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Anelli di nebbia, algide dita
Barcellona, nera nei fumi di fabbriche che ammorbano i cieli blu e poi, dissanguatasi in tramonti memorabili, la città nasconde guglie di cattedrali maestose tra le spesse trapunte della notte.
Vive, la nebbia tra le pagine vive una vita propria. Cristallizzata scivola sulle alte vetrate di una chiesa e mentre il vento spinge la foschia tra i banchi, un manto biancastro si aggrappa alle candele, celando l’ombra inginocchiata in confessione.
Angeli neri baciano famelici l’amore altrui, impietosi bombardano morte lanciando ordigni che non toccheranno mai terra.
Alicia mi stringe sul pavimento freddo della villa abbandonata, le sue labbra esangui mi ripetono che così mi avrebbe abbracciato mia madre, se solo avesse potuto darmi un nome.
Davanti alle braci del camino due sagome si intravedono gesticolare, sprofondate nelle grandi poltrone scure. Il vino dolce e squisito scivola in gola e accarezzato dal tepore delle fiamme, Cervantes cede dolcemente al sonno, mentre l’editore continua silenzioso la lettura del manoscritto.
“Mi amerai sempre, vero?” E io le dico di sì.
Undici racconti, alcuni inediti e alcuni pubblicati su riviste, vengono raccolti in questo tributo all’autore in cui si celebra la sua penna affabulatrice, che confonde un lettore perduto per sempre nel labirinto di un mondo realmente irreale. Ballano le righe con le fotografie d’epoca di Barcellona, vestita in bianco e nero, dove il fumo di una locomotiva è lo sposo invecchiato della foschia che l’alba esala tra i palazzi e la pietra.
Un uomo corre, pare uscire di scena con passo brioso, come Carlos Ruiz Zafón oltrepassa il confine del suo ultimo libro, il corpo a mezz’aria che non calpesterà mai più il selciato della città di vapore.
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