sede, primo perche non sono all’altezza, in quanto altri più illuminati di me hanno consacrato a capolavoro questo titolo, e in secondo perche diventerei prolisso e non ritengo sia questo il luogo per esserlo… Quindi, passerò direttamente allo stile.
Ho trovato il modo di scrivere di Golding secco e sterile,desueto e contorto, mi ha privato di ogni emozione, non ha saputo trasportarmi, nemmeno nelle scene più concitate.
Ho faticato a terminarlo, mi è venuta a mancare il fattore empatico con tutti i protagonisti, e l’ambientazione l’ho ritenuta banale.
Mi spiace se ho provocato sgomento in qualche estimatore, però ritengo che sul genere siano stati scritti testi molto più intensi e affascinanti.
Da evitare !
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Magari non fosse realistico..
Com'è risaputo, niente influenza l'autore più dell'epoca in cui vive. Quindi, cosa aspettarsi da un romanzo di metà '900? Guerra? Armi? Bombe? Un Frederic Herny deluso (riferimento a "Addio alle armi" )? Un amico ritrovato? Una ragazza di Bube? Che noia!!!
Io adoro Hemingway, ma finalmente si legge qualcosa di diverso! Finalmente un romanzo con un bello stile, una trama avvincente, contenuti importanti e un modo originale, diverso dai soliti mattoni, per criticare la guerra!
Gloding non ha mostrato come i conflitti, mondiali o meno, possano influenzare, distruggere la vita degli uomini, ma ce ne ha indicato l'origine nel male che risiede nell'uomo, indipendente dall'età o dal luogo. E così anche dall'innocenza di un gruppo di ragazzi può scaturire una guerra. Di sicuro non è un libro ottimista, ma le armi derivano dal male, non ne sono la causa.
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Dubbi.
Perdonatemi l'introduzione di una domanda in uno spazio dedicato più che altro ai commenti.
Ho tentato di aprire una discussione nel settore apposito, ma non ho ricevuto risposte, quindi tento di ottenere considerazione qui.
Al di là della piacevolezza con cui ho letto questo libro, devo ammettere che, forse per la mia inesperienza di giovane lettrice, non sono riuscita a comprendere a pieno il significato di qualcuni aspetti della fabula.
Innanzitutto, mi sfugge il reale significato metaforico della testa infilzata del maiale. E' forse indice della paura primordiale, della "Bestia" di cui i ragazzi avevano il terrore? Inoltre, mi lascia perplessa il discorso immaginario, frutto di un miraggio, tra il Signore delle Mosche, appunto, e Simone.
Riporto alcuni punti in particolare: "Questo è ridicolo. Tu sai benissimo che non mi incontrerai altro che lì... dunque non cercare di fuggire!" - "Ti metto in guardia. Sto per perdere la pazienza. Non vedi? Non c'è posto, per te. Capito? Su quest'isola ci divertiremo. Capito? Su quest'isola ci divertiremo. Dunque non provarci nemmeno, mio povero ragazzo traviato, altrimenti... Altrimenti ti faremo fuori. Capisci? Jact e Ruggero e Maurizio e Roberto e Guglielmo e Piggy e Ralph. Ti faremo fuori. Capisci?".
Bene, io non ho capito!
Altro motivo di incertezza è un dettaglio del finale del libro. Ralph, nascosto dai selvaggi, nota che la sua lancia ha due punte, come quella con cui probabilmente avrebbero dovuto ucciderlo, in base alle parole dei gemelli Sam ed Eric. Ha quindi un particolare significato che sia lui a possederla? E cosa indica il fatto che abbia, appunto, due punte?
Vi sarei davvero grata se voi poteste sciogliere questi miei dubbi!
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Un trionfo della bestialità sulla ragione
Senza dubbio "Il signore dellle mosche" è un romanzo che cattura e si legge tutto d'un fiato. Non ci vuole molto perchè emerga la concezione del tutto pessimistica di Golding, la cui idea di uomo, irrimediabilmente malvagio e corrotto dal principio, coincide con quella di Hobbes. Secondo l'autore l'uomo, lasciato a sè stesso senza le convenzioni della società, sviluppa un indole prevalentemente cattiva. Nel caso del libro poi, questo causa molto più impatto perchè l'odio non proviene da adulti già devastati dalle esperienze della vita, ma da bambini, i "buoni" per antonomasia. Questi, dopo alcuni fallimentari tentativi di emulare le istituzioni della società adulta, cominciano a regredire e a cedere ai loro istinti più animaleschi. Credo che una delle cause sia anche che data l'età, la maggior parte di loro non sia veramente conscio delle sue azioni. Alla fine però, con la caduta dell'ultimo simbolo di razionalità, Piggy, è l'inferno, ed ognuno ne uscirà devastato.
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Pessimismo antropologico
La lettura del romanzo di Golding inevitabilmente mi ha riportato alla mente la riflessione filosofica che tra il 1600-700 si interrogò sull'essenza della natura umana e sulla condizione dei primi uomini, gli uomini dello stato di natura. Se da una parte Rousseau esaltava la bontà e la semplicità dei primitivi, contribuendo con il suo pensiero alla creazione del mito del buon selvaggio, dall'altra parte l'antropologia di Hobbes in maniera cruda e brutale rappresentava una condizione del tutto diversa. Ebbene a mio parere il modello antropologico di Golding è molto simile a quello di Hobbes. L'uomo lontano dalla civiltà è l'apoteosi dell'egoismo e della violenza, la stessa ragione (nel senso lato del termine) è usata per finalità perverse, per perseguire quasi scientificamente i propri intenti malvagi. Venendo meno la legge, l'arbitrio si erge ad unica legge. Questo è quello che accade ne Il signore delle mosche. All'inizio i giovani naufraghi cercano di ricreare una società civile con ben precise regole da rispettare e compiti da svolgere, per poi degenerare alla fine nella barbarie, nell'ordalia, nel furore orgiastico della cieca violenza.
Un romanzo crudo, spesso ansiogeno ma comunque da leggere. L'unica nota negativa è legata ad alcune pecche stilistiche, spesso i dialoghi infatti sono concitati e confusionari, probabilmente l'intento dell'autore era quello di trasmettere la confusione dei personaggi, ma la comprensione spesso è messa a dura prova.
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Inquietudine
L'ho appena chiuso e sono rimasta ferma per qualche secondo a pensare. L'ho divorato questo libro. Non so spiegarvi che sensazione stia provando alla bocca dello stomaco.. Una mia amica me l'ha proposto, dicendomi: "E' la storia di bambini inglesi che precipitano su un'isola. Il resto lo vedrai.". Nonostante il riassunto sul retro, non mi sarei mai aspettata una cosa del genere. Mi ha spaventata in certi momenti, e continua a spaventarmi. Penso sia una lettura imperdibile.
Per me è stato sconvolgente l'escalation di violenza incredibile, la crudeltà, la rinuncia di quello che fino ad ora pensavo ci rendesse umani, ossia la ragione, sopratutto perché i personaggi sono bambini. Davvero è così depravato l'animo umano? L'idea mi spaventa
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Capolavoro si...ma di altri tempi
Nel continuare il mio personale percorso nella scoperta di quello che di oscuro si cela nell'animo umano,anzi dell'animale-uomo,mi sono imbattuto nel famoso "il signore delle mosche",a proposito,complimenti a Golding per il titolo.
Appare chiaro fin da subito cosa ha reso celebre questo libro : L'Idea!Meravigliosa e spietata,cinica ed innocente.
Eppure,guardando il sottile libro,mi sono chiesto: "ma come fa l'autore a raccontare una così affascinante involuzione da essere civile a bestia incontrollata in sole 239 pagine?"
Infatti,la cosa che più mi ha deluso di questo libro è la troppa fretta(evidente soprattutto nel frustrante stile dei dialoghi dove continuamente,credetemi,non riuscirete a capire chi sta parlando)col quale l'autore racconta i fatti maledetti e fatali dell'isola,contraddicendosi in modo eclatante con un inizio lentissimo,come giusto che sia,secondo me,se si vuole scrivere di un isola deserta.
La verità,a mio avviso è che Il signore delle mosche è un libro di altri tempi,quando l'idea di un isola deserta era un sogno,infranto poi brutalmente dal realismo di Golding.
Non fraintendetemi,in alcune sequenze di tensione,neanche io riuscivo a non far tremare la mia gamba,e certe volte sembrava davvero si udire un rullo di tamburi,ma credo che oggi siamo abituati a bel altri e alti tipi di "bombardamenti emotivi", molto più efficaci.
In conclusione,Golding ci ha lasciato la sua personale esperienza di viaggio nelle profondità dell'animo umano,non senza i dovuti colpi di scena,che,anche se non ha soddisfatto in pieno la mia personalissima e perversa fame di malvagità umana,ritengo sia una esperienza consigliata anzi obbligatoria,anche per chi preferisce vederci una metafora piu profonda.
Mi sento tuttavia di sconsigliare il titolo agli amanti del genere fantasy,abituati a quelle meravogliose e perfette descrizioni di paesaggi e personaggi. La descrizione dell'isola a mio avviso è pessima,così come quella dei personaggi,a cui io,sinceramente,non ho saputo dare un volto per tutta la durata,breve,del libro.
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Il signore delle mosche
In un tempo non precisato, con il mondo in balia di un conflitto, un aereo precipita in un'isola tropicale deserta e i soli superstiti sono bambini. Con incredibile disciplina e senso democratico, facendosi forti di essere inglesi, si organizzano eleggendo un capo, organizzando assemblee, distribuendosi compiti in quello che a loro sembra un paradiso tutto per loro, senza adulti, nell'attesa di essere salvati. Ma tutto questo dura poco.....
Il bene trionfa sempre sul male? I bambini innocenti e puri trasformati poi dalla vita? Per William Golding non è così. Nel suo romanzo d'esordio, grande successo mondiale che non riuscì più a replicare, il male è insito nell'uomo sin dalla più tenera età. L'autore sceglie per protagonisti proprio dei bambini per dimostrarlo e questi ragazzini, dopo una breve parentesi iniziale, perdono tutta la loro civiltà e liberano i peggiori istinti regredendo ad uno stato selvaggio e non per soddisfare i semplici bisogni primari ma solo per dimostrare la loro superiorità e per placare la loro sete di violenza. La paura dell'ignoto (una bestia inesistente) e una forte leadership (non importa quanto nel giusto) bastano per far emergere gli istinti primordiali e per compattare tutto il gruppo verso una deriva sanguinaria che ogni singolo aborrirebbe. Un messaggio attualissimo questo di Golding; sappiamo che se al posto della bestia dell'isola mettiamo ad esempio lo straniero, o il terrorismo, un forte capo di stato può creare nemici anche dove non esistono e guidare interi popoli verso guerre assurde e devastanti.
Il romanzo, anche se scritto con una prosa un po' troppo elaborata a volte, siamo negli anni cinquanta, è coinvolgente e trascina il lettore in un incubo che cresce pagina dopo pagina. Il finale, Deus ex machina, poteva anche essere diverso, ma non ha poi grande importanza visti i tanti spunti e significati che ha offerto il romanzo. Non può mancare in una libreria.
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Inquietudine istruttiva
Inquietante.
Certi silenzi, certi sguardi così ben descritti, certe tensioni mi hanno messa a disagio. Soprattutto perchè ad esserne protagonisti sono dei bambini, che si trovano di fronte al Paradiso. Che possono scegliere di non assaggiare la mela del Bene e del Male ma che la addentano. E più di una volta, per giunta.
Golding ha saputo dimostrare come la Libertà non è la massima aspirazione cui deve ambire l'uomo. Perchè ad essere liberi - veramente liberi - si fa del male, a sé stessi e agli altri.
Mettere dei ragazzini di fronte a qualcosa di più grande di loro e studiarne le reazioni, è geniale e insano allo stesso tempo, perchè certe scene non aiutano di certo la digestione.
Non so ancora se il libro mi sia piaciuto o no. Quel che è certo è che ciò che mi verrà in mente d'ora in poi sentendo parlare di Golding saranno questi due termini: cinismo puro.
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Il signore delle mosche
Un gruppo di ragazzini inglesi sopravvive ad un incidente aereo, approdando su un'isola del Pacifico. Si delinea subito la figura di un leader che cerca di dare un'organizzazione razionale e democratica al gruppo. Tuttavia l'equilibrio dura poco, i ragazzi si dividono in due fazioni che si fronteggiano così duramente da lasciare dei morti sul terreno.
L'idea di Golding è veramente originale : questi ragazzini non rappresentano altro che la società, da cui emerge il perenne contrasto tra il bene e il male.
Il libro a tratti è molto crudo e trasmette perfettamente una visione pessimista dell'indola umana, tanto da trasformare un paradiso tropicale in un infermo.
Se la trama è accattivante e il messaggio chiaro e profondo, lo stesso non posso dire dello stile dell'autore. La lingua e lo stile sono ridondanti in alcuni frangenti, tanto da rendere la lettura poco scorrevole ed essenziali in altri momenti, tanto da causare la poca comprensibilità di alcuni passaggi.
Nel complesso è un testo di valore, se il lettore riesce a leggere tra le righe i significati profondi che vi sono contenuti.
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il signore delle mosche
Direi che è un libro molto semplice da capire. tramite questo romanzo si riesce a comprendere il vero valore dell'amicizia e soprattutto si riesce a capire cosa è disposto a fare l'uomo pur di comandare. Non mi è piaciuto affatto perché credo che sia la brutta copia dell'opera di Daniel Defoe" Robinson Crosoe", anche se il significato morale e ben diverso. Il finale, a mio avviso non è un ottimo finale anzi, non fa decollare il libro rendendolo banale
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Il signore delle mosche
Libro scoperto e studiato per un esame universitario, mi ha appassionato molto. Tantissimi i significati all'interno della storia, molti i personaggi e gli oggetti simbolici; tutto però è molto chiaro al lettore che ha così modo di riflettere sulla natura dell'uomo, su come possa essere crudele verso i suoi simili per la sete di potere.
Scritto molto bene, si legge con facilità e piacevolezza.
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skipper
E' un libro immenso, ti accompagna per tutta la vita e ne puoi leggere i significati ogni giorno, in ogni gesto dell'umanità.
"L'uomo produce il male come le api producono il miele" questa frase dell'autore sembra riassumere perfettamente questo libro.
Attenzione però da ciò che ho appena scritto il libro sembra essere pesante in realtà è leggerissimo e chiarissimo, i messaggi principali saltano alla mente in un attimo, se poi lo si vuole studiare al meglio si scopre che anche un'apparente semplice conchiglia a il suo significato, ma sono particolari che volendo possono anche essere lasciati da parte.
LIBRO DA LEGGERE E RILEGGERE
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Ma è estremamente utile leggerlo in età adolescenziale. Ragazzi fatevi sotto lo si legge anche in un giorno.
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Il mostro che è in noi
Libro che evidenzia come non esista il buon selvaggio e che la natura, quando può esprimersi liberamnete, sa essere crudele. Un grupo di ragazzi "allevati" dal rigido sistema scolastico inglese, si ritrovano in un'isola privi di ogni controllo. La società che andranno a costruire sarà crudele e violenta (secondo la legge del più forte). Chiara e brillante fotografia del mostro che si cela dentro ognuno di noi.
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