Dettagli Recensione
L'universo in un punto
Borges è un autore che va letto in periodi di serenità e lucidità mentale: nemici della comprensione dell’autore e dei suoi racconti sono lo stress e la frenesia, perché questa può avvenire soltanto dedicando alla lettura un’estrema attenzione, dedicazione esclusiva e ricorrenti passi all’indietro. Alcuni racconti sono più ostici degli altri, a seconda del tipo di narratore e narrazione assunta da Borges, che si presenta camaleontico anche nella sintassi, nella punteggiatura e nei periodi utilizzati.
Come per quanto riguarda la raccolta “Finzioni”, anche “L’Aleph” contiene in sé diversi racconti davvero memorabili e altri - ma forse per la mancanza della già citata attenzione e serenità - che risultano di difficile comprensione e non riescono a smuovere le emozioni e le percezioni del lettore. Quel che è contenuto all’interno di questa raccolta si presenta molto vario sia per quanto riguarda i contenuti - decisamente troppo complessi per essere riassunti nelle poche righe di una recensione - sia per per quanto riguarda le ambientazioni - si passa dal contesto indiano che rimanda anche un po’ a “Le mille e una notte” a quello sudamericano prettamente moderno, solo per citarne un paio. Diversi sono i motivi ricorrenti in più di un racconto, come quello della moneta (centrale ne “Lo Zahir), quello delle tigri e dei labirinti (parecchio caro e amato da Borges), ma soprattutto quello del linguaggio, che è probabilmente il motivo centrale della raccolta e del racconto che le dà il titolo: Aleph è difatti la prima lettera dell’alfabeto sacro, che nel racconto presentatoci da Borges rappresenta un “punto in cui sono contenuti tutti i punti”, una precisa coordinata che contiene l’universo nella sua interezza e che simultaneamente può essere visto. E forse Borges vede nel mondo e nell’universo stesso un linguaggio che l’uomo ha dimenticato; un linguaggio che il protagonista del racconto “La scrittura del dio”, rinchiuso per anni in una cella oscura e condivisa con un giaguaro, prova a ricercare per potersi liberare dalla propria prigionia ma che, una volta trovato, gli disvela a tal punto ogni cosa da lasciarlo appagato a tal punto che ogni aspirazione di libertà e potere non diventa altro che futilità. È forse in questo linguaggio segreto del mondo che, per Borges, si nasconde il senso ultimo? È questo forse il tema centrale di quest’opera di Borges, che si conferma autore geniale ma complesso; un tema che tuttavia non tocca proprio tutti i racconti tra i quali ce ne sono alcuni velocemente dimenticabili, ma che ne annovera altri memorabili tra cui “Deutsches Requiem” (probabilmente il mio preferito) e “Gli immortali”. Una lettura che vale il tempo e la fatica spesi anche solo per leggere queste perle.
“[…] vidi un’adorata tomba alla Chicarita, vidi i resti atroci di quanto deliziosamente era stata Beatriz Viterbo, vidi la circolazione del mio oscuro sangue, vidi il meccanismo dell’amore e la modificazione della morte, vidi l’Aleph, da tutti i punti, vidi nell’Aleph la terra e nella terra di nuovo l’Aleph e nell’Aleph la terra, vidi il mio volto e le mie viscere, vidi il tuo volto, e provai vertigine e piansi, perché i miei occhi avevano visto l’oggetto segreto e supposto, il cui nome usurpano gli uomini, ma che nessun uomo ha contemplato: l’inconcepibile universo. Sentii infinita venerazione, infinita pena.”
Commenti
5 risultati - visualizzati 1 - 5 |
Ordina
|
nemmeno io sono un fan dei racconti, a meno che non si parli di Bradbury, Carver e, a questo punto, direi anche di Borges. Sono davvero dei maestri.
sono d'accordo con te, anche per quanto riguarda la superiorità di "Finzioni" rispetto a "L'Aleph". Ci sono molti autori che, a mio avviso, andrebbero letti molto di più: Borges è tra questi, ma mi rendo conto che non sia certo una lettura facile...
5 risultati - visualizzati 1 - 5 |