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Di cosa parliamo quando parliamo d'amore
 
Di cosa parliamo quando parliamo d'amore 2021-04-30 16:31:01 lego-ergo-sum
Voto medio 
 
4.3
Stile 
 
4.0
Contenuto 
 
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Piacevolezza 
 
4.0
lego-ergo-sum Opinione inserita da lego-ergo-sum    30 Aprile, 2021
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La variante di Carver

Uno scrittore di talento presenta al suo editor un libro di racconti. Il curatore d’edizione, anche lui provvisto di talento letterario, interviene pesantemente, corregge, modifica, elimina. Lo scrittore accetta, ma gli resta nel cuore quella prima versione dei racconti, ha in animo di pubblicarli come li aveva pensati. La morte glielo impedisce. I racconti vengono recuperati e pubblicati postumi ad opera di alcuni studiosi, con il costante incoraggiamento della moglie. Date allo scrittore il nome di Raymond Carver, all'editor quello di Gordon Lish, una sorta di guru del minimalismo, alla donna quello di Tess Gallagher, ai ricercatori quello di alcuni studiosi dell’università di Hartford. Procuratevi ora la prima raccolta, “Di cosa parliamo quando parliamo d’amore”, e quella postuma, “Principianti”, che cronologicamente precede la prima. Si delineerà sotto i vostri occhi una vicenda di uomini appassionati di letteratura, di perfezionisti delle soluzioni formali, con le loro aspirazioni, frustrazioni, cedimenti, rivalse. E potrete valutare meglio questa opera che, pur ponendosi nel solco della grande tradizione americana del racconto breve (Hemingway sopra tutti), apparve subito rivoluzionaria e dominò il dibattito letterario di quel decennio, fino a diventare una moda e a generare una folla di emuli non sempre all’altezza. Come accade quando l’ispirazione genuina di un artista diventa moda e genera “ismi”. (Il confronto tra le due raccolte richiede ovviamente l’anticipazione di qualche finale).
Protagonisti sono ancora uomini e donne del Midwest, dei sobborghi, dell’America profonda, degli abitati distanziati da lunghe distese deserte, lontani dall'ambientazione metropolitana e soprattutto newyorchese di epigoni come David Leavitt e, ça va sans dire, dalle sue tematiche gay.
Al centro della narrazione amanti in crisi, coniugi traditori o traditi, aggrappati ad un frammento di felicità perduta, magari il ricordo di due anziani che offrirono loro un sorso d’acqua e li portarono a visitare il gazebo della propria fattoria, illudendoli di poter invecchiare insieme alla stessa maniera (“Gazebo”). Oppure abbarbicati a quella parola che non riescono a dire, al “discorso serio” col quale vorrebbero chiarire ogni cosa al partner, bloccati dell’afasia che li prende ogni volta che stanno per pronunciarlo. A volte si dimenticano perfino che cosa volevano dire, come L.D. nella storia conclusiva, sfiorando così l’effetto comico.
Crisi latenti, che erano finora affiorate solo in un’ombra di stanchezza, nella noia di un caldo pomeriggio estivo trascorso con mogli, figli, amici, in cui esplode la furia omicida di Jerry nel tragico “Di’ alle donne che usciamo”. Anche quando regna l’accordo, c’è il destino ad irrompere nella serenità di una vita familiare, manifestandosi all'improvviso con l’incidente e l’agonia di un figlio (“Il bagno”), dove l’apparente, fredda oggettività degli eventi, è accompagnata dal ritmo angoscioso della cronaca, scandita dalla serie interminabile di tempi passati: “la madre andò…il panettiere ascoltò…la madre decise per la torta…il bambino stava andando a scuola…il bambino fu investito da un’auto”. Il realismo delle cose e dei fatti, la struttura paratattica di frasi coordinate che incalzano, compongono un sottofondo musicale sottilmente angoscioso, preludio ad un tragico epilogo.
Qui cogliamo la differenza profonda tra il racconto come l’aveva pensato Carver e come si struttura dopo l’intervento dell’editor, che fa terminare la vicenda con la beffarda e surreale voce al telefono del panettiere, tagliando il finale consolatorio dei genitori a cui l’involontario stalker, per farsi perdonare, offriva le sue piccole e buone cose nella bottega dove i due lo avevano raggiunto.
Lo stesso omicidio di Jerry, che avveniva nell'originale al termine di un drammatico colloquio con la vittima, eliminato quest’ultimo assume la forma di una mostruosa follia omicida, di una furia distruttiva che brucia ogni residua umanità.
Ma proprio in forza delle loro scelte stilistiche radicali, Lish-Carver appassionano, sorprendono, con il loro stile asciutto, incalzante, dove si sprecano i “dico”,” dice”, “dico” che scandiscono i dialoghi con il loro ritmo martellante, le frasi brevi, secche, imperniate sul solo verbo, i pochi complementi necessari all’intelaiatura della frase, i pochissimi aggettivi e avverbi, in una sintesi estrema che talvolta indebolisce la coesione narrativa, facendo rimpiangere la più distesa versione originaria.
Non manca qualche finale lieto, come la rinuncia di un giovane padre alla battuta di caccia a cui tanto teneva, per stare accanto alla figlia e alla moglie preoccupata per la salute della bambina: un matrimonio forse salvato in extremis con questo atto di rinuncia (“Gli si è appiccicato tutto addosso”). Ma ci pensa la struttura del testo, articolato su due piani temporali, quello del presente e quello del passato, a stendere un velo di malinconia e di sofferenza su ciò che è stato e non è più.
Altrove è l’empatia, la condivisione dell’altro a riscattare la solitudine in cui sono precipitati uomini rimasti soli, come i protagonisti dei primi due racconti. E si potrebbe estendere all'intera poetica di Carver la conclusione di “Perché non ballate”, dove una ragazza racconta il suo incontro con un tizio che vendeva i suoi mobili esponendoli in giardino: “Continuò a parlarne. Lo raccontò a tutti. Restava qualcosa, che non riusciva a dire. Ci provò, poi smise”.
Di cosa parliamo quando parliamo d’amore? Il titolo non si adatta dunque solo all'ultimo racconto, una sorta di minidialogo platonico, non privo di opinioni non scontate sulla vera natura di questo nostro “pensiero dominante”, ma si estende a ragione all'intera raccolta. La relazione di coppia, nelle sue molteplici sfaccettature, domina quasi tutte le vicende narrate, anche quando veniamo distratti dalla bellezza di un paesaggio lunare (“Riuscivo a vedere ogni più piccola cosa”) e dall'incontro notturno della protagonista narrante con un vicino a caccia di vermi (ed anche la sua vicenda è ben narrata e intrecciata con quella principale). Ma anche qui il punto focale si sposta poi sul rapporto di Nancy col marito, che, quando ritorna a letto, gli appare non molto diverso da “quelle cose che Sam Lawton cospargeva di polvere”. Quanto diverso, ancora una volta, l’originale, che si chiudeva con le parole inascoltate di Nancy al marito che continuava a dormire, parole insieme di insoddisfazione e di amore, ma comunque liberatorie, che la facevano scivolare dolcemente nel sonno! Tutto saltato, tutto ridotto all'osso, per lasciare posto ad un senso di distacco, come di disgusto, che inchioda la vicenda ad un finale senza prospettive. E il sonno diventa qualcosa che deve sbrigarsi a venire per sprofondarvi dentro col proprio dolore.
Leggere questi due libri uno accanto all'altro è un esercizio di critica delle varianti che fa capire bene come siano sottili e sempre in bilico gli equilibri dell’opera narrativa. Ed aiuta a mettere in risalto, per contrasto, l’autentico mondo poetico di Raymond Carver.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
I racconti di Hemingway, i racconti e i romanzi di David Leavitt, per un confronto nell'ambito del minimalismo, "Principianti", per un confronto tra versione originaria e..."versione Lish-Carver".
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