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IL GIOCO GRAMMATICALE
Dürrenmatt mette in scena un libro molto complesso, scritto, forse, con l’intenzione di allestire un linguaggio che simuli una vera e propria rappresentazione teatrale. L’autore invita il lettore ad assumere lo stesso sguardo del protagonista, il Minotauro, ma, soprattutto, lo sfida nella sua completa natura di uomo, nella totale appartenenza al genere umano, e in quanto tale a provare su di sé certi momenti di forte intensità emotiva a cui il Minotauro, al contrario, un essere solo parziale, è condannato, cercando in questa maniera di far incontrare, quanto più vicino sia possibile, due punti di vista distanti e inconciliabili tra loro. È necessario, dunque, che l’autore porti il lettore anche fuori dalla scena, cercando di spiegare i desideri, le paure e i sentimenti primitivi che l’essere mostruoso non è capace di comunicare e l’uomo non è in grado di comprendere. L’opposizione tra uomo e animale è la prima grande tragedia del Minotauro, proprio perché questa netta distinzione è la sua identità, è il suo essere e il suo essere unico: mezzo uomo, mezzo animale, una condizione destinata alla convivenza e alla profonda solitudine, dentro un altrettanto ambiente unico, esclusivo e costruito appositamente per lui. Labirinto e Minotauro, luogo e personaggio, in questo caso, sono perfettamente rappresentativi l’uno dell’altro, entrambi rispecchiano l’originario caos e il paranoico disordine, un momento esistenziale a cui nessun uomo vuole volontariamente avvicinarsi. Fortunatamente il lettore può entrare in questo spazio abbandonato, vedere cosa succede al suo interno, dal momento che dispone anche lui di un filo rivestito di parole, costruito di proposito per orientarlo e guidarlo senza il rischio di essere toccato dalla follia, ma riuscendo, al contrario, con una calibrata distanza, ad osservarla in tutta la sua potente manifestazione dentro quegli specchi in cui il Minotauro, all’interno del racconto, si guarda e non sa ancora di vedere se stesso. Si capisce, allora, come uno dei temi principali del testo sia la riflessione sul rapporto problematico tra l’io, il doppio e l’altro, trinomi costruiti tramite un lessico specchiato, nel quale agisce un geniale gioco grammaticale imperniato nel dolore del singolare, una volta avvenuta la rivelazione del singolo, nella gioia del plurale, fortemente condizionata dal desiderio euforico e illusorio di appartenere ad una collettività e nell’intimità del duale, un momento di alto tradimento narrato in una danza scenica degli opposti e degli uguali. Un libro brevissimo, meraviglioso e difficile.
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Non ho letto questo libro, ma conosco e apprezzo l'autore per "La panne" e "La promessa", in particolare.