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Ghiaccio e Fuoco
J. Ellroy nasce a Los Angeles il 4 marzo del 1948, nel 1958 perde la madre, un omicidio mai risolto, morta strangolata e gettata in un fosso, a El Monte, una contea di L.A.
Questo è l’episodio traumatico, che segna significativamente la sua vita, e che racconterà poi in un suo libro, Clandestino.
Prima di arrivare al successo come scrittore, passa un’adolescenza travagliata, tra alcool, droga e piccole rapine.
Nel 1975 riesce ad uscire da questo vortice criminale e inizia a scrivere. Negli anni 80 pubblica la tetralogia di L.A. di cui Dalia Nera è il primo romanzo.
Dalia Nera è una donna realmente vissuta, il cui delitto, irrisolto, ha ispirato appunto il libro di Ellroy.
Una ragazza, Elizabeth Short, viene trovata smembrata, mutilata e tagliata a metà in un’area abbandonata di Los Angeles. A seguire il caso vengono incaricati due agenti del dipartimento di polizia, ex pugili, Blanchard e Bleichert, “Ghiaccio” e “Fuoco”, due “amici” rivali in amore e nel lavoro. Entrambi amano la stessa donna Kay, con un passato di abusi per mano di un criminale, Bobby De Witt.
La Short è una ragazzetta facile che cerca successo nel cinema, ma che non sa recitare e spesso capita in situazioni poco piacevoli, fino appunto ad incontrare il suo assassino.
La ricerca spasmodica e senza respiro dell’autore di questo massacro, diventa un chiodo fisso per i due detective. Uno dei quali, Blanchard, a un certo punto dell’indagine sparisce, senza apparenti motivi e senza spiegazioni. E per Bleichert rimangono a questo punto oneri e onori, sposa l’oggetto del suo desiderio, Kay e si butta a capofitto nell’indagine.
Una ricerca che diventa un’ossessione perversa, dura e cruda, nella quale nessun personaggio è quello che sembra, e in cui tutti hanno un lato oscuro, apparentemente nascosto, ma che è bene evidenziato dallo scrittore che non ha pietà nel mettere a nudo i suoi personaggi; tutti indistintamente, tranne il protagonista, Bleichert che è anche colui che narra la storia, che sfiora per un momento anche lui la follia, ma che poi, a sorpresa direi, riesce a tornare sulla “retta via”. E dico a sorpresa perché questa è una storia che non lascia scampo, non c’è via di fuga, perché il male fa parte dell’essere umano per Ellroy, non esiste bontà, generosità o lealtà, sia nei bassifondi, così sapientemente descritti (perchè, ricordo, vissuti in prima persona), che negli ambienti “bene” di L.A., dove il malaffare e la corruzione dilaga per interessi personali.
Un lungo viaggio questo libro, che scorre senza tregua, ma che sembra non arrivare mai alla fine. Il finale inanella una serie di colpi di scena, uno dietro l’altro, fino all’epilogo, da giallo classico, dove l’assassino è al di sopra di ogni sospetto.
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Commenti
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Ma qualcuno dice che senza di lui non sarebbe esistito Michael Connellly, e devo dire che anche solo prendendo ad esempio l'ambientazione, una L.A. di sottofondo corrotta e malvitosa, è di certo meno datata ma molto similare.
Io lo conosco da poco, ma ad esempio Gli Incantatori mi è piaciuto molto meno nonostante l'argomento fosse più interessante
un saluto
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