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Armoniosa dissolvenza
Nella metà degli anni ‘80 David Leavitt fu precocemente catapultato con grande risonanza nel mondo letterario grazie a una raccolta di racconti, “ Ballo di famiglia “, oggi riproposta nella nuova traduzione di Fabio Cremonesi, specchio di un mondo frammentato e frammentario che pone il microcosmo famigliare accompagnato da un senso di vuoto e precarietà al centro del proprio narrare.
Al suo interno molto altro, un’ identità sessuale rivelata o celata, malattie, perdite, dolori, tormentate relazioni genitori-figli, silenzi protratti, matrimoni infranti, famiglie a pezzi, la perdita dell’ innocenza ma anche una presa di identità, la gioia di vivere, la consapevolezza dell’esistere e del resistere, ovvero il cuore della vita.
Si ha l’ impressione che Leavitt, che ha fatto della propria omosessualità un’identità dalle tinte forti ( prevalentemente nelle opere successive ) accentuando esponenzialmente i legamiintrafamigliari e le loro devianze, in questi racconti ci parli prevalentemente di relazioni, affettive, potenziali, inespresse e di sentimenti, scoperchiati, negati, traditi.
“ Tutte le cose brutte succedono nelle case pulite, dove tutto è ordinato e tutti si dicono buongiorno e nient’ altro “. Sovente dietro l’ apparenza emerge tutt’altro, il marcio e il superfluo, una passività che si lega a una famiglia a pezzi, figli traditi da madri inadeguate, persi per semplice distrazione o negligenza, e niente pare reale, sopraffatti da un dolore che ogni volta ritorna.
Sovente la famiglia e’ assente, semplice convenzione, e tutto è andato perso, finendo con il chiedersi perché si è la causa del dolore della propria madre i cui racconti si devono ascoltare anche quando non se ne ha voglia.
Altrove il silenzio è una scelta obbligata, poche parole, pochi attimi, altre perdite da affrontare. Capita di sentirsi infelici della felicità altrui, capita che nella gioia apparente niente sembri reale, e, imbrattati da una gioia perversa, si può ricordare l’ anno in cui la propria madre stava morendo come il più felice della propria vita.
Forse tutto è andato perduto, c’è chi si prende gioco di una moglie devota, tra relazioni famigliari distanti, così distaccati e isolati gli uni dagli altri. Talvolta si galleggia nello strano liquido del proprio amore, un amore che non osa pronunciare il proprio nome, stretti in un angolo ad osservare impotenti la felicità altrui, attendendo il proprio momento.
Tutti i protagonisti di queste storie monologano incessantemente, prendondosi delle lunghe pause, Leavitt riesce, con maestria e profondità, nonostante la giovane età, a tessere un puzzle di grande equilibrio, illustrando mirabilmente un microcosmo ( la middle class americana ) che conosce bene, protagonisti non protagonisti impantanati in un’ immobilità apparente che sfocia in pulsioni irrefrenabili.
Nel cuore di racconti così diversi c’è un filo conduttore, quel monologo soggettivato che fatica a riconoscere l’ oggettività dei fatti, un grido di dolore nel vuoto standardizzato, l’affermazione di un io imprigionato da relazioni al limite dell’ ossessivo, in prevalenza madre-figlio.
L’autore è prematuramente sbocciato e fa sentire la propria voce, questi racconti, di una perfezione mirabile, a testimoniare un talento che andrà affievolendosi nei romanzi a seguire, per esaurirsi nel presente, forse, come lui stesso rivela, per semplice mancanza di ispirazione, forse per un cambiamento radicale dei tempi ( in senso negativo ) in cui non si riconosce.