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I divertenti triboli dei poveri gentleman britanni
Pelham Grenville Wodehouse, la “pulce ammaestrata della letteratura inglese” è stato uno dei più prolifici umoristi inglesi e ha dilettato ben tre generazioni di lettori.
In questo volumetto troviamo una rapida carrellata sulla sua opera con brevi storie che vedono come protagonisti i suoi personaggi più riusciti.
Si comincia con tre racconti che ci narrano i triboli di Lord Clarence Threepwood, nono conte di Emsworth, per tutti Lord Emsworth. Lui è un mite e bonario gentiluomo di campagna, che ambirebbe condurre una tranquilla e noiosa esistenza tra i suoi cespugli di rosa e le pagine di qualche bel libro di zootecnica. Purtroppo per lui è angariato dalla volitiva e dittatoriale sorella Constance che vorrebbe imporgli la vita sociale d’alto livello, proprio quella che lui aborre. Per sua fortuna, circostanze fortuite e imprevedibili contrattempi, riescono sempre a risolvere la situazione conflittuale del momento e a riportare la pace, almeno momentanea, nel castello di Blandings, dove vive.
Seguono le storie narrate da Mr. Mulliner, l’anima saggia del club Anglers' Rest. Qui, per allietare i colleghi soci, egli riferisce le vicende, spesso strampalate e bizzarre, capitate a questo o quel suo lontano parente. Anche in queste situazioni le potenziali “nuvole temporalesche” che si addensano sul malcapitato di turno si risolveranno per un casuale fatto che sistemerà per il meglio le cose.
Altri racconti sono dedicati alla sfaccendata e svagata aristocrazia inglese, sempre garbatamente canzonata dall’A., che non perde l’occasione per attribuirle un’ignavia e stolidità quasi imbarazzante.
Infine non possono mancare alcuni racconti che vedono come attore principale, per quanto, il più delle volte, taciturno e condiscendente, il geniale e astuto Jeeves, il valletto di sir Bertram Wilberforce Wooster, per tutti Bertie, voce narrante delle storie. Il gentiluomo, null’altro che un sfaccendato e pigro figlio della nobiltà britannica, non perde occasione per mettersi nei guai. Per sua fortuna Jeeves riesce sempre a trar fuori lui o i suoi consanguinei dalle momentanee difficoltà, anche se, spesso, con metodi assai poco ortodossi.
L’umorismo lieve di Wodehouse è sempre garbato e surreale. Le sue storie sono ambiente tutte in quel periodo senza tempo, grosso modo collocabile nello strano interludio tra le due Guerre, quando l’aristocrazia inglese poteva ancora essere infarcita di “perdigiorno sciocchi e frivoli” che si illudevano di vivere in un irreale Eden ove ogni svagatezza era possibile. E tra di loro l’A. fa le sue vittime: coloro che si trascinano nella placida serenità di chi, non dovendo usare il cervello per poter sopravvivere, anzi vivere agiatamente e confortevolmente, ha abdicato totalmente alla noia di dover pensare e, per questo motivo, si trova in imbarazzo di fronte a ogni minimo contrattempo che la vita gli frappone davanti. Le situazioni, se confrontate col mondo reale, appaiono poco plausibili, ma, anche per questo, risultano più ridicole.
Non tutte le complici strizzatine d’occhi al nostro “sense on humor” giungono ormai a destinazione: siamo troppo lontani nel tempo e nello spazio dalle creazioni di Wodehouse. Al pubblico italiano del XXI secolo, in particolare, possono sfuggire riferimenti a luoghi, nomi e circostanze che, invece, avrebbero suscitato l’ilarità ai lettori britannici coevi. Tuttavia il contesto generale resta gradevole. La vacua leggerezza delle situazioni, le burrasche che agitano le vite dei protagonisti (non più grandi di quelle che possono agitare una tazza di tè) continuano a divertire anche per la loro impalpabile leggerezza, molto british e anche un po’ blasè.
Insomma una lettura spensierata, piacevolmente assurda, ma pure arguta in modo intelligente.
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