Dettagli Recensione
Le forme dell'addio
«Le cose belle non potevano essere sbagliate.»
Tradotto da Susanne Kolb, “I colori dell’addio” edito da Neri Pozza e scritto da Bernhard Schling è una raccolta di racconti costruita su quello che può essere definito un fermo immagine. Ciascun racconto ha un suo corpo, una sua identità e un suo sviluppo autonomo con una matrice – ancora – autonoma e al contempo una penna che muta a seconda del narrato.
Racconto dopo racconto ogni esistenza e ogni personaggio prende forma e corpo. Il tutto tra un velo di nascosto e celato, una menzogna che si fonde alla verità e al mistero che costella ogni vita. In una dimensione di sospensione e comprensione, una dimensione fatta di addio. È questo il tema principale dell’opera, della raccolta. Ma è un addio che viene analizzato nel suo paradosso, nel suo contrario e cioè nella consapevolezza del suo esistere e nella dimensione costante e fiera del suo bisogno di trattenere e restare. Perché tra individui si crea un legame forte e indissolubile e in qualche modo questo si trattiene anche solo per mezzo del ricordo.
Basti pensare a “Intelligenza artificiale”, racconto in cui a essere protagonista è la memoria legata al tradimento e al terrore perché il poter essere scoperti è una costante sostanziale. Ancora fortemente presente è l’aspettativa di noi e dell’altro.
Alla base dei racconti vi è una vera e propria analisi dell’essere umano in tutte quelle che sono le sue dinamiche e oscurità. Certamente ciò è anche impronta del lavoro di Schling che di professione psicologo è avvezzo all’ascoltare, al far proprie quelle voci che abbisognano di trovare ascolto, di essere nutrite, perdonate, coccolate, custodite.
A far da contorno il dato storico focalizzato su quella Germania divisa in due dal muro di Berlino.
Nel complesso una raccolta molto interessante, caratterizzata anche da una vena poetica ma soprattutto dal forte carattere introspettivo.